Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Per alcuni giorni i media sono stati col fiato sospeso, narrandoci del rischio default del debito statunitense. Secondo la fiaba, solo un accordo al Congresso tra democratici e repubblicani avrebbe potuto scongiurare il disastro. Ma il lieto fine non poteva mancare, infatti
l’accordo è stato raggiunto, giusto in tempo per evitare il precipizio, aumentando il tetto del debito pubblico. Per raggiungere l’intesa, purtroppo è stato necessario imporre qualche piccolo sacrificio e taglio di spesa nell’assistenza ai poveri, assecondando così le consuete richieste dei repubblicani. Uno dei sacrifici richiesti riguarda appunto la riduzione dei buoni-pasto (food stamps) per gli indigenti.
Sul sito di Jp Morgan ci si spiega che questi buoni-pasto, elargiti dal governo federale, sono l’unica possibilità per milioni di persone di accedere al consumo di un cibo fresco e di qualità. I motivi di tanto umanitarismo sono presto spiegati dalla stessa Jp Morgan, la quale ci informa che
la concessione dei “food stamps” è condizionata da una serie di servizi bancari, con relative commissioni, tra cui anche carte prepagate. Queste carte, tra gli altri vantaggi, consentono anche di evitare frodi e abusi da parte di utenti non aventi diritto (in Italia diremmo i “furbetti”). La morale della favola è che far guadagnare di più i ricchi sarebbe l’unico modo per mantenere onesti i poveri.
Non si sa quanto e se questi tagli al sostegno alimentare danneggeranno effettivamente le banche, o se si troverà il modo di preservare l’assistenzialismo per ricchi mentre si taglia quello per i poveri. Jp Morgan in questo periodo ha comunque altro a cui pensare, dato che è la maggiore banca di investimenti del mondo. Nel febbraio scorso i vertici di Jp Morgan hanno incontrato Zelensky per trattare sui
finanziamenti per la ricostruzione postbellica dell’Ucraina. D’altra parte si sta parlando di scommesse su un futuro molto incerto, dato che è ormai in dubbio la stessa sopravvivenza dell’Ucraina come Stato unitario.
Secondo i media sarebbe iniziata la famosa controffensiva ucraina, di cui si favoleggiava da mesi, al punto che alcuni analisti disperavano di vederla. Non ci si è chiesti però, a proposito di questa controffensiva, perché mai l’Ucraina debba farla. Si dà per scontato che uno Stato abbia il dovere di attaccare l’invasore, che non possa economizzare le forze ed amministrare i tempi in base a migliori opportunità. Una volta che all’Ucraina si è riconosciuto il piedistallo morale del Paese aggredito, le si è contestualmente tolto il diritto di gestire la propria difesa secondo il criterio dei costi e dei vantaggi, perché ai cattivi come Putin non si può concedere tregua. La strategia militare rimane nei manuali, mentre i comportamenti reali seguono l’automatismo delle pressioni del lobbying. Persino questa guerra è uno spot per le armi: visto che ti arrivano le nostre armi, ti tocca assolutamente dimostrarne l’efficacia ed il magico effetto risolutivo, che i media poi sapranno celebrare ed enfatizzare. Non importa quanta strage e distruzione richiede l’impresa; anzi, più sacrifici umani ci sono, più lo spot assume pathos e densità drammatica. La stessa NATO è lo spot di una lobby delle armi, di una cordata d’affari; ed in tal senso funziona alla grande. La nostra Leonardo-ex Finmeccanica è riuscita ad entrare nel
business del caccia F-35, noto anche come il bidone del millennio, dato che produrlo costa l’ira di Dio, e tenerlo efficiente e operativo ancora di più. Ciò a dimostrare che la fiaba dell’Italietta e dell’Europetta che fanno da vittime inermi all’imperialismo USA, è un po’ troppo semplicistica.
Sul piano strategico invece la NATO è uno stridente nonsenso: per otto anni ha imbottito l’Ucraina di armi, annunciandone a colpi di grancassa un‘imminente ammissione nell’alleanza, che però non si è mai realizzata; così la Russia ha potuto invaderla senza esporsi ai rischi dell’applicazione del famoso articolo 5 del Trattato Nord-Atlantico. La stessa NATO adesso annuncia anche che, una volta sconfitta la Russia, si dedicherà a contrastare la Cina. Grata dell’informazione, oggi la Cina sostiene economicamente e finanziariamente la Russia contro le sanzioni; e, probabilmente, ha preteso in cambio di trascinare nel tempo la guerra, in modo da tenere bloccati la NATO e gli USA in Europa. Tutto va bene se invece che alla strategia si guarda al business, viste tutte
le armi che si stanno vendendo a Taiwan.
Peccato che anche dall’altra parte ci siano armi da pubblicizzare, dato che questo non è un conflitto tra ideologie ma tra economie capitalistiche; il che è molto più pericoloso della cara vecchia guerra fredda. Attualmente la Russia appare particolarmente impegnata nell’esibire la superiorità dei propri prodotti in campo missilistico. Ogni guerra è una vetrina di armi, ed anche di servizi militari. In certi momenti persino
la battaglia di Bakhmut è sembrata uno spot pubblicitario della Wagner.
L’avvento del dominio del lobbying e l’invasione della comunicazione pubblicitaria comportano un rapporto particolarmente disturbato con la realtà. Anche
lo psicodramma del default statunitense da scongiurare, ha qualcosa di già visto; infatti è uno spot già mandato in onda, tale e quale, esattamente dieci anni fa, nel 2013. Allora il presidente era Obama, ma la sceneggiata fu uguale in tutti i dettagli, con il solito accordo in extremis tra democratici e repubblicani per innalzare il tetto del debito. A suo tempo i cervelloni dell’ISPI ci intrattennero con un’accurata descrizione del dramma che si stava svolgendo a Washington. Qualche ingenuo potrebbe domandarsi quale sia il motivo per cui bisogna istituire il tabù del tetto del debito, se poi si sa già che quel tabù lo si dovrà violare mettendo su la messinscena del solito rituale tribale, con qualche capro espiatorio scelto tra i poveracci per conferire al tutto la solennità del sacrificio umano.
Sono rimasti davvero in pochi ad ostinarsi nella finzione di credere che Adriano Sofri c’entri qualcosa con l’assassinio del commissario Calabresi. Questi pochi irriducibili sostenitori di quella montatura giudiziaria, elargiscono a Sofri una patente di vittima, grazie alla quale questi può oscurare le reali nefandezze del suo curriculum di funzionario della propaganda di marca NATO.
Nel 1995 ci fu un bombardamento della NATO contro la popolazione serbo-bosniaca; una sorta di prodromo, o di antipasto, dell’aggressione contro la Serbia che sarebbe avvenuta quattro anni dopo. Negli anni ’90 esisteva ancora una specie di simil-sinistra, capace addirittura di accorgersi della pretestuosità di certe ingerenze imperialistiche, finte umanitarie e molto sanguinarie. La Germania, gli USA ed il Vaticano, servendosi anche di soldi sauditi, avevano istigato e fomentato il separatismo delle repubbliche jugoslave, avallando dichiarazioni d’indipendenza unilaterali che innescavano una serie di conflitti etnici. I media ed i governi del Sacro Occidente indicarono nelle popolazioni serbe le sole colpevoli di quella guerra civile. Per tacitare la residuale sinistra,
Sofri ricorse ad un tipico colpo basso, accusandola di essere più filo-serba dello stesso presidente serbo Milosevic, il quale, nel 1995, si andava adoperando per moderare le milizie dei suoi confratelli etnici in Bosnia. Sofri ridicolizzò chi aveva parlato di operazioni genocide da parte della NATO, rilevando che le vittime civili erano state “poche”. Nel 1995 Milosevic faceva ancora comodo alla NATO, ma quattro anni dopo non si esitò a criminalizzarlo, attribuendogli propositi imperialistici e genocidi. Nel 1999 in Italia fu proprio un governo di “sinistra” ad applicare quel drastico cambio di narrazione e ad organizzare la partecipazione italiana all’aggressione NATO contro la Serbia. Ci voleva l’apporto di intellettuali “di sinistra” come Sofri per santificare lo schema propagandistico che etichetta come complice del nemico chiunque sia preoccupato per l’azione destabilizzatrice della NATO.
Ai Serbi è stata sottratta quella che, a torto o a ragione, considerano la propria madrepatria, il Kosovo, per metterci su uno staterello fantoccio ed
una mega-base USA, Bondsteel, un enorme hub per traffici militari e criminali. Alla Serbia è stata inferta la ferita e l’umiliazione del bombardamento di Belgrado, con molte vittime civili, tra cui i degenti di un ospedale; Milosevic è stato sequestrato ed è morto in circostanze oscure, mentre era sottoposto ad un processo burla in quella filodrammatica che si autodefinisce tribunale penale dell’Aia.
A questo punto non c’è da sorprendersi che adesso si debba fare i conti con un revanscismo serbo. Nel bombardamento di Belgrado fu colpita anche l’ambasciata cinese, provocando vari morti. Non c’è nulla di strano neppure nel fatto che i due revanscismi si siano combinati, per cui l’anno scorso il governo serbo ha acquistato
il sistema missilistico antiaereo di produzione cinese siglato HQ-22, oppure FK-3 nella versione esportazione. Secondo la NATO questa fornitura altera il rapporto di forze in Europa. Lo altera, eccome. Il primo ministro serbo avrebbe infatti dichiarato che la Serbia non sarà più un sacco da pugilato; come a dire: riprovateci e ve lo facciamo così. Altro che il professor Morelli; ci vuole un missile per ritemprare l’autostima.
Non si sa se Pechino, nel vendere il sistema missilistico, abbia fatto lo sconto al governo di Belgrado; la Serbia ha potuto comunque permettersi l’acquisto. L’aspetto interessante riguarda le modalità dello sviluppo industriale della Serbia, diventata, negli ultimi vent’anni, la sede delle delocalizzazioni di molte industrie europee, e, ovviamente, italiane; in Serbia è andata non solo la FIAT di Marchionne, ma anche la fabbrica delle calze Omsa che una volta stava a Faenza. Nel 2012 si parlava già di oltre
mille imprese italiane trasferite in Serbia, dei più svariati settori produttivi e finanziari. Il governo serbo ha sostenuto il maggior onere finanziario di questa industrializzazione, ed i rapporti con le multinazionali non sono affatto stati facili.
La guerra imperialistica è diventata guerra di classe, un attacco generalizzato alle classi operaie dei Paesi occidentali; e ciò non in base ad una pianificazione, bensì per la stessa logica del lobbying, dell’intreccio degli affari, poiché non solo le armi sono business ma anche organizzare le delocalizzazioni. Il “fabbrichismo” degli anni ’60 e ’70 poneva in evidenza soltanto l’aspetto produttivo dell’impresa capitalistica, che invece è strutturata soprattutto in funzione del lobbying, cioè dell’intreccio con le istituzioni pubbliche per procacciarsi affari. Secondo alcuni, in questo dato sarebbe intervenuta una complicazione ideologica, inerente alla falsa coscienza delle oligarchie occidentali, il cui odio di classe antioperaio avrebbe finito per coinvolgere l’intero aspetto produttivo; perciò anche gli ingegneri, una volta al vertice della considerazione sociale, oggi vengono trattati come pezze da piedi.
Sta di fatto che l’aggressività militare della NATO ha posto le basi per una deindustrializzazione dell’Europa, tanto che oggi le è difficile anche produrre munizioni. A riconferma delle regolarità storiche, l’integrazione capitalistica tra Unione Europea e Serbia non sta per niente evitando l’esasperazione delle tensioni e dei conflitti; al contrario. La situazione in Kosovo potrebbe sfociare in guerra aperta, come è accaduto in passato a potenze capitalistiche tra loro economicamente complementari. Un imperialismo serbo venti anni fa era impensabile; ma ora, grazie alla NATO, Belgrado ha i missili ed anche impianti industriali che potrebbero essere riconvertiti ad uso bellico. Ciò che fa la NATO non ha alcun senso strategico: non ha avuto senso strategico destabilizzare i Balcani e l’Europa orientale, e tantomeno lo ha avuto deindustrializzare l’Europa occidentale. Ha avuto senso però rispetto agli affari del momento. Del resto la NATO non solo non nasconde
la sua natura di cordata d’affari, ma nel suo sito addirittura la esibisce. Sta alla narrativa dei media fare in modo che questo aspetto affaristico non venga evidenziato alla pubblica opinione.
La NATO continua a vivere nel passato, come se trent’anni non fossero trascorsi e ci fosse ancora quella effimera bolla detta “unipolarismo”, quando i mulini erano bianchi e i conflitti erano asimmetrici, cioè solo contro nemici deboli. Da brava lobby d’affari la NATO non riesce a districarsi dagli schemi narrativi del proprio spot pubblicitario, sebbene la realtà abbia più volte bussato alla porta. L’obsolescenza di quelle che erano il segno e
il vanto della potenza USA, cioè le portaerei, è ormai un dato di fatto da almeno un decennio, a causa dei moderni sistemi missilistici, in grado di colpire bersagli mobili a migliaia di chilometri di distanza individuandoli con i satelliti. Sembrerebbe che gli USA ancora si illudano di poter rimettere in scena l’ottocentesca politica delle cannoniere nel Mare Cinese Meridionale, quando i missili cinesi non esistevano.
In realtà qui non c’è illusione o qualsiasi altro retro-pensiero: il lobbying non implica alcuna autocoscienza strategica, in quanto è un mero automatismo comportamentale, di cui lo spot pubblicitario diventa il paradigma. In termini più banali, qualcuno direbbe che si tratta di autointossicazione con la propria stessa propaganda. Per decenni ci è stato narrato l’Iran solo come una repubblica clericale, retrograda ed oscurantista; salvo scoprire improvvisamente che
l’Iran è all’avanguardia nella produzione non solo di droni, ma anche di missili ipersonici. Nel campo della missilistica ipersonica, gli USA sono stati superati da Russia, Cina, Iran e Corea del Nord. Può sembrare strano per un Paese che spende più di tutti gli altri messi insieme per gli armamenti; ma non lo è per niente, se si considera che il Pentagono è nelle mani dei lobbisti di Raytheon e di Lockheed Martin.
L’imperialismo è business, ma, curiosamente, anche l’antimperialismo può diventare tale. In questi anni
la Russia ha venduto il sistema antiaereo S-400 come una specie di dispositivo per ottenere indipendenza dall’ingerenza USA e NATO; ingerenza che, notoriamente, si esprime con quella pioggia di democrazia che è il bombardamento. Il sistema S-400 è stato venduto non soltanto alla Cina, ma anche all’India, e persino a storici “alleati” degli USA come la Turchia e l’Arabia Saudita, che, evidentemente, non si sentivano tanto sicuri della “protezione” USA. La pioggia di bombe democratiche potrebbe colpire chiunque, e bisogna essere previdenti. Magari sul sistema S-400 si potrebbe fare uno spot pubblicitario, con tanto di slogan: il missile previdente che ti rende indipendente. Come testimonial dello spot si potrebbe usare Prigozhin, che è un attore pure meglio di Zelensky.