Sono rimasti davvero in pochi ad ostinarsi nella finzione di credere che Adriano Sofri c’entri qualcosa con l’assassinio del commissario Calabresi. Questi pochi irriducibili sostenitori di quella montatura giudiziaria, elargiscono a Sofri una patente di vittima, grazie alla quale questi può oscurare le reali nefandezze del suo curriculum di funzionario della propaganda di marca NATO.
Nel 1995 ci fu un bombardamento della NATO contro la popolazione serbo-bosniaca; una sorta di prodromo, o di antipasto, dell’aggressione contro la Serbia che sarebbe avvenuta quattro anni dopo. Negli anni ’90 esisteva ancora una specie di simil-sinistra, capace addirittura di accorgersi della pretestuosità di certe ingerenze imperialistiche, finte umanitarie e molto sanguinarie. La Germania, gli USA ed il Vaticano, servendosi anche di soldi sauditi, avevano istigato e fomentato il separatismo delle repubbliche jugoslave, avallando dichiarazioni d’indipendenza unilaterali che innescavano una serie di conflitti etnici. I media ed i governi del Sacro Occidente indicarono nelle popolazioni serbe le sole colpevoli di quella guerra civile. Per tacitare la residuale sinistra,
Sofri ricorse ad un tipico colpo basso, accusandola di essere più filo-serba dello stesso presidente serbo Milosevic, il quale, nel 1995, si andava adoperando per moderare le milizie dei suoi confratelli etnici in Bosnia. Sofri ridicolizzò chi aveva parlato di operazioni genocide da parte della NATO, rilevando che le vittime civili erano state “poche”. Nel 1995 Milosevic faceva ancora comodo alla NATO, ma quattro anni dopo non si esitò a criminalizzarlo, attribuendogli propositi imperialistici e genocidi. Nel 1999 in Italia fu proprio un governo di “sinistra” ad applicare quel drastico cambio di narrazione e ad organizzare la partecipazione italiana all’aggressione NATO contro la Serbia. Ci voleva l’apporto di intellettuali “di sinistra” come Sofri per santificare lo schema propagandistico che etichetta come complice del nemico chiunque sia preoccupato per l’azione destabilizzatrice della NATO.
Ai Serbi è stata sottratta quella che, a torto o a ragione, considerano la propria madrepatria, il Kosovo, per metterci su uno staterello fantoccio ed
una mega-base USA, Bondsteel, un enorme hub per traffici militari e criminali. Alla Serbia è stata inferta la ferita e l’umiliazione del bombardamento di Belgrado, con molte vittime civili, tra cui i degenti di un ospedale; Milosevic è stato sequestrato ed è morto in circostanze oscure, mentre era sottoposto ad un processo burla in quella filodrammatica che si autodefinisce tribunale penale dell’Aia.
A questo punto non c’è da sorprendersi che adesso si debba fare i conti con un revanscismo serbo. Nel bombardamento di Belgrado fu colpita anche l’ambasciata cinese, provocando vari morti. Non c’è nulla di strano neppure nel fatto che i due revanscismi si siano combinati, per cui l’anno scorso il governo serbo ha acquistato
il sistema missilistico antiaereo di produzione cinese siglato HQ-22, oppure FK-3 nella versione esportazione. Secondo la NATO questa fornitura altera il rapporto di forze in Europa. Lo altera, eccome. Il primo ministro serbo avrebbe infatti dichiarato che la Serbia non sarà più un sacco da pugilato; come a dire: riprovateci e ve lo facciamo così. Altro che il professor Morelli; ci vuole un missile per ritemprare l’autostima.
Non si sa se Pechino, nel vendere il sistema missilistico, abbia fatto lo sconto al governo di Belgrado; la Serbia ha potuto comunque permettersi l’acquisto. L’aspetto interessante riguarda le modalità dello sviluppo industriale della Serbia, diventata, negli ultimi vent’anni, la sede delle delocalizzazioni di molte industrie europee, e, ovviamente, italiane; in Serbia è andata non solo la FIAT di Marchionne, ma anche la fabbrica delle calze Omsa che una volta stava a Faenza. Nel 2012 si parlava già di oltre
mille imprese italiane trasferite in Serbia, dei più svariati settori produttivi e finanziari. Il governo serbo ha sostenuto il maggior onere finanziario di questa industrializzazione, ed i rapporti con le multinazionali non sono affatto stati facili.
La guerra imperialistica è diventata guerra di classe, un attacco generalizzato alle classi operaie dei Paesi occidentali; e ciò non in base ad una pianificazione, bensì per la stessa logica del lobbying, dell’intreccio degli affari, poiché non solo le armi sono business ma anche organizzare le delocalizzazioni. Il “fabbrichismo” degli anni ’60 e ’70 poneva in evidenza soltanto l’aspetto produttivo dell’impresa capitalistica, che invece è strutturata soprattutto in funzione del lobbying, cioè dell’intreccio con le istituzioni pubbliche per procacciarsi affari. Secondo alcuni, in questo dato sarebbe intervenuta una complicazione ideologica, inerente alla falsa coscienza delle oligarchie occidentali, il cui odio di classe antioperaio avrebbe finito per coinvolgere l’intero aspetto produttivo; perciò anche gli ingegneri, una volta al vertice della considerazione sociale, oggi vengono trattati come pezze da piedi.
Sta di fatto che l’aggressività militare della NATO ha posto le basi per una deindustrializzazione dell’Europa, tanto che oggi le è difficile anche produrre munizioni. A riconferma delle regolarità storiche, l’integrazione capitalistica tra Unione Europea e Serbia non sta per niente evitando l’esasperazione delle tensioni e dei conflitti; al contrario. La situazione in Kosovo potrebbe sfociare in guerra aperta, come è accaduto in passato a potenze capitalistiche tra loro economicamente complementari. Un imperialismo serbo venti anni fa era impensabile; ma ora, grazie alla NATO, Belgrado ha i missili ed anche impianti industriali che potrebbero essere riconvertiti ad uso bellico. Ciò che fa la NATO non ha alcun senso strategico: non ha avuto senso strategico destabilizzare i Balcani e l’Europa orientale, e tantomeno lo ha avuto deindustrializzare l’Europa occidentale. Ha avuto senso però rispetto agli affari del momento. Del resto la NATO non solo non nasconde
la sua natura di cordata d’affari, ma nel suo sito addirittura la esibisce. Sta alla narrativa dei media fare in modo che questo aspetto affaristico non venga evidenziato alla pubblica opinione.
La NATO continua a vivere nel passato, come se trent’anni non fossero trascorsi e ci fosse ancora quella effimera bolla detta “unipolarismo”, quando i mulini erano bianchi e i conflitti erano asimmetrici, cioè solo contro nemici deboli. Da brava lobby d’affari la NATO non riesce a districarsi dagli schemi narrativi del proprio spot pubblicitario, sebbene la realtà abbia più volte bussato alla porta. L’obsolescenza di quelle che erano il segno e
il vanto della potenza USA, cioè le portaerei, è ormai un dato di fatto da almeno un decennio, a causa dei moderni sistemi missilistici, in grado di colpire bersagli mobili a migliaia di chilometri di distanza individuandoli con i satelliti. Sembrerebbe che gli USA ancora si illudano di poter rimettere in scena l’ottocentesca politica delle cannoniere nel Mare Cinese Meridionale, quando i missili cinesi non esistevano.
In realtà qui non c’è illusione o qualsiasi altro retro-pensiero: il lobbying non implica alcuna autocoscienza strategica, in quanto è un mero automatismo comportamentale, di cui lo spot pubblicitario diventa il paradigma. In termini più banali, qualcuno direbbe che si tratta di autointossicazione con la propria stessa propaganda. Per decenni ci è stato narrato l’Iran solo come una repubblica clericale, retrograda ed oscurantista; salvo scoprire improvvisamente che
l’Iran è all’avanguardia nella produzione non solo di droni, ma anche di missili ipersonici. Nel campo della missilistica ipersonica, gli USA sono stati superati da Russia, Cina, Iran e Corea del Nord. Può sembrare strano per un Paese che spende più di tutti gli altri messi insieme per gli armamenti; ma non lo è per niente, se si considera che il Pentagono è nelle mani dei lobbisti di Raytheon e di Lockheed Martin.
L’imperialismo è business, ma, curiosamente, anche l’antimperialismo può diventare tale. In questi anni
la Russia ha venduto il sistema antiaereo S-400 come una specie di dispositivo per ottenere indipendenza dall’ingerenza USA e NATO; ingerenza che, notoriamente, si esprime con quella pioggia di democrazia che è il bombardamento. Il sistema S-400 è stato venduto non soltanto alla Cina, ma anche all’India, e persino a storici “alleati” degli USA come la Turchia e l’Arabia Saudita, che, evidentemente, non si sentivano tanto sicuri della “protezione” USA. La pioggia di bombe democratiche potrebbe colpire chiunque, e bisogna essere previdenti. Magari sul sistema S-400 si potrebbe fare uno spot pubblicitario, con tanto di slogan: il missile previdente che ti rende indipendente. Come testimonial dello spot si potrebbe usare Prigozhin, che è un attore pure meglio di Zelensky.