Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Non c’è nulla di strano nel fatto che Enrico Letta e Stefano Bonaccini si siano lasciati andare a sperticati attestati di stima nei confronti di Giorgia Meloni. Il PD è un partito dipendente dai media e, dato che la stampa di establishment sta trattando bene la Meloni, e che addirittura Bruno Vespa da mesi la tratta come se fosse una statista, allora bisogna adeguarsi al mainstream. Si tratta dello stesso vincolo mediatico per cui Enrico Letta si era precluso ogni esito positivo sul piano elettorale attardandosi nel culto e nella nostalgia di Draghi; un culto che i grandi quotidiani gli imponevano. Anche il fatto che Letta e Bonaccini abbiano ancora una volta scavalcato il dibattito precongressuale e le strutture di partito, affidandosi direttamente allo strumento dell’intervista, rientra in quel regime “intervistocratico” instauratosi nella sedicente sinistra a partire dagli anni’70. Come esempi canonici di intervistocrazia si ricordano i casi di Enrico Berlinguer e Luciano Lama, i quali rovesciarono la linea politica del PCI rispetto alla NATO e della CGIL rispetto al salario, mettendo la base davanti al fatto compiuto, e tutto ciò a colpi di dichiarazioni rilasciate a Giampaolo Pansa ed Eugenio Scalfari. In tal modo si consacrava anche il ruolo sacerdotale del giornalista, che diventava una sorta di autorità morale a cui affidare le proprie confessioni e le proprie aspirazioni di redenzione dalle velleità anti-establishment. Purtroppo il fenomeno intervistocratico coinvolse negli anni ‘70 persino la sinistra “antagonista”, per cui i “leader” del cosiddetto “Movimento” venivano creati sulle colonne del quotidiano “la Repubblica”, per essere successivamente macellati nel tritacarne giudiziario.
Il termine “media” è quindi obsoleto, poiché stiamo parlando di organi che svolgono direttamente un ruolo politico e che dettano moduli, tempi e scadenze della “realtà”. Si potrebbe quindi proporre la sostituzione definitiva della locuzione “mass media” con quella di “Big Tellers”. Gli eventi non esistono più in quanto tali, bensì in base all’aspettativa determinata dai giornali e dalle televisioni. Il 15 febbraio scorso si è svolta l’attesissima e pericolosissima manifestazione degli anarchici a Roma. I giornalisti erano eccitati allo spasimo, pronti a documentare le violenze anarchiche. E poi il flop, la grande delusione. Ci sono soltanto una ventina di persone in bicicletta! A questo punto, i titoli sono, a scelta: fallita la manifestazione anarchica; oppure: la polizia blocca la manifestazione degli anarchici! In realtà era tutto pronto, e molti si stanno ancora interrogando sui segreti e misteri che circondano l’evento. Come mai gli anarchici non hanno voluto manifestare in una piazza con tutte le vie bloccate da decine di cellulari e con centinaia di poliziotti pronti a massacrarli di manganellate? Bah! Valli a capire. La potenza dei cosiddetti media (i “Big Tellers”) consiste appunto nel sovvertire il procedimento dimostrativo, per cui la smentita dell’aspettativa diventa conferma.
Una volta stabilito il rapporto preferenziale con i “Big Tellers”, con i colossi della narrazione, si può accedere allo stadio privilegiato della logica; infatti l’eccellente ministro Nordio, per confermare il mantenimento del 41 bis per Cospito, e per difendere i suoi sodali (i cialtroni Del Mastro e Donzelli), ci ha regalato delle indimenticabili perle di riflessione giuridica. Secondo il ministro, le disperse e recalcitranti orde anarchiche avrebbero ricevuto e recepito gli ordini del detenuto (telepatia?), facendosene ispirare. Che gli ordini siano giunti ai destinatari, sarebbe dimostrato dal fatto che le orde, superando le solite e connaturate beghe e divisioni, siano riuscite a manifestare in più di venti persone. Quindi, secondo il ministro, la manifestazione anarchica corretta, e secondo manuale, sarebbe così concepita: un anarchico a Trento, uno a Forlì, uno a Roma, uno a Trapani, uno in Aspromonte, uno a Oristano. Ognuno deve manifestare rigorosamente per conto suo, altrimenti vuol dire che obbedisce a Cospito. Nordio dovrebbe anzitutto mettersi d’accordo con se stesso: prima dice che Cospito deve stare segregato al 41bis per impedirgli di dare ordini alle orde anarchiche, poi dice che, nonostante il 41bis, i suoi ordini arrivano lo stesso alle orde; anzi, ci arrivano più e meglio di prima.
Bisogna comunque ringraziare i cialtroni Del Mastro e Donzelli, poiché, se non fosse stato per loro, non avremmo saputo che il 41bis non è affatto un regime di isolamento, e che, anzi, ci sono veri e propri obblighi di socializzazione imposti ai detenuti. Il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria, il DAP, ha infatti costretto Cospito ad incontrarsi con dei boss durante le due ore d’aria, per poi intercettare le conversazioni tra loro. Le rivelazioni sulle intercettazioni sono state agghiaccianti, infatti pare che i detenuti al 41bis siano sfavorevoli al 41bis. Mostruoso! A causa di quelle sue blasfeme opinioni, Cospito ha perso ogni credibilità; almeno ciò a detta degli opinion leader dei talk show, come Massimo Giletti.
L’opinione pubblica forcaiola ovviamente plaude al linciaggio morale di Cospito, ed esige che diventi linciaggio fisico. Anche i forcaioli che hanno compreso che il potere è mentitore e fraudolento praticamente su tutto, sono però rimasti attaccati al mito del 41bis come ultima spiaggia della loro credulità: avete un po’ alla volta distrutto ogni fiducia nelle cosiddette istituzioni, lasciateci almeno la forca in cui credere; e se non c’è proprio la forca, almeno il suo succedaneo, ciò che le assomiglia di più, cioè il 41bis. Intanto però i magistrati sono incavolati con Del Mastro e Donzelli, poiché questi hanno incautamente rivelato che il 41bis non è un articolo di legge, ma una sorta di spot pubblicitario, nel quale il messaggio antimafia serviva in realtà a veicolare e venderci qualcos’altro, cioè un nuovo centro di superpotere, il DAP. Il potere discrezionale del DAP è praticamente assoluto, dato che può andare dalla tortura conclamata nei confronti del detenuto, sino alla concessione ai boss al 41bis degli arresti domiciliari, come si è visto nel 2020 con il pretesto del Covid. Del resto il caso Cospito ha messo in evidenza proprio questo, cioè che il 41bis può essere inflitto a chiunque con pretesti fumosi e, con pretesti altrettanto fumosi, può essere revocato a chiunque; perciò il 41bis non è affatto una misura di sicurezza, bensì uno strumento di potere e una merce di scambio. Un ignaro di dinamiche del potere potrebbe supporre che il ruolo di secondino non sia attraente; invece nei mesi scorsi abbiamo appreso che c’è una lotta ferocissima tra i magistrati per andare a svolgere l’ambitissima funzione di capo del DAP. L’ex ministro della Giustizia Bonafede avrebbe offerto e poi negato la direzione del DAP ai supermagistrati Gratteri e Di Matteo. Quest’ultimo ha anche accusato Bonafede di essere stato oggetto di pressioni non trasparenti nella nomina del capo del DAP. Per cercare di discolparsi, Bonafede è stato costretto ad andare a confessarsi in ginocchio da Massimo Giletti, che ormai svolge ufficialmente il ruolo sacerdotale di Grande Confessore e Inquisitore sul tema 41bis. Si può essere certi che non si deciderà nulla sul 41bis senza passare per il placet di Giletti.
Visto quello che ci è stato venduto grazie agli spot antimafia, figuriamoci cosa ci si potrà vendere con gli spot antiterrorismo. Per tenere sempre allegro e allerta il telespettatore con lo spettacolo edificante del vittimismo dei potenti, si potrebbe proporre un nuovo format televisivo, la messa in onda di un’affascinante trasmissione, dal titolo: “C’è posta (anarchica) per te”. Si potrà allestire una sfilata di vip (giornalisti, politici, magistrati, imprenditori, star dello spettacolo), che dovranno mettersi in lista d’attesa per partecipare allo show. Ogni vip avrà il suo momento di gloria, e offrirà pubblica dimostrazione del proprio coraggio ricevendo in diretta una minaccia anarchica, ovviamente senza lasciarsi intimidire. Ci si potrà fregiare del titolo nobiliare, trasmissibile agli eredi, di Vittima del Terrorismo ad Honorem. I trofei andranno dalla semplice lettera, al messaggio sui social, alla scritta sotto casa. Se non arrivasse niente, si sarà sempre in tempo a spedirsi qualcosa da soli ...
L’evasione di un cosiddetto “boss del Gargano” dal carcere di Nuoro ha ispirato un illuminante commento del locale capo della polizia penitenziaria, il quale è stato categorico: “Non si è trattato di un’azione estemporanea (sic!) …”. Se ne deduce che in un carcere di massima sicurezza le evasioni potrebbero essere anche un’improvvisata. Il questore di Nuoro ha voluto anche lui cimentarsi nella gara di perspicacia, chiarendo che questa evasione è “una cosa che sembra difficile da realizzare senza averla programmata e studiata”. Le telecamere di sicurezza riprendono infatti il boss della mafia garganica che se la squaglia utilizzando la tecnica delle lenzuola annodate, e altre modernissime tecniche del manuale dell’abate Faria. Non è interessante stabilire se tale evasione sia stata autogestita oppure assistita, e se le lenzuola le abbia fornite il ministro della Giustizia in persona; tanto meno ci interessa sapere se si tratta di un’evasione a tempo indeterminato, oppure di una licenza a termine, giusto per sbrigare qualche commissione, come quella concessa un mesetto fa a un detenuto agli arresti domiciliari, che la stampa ha indicato come un pericoloso killer di ‘Ndrangheta. Quell’evento dei primi di febbraio non aveva avuto una particolare risonanza, eppure era già un indizio che nel regime del 41bis ci sono figli e figliastri. Il punto vero è che nel sistema penitenziario, come in qualsiasi altra forma di potere, la cialtroneria e la crudeltà possono benissimo coesistere, anzi si completano a vicenda.
In un’intervista alla “Stampa”, il PM antimafia Sebastiano Ardita, già del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ha ovviamente avallato lo scaricabarile della Corte di Cassazione su Alfredo Cospito, ma non ha potuto fare a meno di constatare a denti stretti che la sua vicenda ha completamente sputtanato il mito del 41bis, e che il regime è ormai un porto di mare, talmente pletorico da rischiare il crac. Insomma, il 41bis è sicuramente tortura per alcuni detenuti, ma non significa affatto sicurezza, anzi, prevede incontri, e magari persino summit, tra i boss. Il mito del grande castigamatti era stato alimentato dalle fiction di mafia, congegnate a volte come veri e propri spot, nei quali la minaccia del 41bis faceva tremare i boss e induceva i protervi malavitosi alla collaborazione. Il 41bis era stato quasi personificato e ci era stato spacciato come un altro Mastro Lindo, potente ed efficiente con un tocco di sadomaso, invece si trattava di pubblicità ingannevole, per cui non solo si teneva lo sporco nascosto sotto il tappeto, ma ci si stava soprattutto vendendo qualcos’altro.
In linea con l’iperbole pubblicitaria i quotidiani e i telegiornali fabbricano balle spaziali sugli anarchici; una sorta di “fantanarchia”, al cui confronto la “fantarcheologia” del caro vecchio Peter Kolosimo era un modello di rigore scientifico. Abbiamo così anarchici che obbediscono ciecamente ad un capo, anti-organizzatori organizzatissimi e irreggimentati, individualisti sottoposti ad una disciplina ferrea, nemici della gerarchia che troverebbero nelle gerarchie mafiose il loro Eden, e via delirando. Il tg3 del 25 febbraio ci informava di alcune azioni rivendicate (letteralmente) dalla “Galassia anarchica”. Niente potrebbe essere più preciso e circostanziato che la Voce della Galassia. Chi mai oserebbe avanzare dubbi su di una simile rivendicazione? Per contrastare le minacce cosmiche, la risposta potrebbe essere quella suggerita dalla serie Star Trek, nella quale si arriva all‘auspicata FUP, la Federazione Unita dei Pianeti, per tenere a bada le agitate galassie. La cialtroneria della comunicazione ufficiale non soltanto è complementare alla crudeltà inquisitoria nei confronti delle opposizioni, ma soprattutto è funzionale al business dell’antiterrorismo che esige una narrativa tanto generica e fumosa quanto suggestiva. Qualcuno infatti potrebbe ridurre tutta la narrativa galattica ad una questione di deficit intellettivo dei giornalisti, invece le cose non vanno meglio quando si tratta dei mitici “inquirenti”, come dimostra il rapporto di intelligence presentato dal governo lo scorso 28 febbraio. A parte la beffa per il contribuente, costretto a pagare profumatamente per questo cumulo di banalità e aria fritta, gli “esperti di intelligence” confessano a pagina 93 del rapporto di aver allestito un “dispositivo informativo” sulla minaccia anarchica, in pratica una rete di infiltrati e confidenti, dalla quale si apprende che la civiltà occidentale sarebbe, nientemeno, minacciata da un’internazionale di autostoppisti e saccopelisti.
Il concetto di mafia è giuridicamente preciso e delimitato, mentre quello di terrorismo è assolutamente vago e indistinto, può diventare un contenitore in cui c’è tutto e il contrario di tutto; non a caso ora è spuntata anche la proposta di configurare un nuovo reato, il terrorismo di piazza. Il petardo attribuito a Cospito è stato riconfigurato dalla Cassazione come strage, perciò non ci sarebbe nulla di strano nel considerare terrorismo anche il cercare di danneggiare a colpi di cranio delle proprietà dello Stato come i manganelli dei poliziotti. L’operazione di enfatizzazione della minaccia terroristica e del mettere assieme cose che non c’entrano l’una con l’altra, non è affatto nata ora, bensì risale a quando nel ministero della Giustizia si è istituito un organismo come la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNAA); in tal modo si è creato un ibrido foriero di confusione e del tutto disfunzionale alla legalità, ma funzionalissimo agli affari delle lobby.
L’operazioncina di ibridazione è stata compiuta di soppiatto dal governo Renzi nel febbraio 2015, in un Decreto Legge numerato con il 7, nel quale si metteva un po’ di tutto. In effetti all’epoca le masse erano intrattenute e distratte con demenziali quanto inutili progetti di revisione costituzionale, perciò quasi nessuno si accorse della nascita del nuovo organismo geneticamente modificato, ed i giornalisti per anni hanno continuato a riferirsi a quell’organismo solo per quel che riguardava la sua funzione antimafia, dimenticandosi di quella A in più che compariva nell’acronimo e che ne rende il suono particolarmente inquietante. Il forzato incontro tra Cospito e i boss era stato, in un certo senso, già combinato in quel decreto del febbraio 2015, convertito in legge nell’aprile successivo. Avrebbe anche dovuto mettere sull’avviso il fatto che in un unico decreto si parlava di mafia, terrorismo ed anche di missioni militari, ma prima si sarebbe dovuto sapere che quel decreto esisteva.
Il militarismo ha i suoi meccanismi inesorabili, per cui ogni investimento nella guerra diventa inevitabilmente investimento nella guerra civile. Il militarismo non può accontentarsi dei nemici esterni, ma necessita di nemici interni, poiché la spesa nella ricerca tecnologica per gli armamenti e per l’intelligence militare deve comportare delle ricadute in ambito civile, altrimenti il business non risulta abbastanza conveniente. Mettere Difesa ed antiterrorismo, antiterrorismo e antimafia, tutti nello stesso calderone, è appunto un’operazione di lobbying d’affari. Se di terrorismo ce n’è troppo poco per creare allarme, non c’è problema, dato che basta dilatare la categoria di terrorismo e l’emergenza è servita. Ogni cittadino va criminalizzato preventivamente in quanto potenziale terrorista, perciò va spiato e controllato in ciascun interstizio della sua esistenza; o, almeno, questa è la fiaba “noir” che deve giustificare il giro d’affari. Per coronare il business, per farcelo digerire, non poteva e non doveva mancare lo spot dell’antimafia; poiché l’antimafia è buona, è bella, è civilizzatrice, è progressista, è politicamente corretta, quindi non desta diffidenze come il militarismo.
Mentre gli anarchici hanno assoluta necessità di capi, di gerarchie, di disciplina ferrea anche solo per allacciarsi le scarpe, ed obbediscono come un sol uomo agli impulsi telepatici di Cospito, al contrario il lobbying non ha bisogno di impartire ordini. Il lobbying infatti può esibire l’irresistibile seduzione del movimento di denaro: è sufficiente alludere al fatto che un po’ di terrorismo farebbe comodo agli affari, perché tutti (politici, magistrati, giornalisti) si adeguino spontaneamente. Non per scusare i giudici della Cassazione, ma ormai il business dell’antiterrorismo si è messo in moto e non si può pretendere da dei comuni mortali che frappongano il loro fragile corpo allo tsunami del denaro. Secondo la vulgata, Diritto e politica dovrebbero essere macchine dotate dello sterzo, del freno e della marcia indietro, cioè della capacità di correggersi; ma politica e Diritto sono stati soppiantati dal lobbying, dall’attivismo delle cosche d’affari, e quello ha solo l’acceleratore, ed è anche unidirezionale. Nel lobbying è il denaro che pensa al posto tuo, e pensa esclusivamente a come riprodursi, adottando ogni volta l’etichetta che fa comodo in quel momento, che può essere lo Stato o il mercato, il pubblico o il privato, il legale o l’illegale. Permane comunque un fascino delle astrazioni per cui dopo tutto quello che è successo con l’emergenzialismo Covid, che ha travolto ogni illusione di legalità, il povero Giorgio Agamben continua a trattare lo Stato non come un “brand”, ma come se fosse veramente un soggetto politico/istituzionale.
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