Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Uno dei generi giornalistici nostrani più fortunati è il “come sono bravi gli altri Paesi, come siamo stronzi e mafiosi noi”. I fenomeni narrati non vengono storicizzati ma falsati da un filtro moralistico. Le gerarchie morali tra i popoli diventano poi gerarchizzazioni antropologiche e, in definitiva, razziali. Il moralismo fa diventare razzististico persino l’antirazzismo, poiché si finisce invariabilmente per dividere l’umanità in gerarchie morali/antropologiche, cioè tra la razza superiore degli antirazzisti e la razza inferiore dei razzisti.
Il genere autorazzistico è tra i preferiti da “Report”, ma stavolta purtroppo c’è cascato anche Riccardo Iacona, di cui pur si ricorda l’impegno per la difesa di Julian Assange. A proposito di Assange, le rivelazioni di Wikileaks hanno messo in evidenza il fatto che i funzionari dell’imperialismo statunitense raccolgono le loro informazioni sulla stampa locale, quindi si alimentano di notizie inconsistenti, non basate sui dati di fatto ma sui soliti luoghi comuni. Ciò dimostra che non solo quei funzionari si rubano lo stipendio, ma soprattutto che l’imperialismo non procede per lucide strategie, bensì per schemi comportamentali, per riflessi condizionati.
Iacona ci ha narrato della
gestione mafiosa degli Atenei italiani, che escludono i candidati più titolati per favorire gli aderenti alle cosche, mentre all’estero sono i titoli e le pubblicazioni gli elementi decisivi per la carriera. Il quadro descritto è autentico, e c’è da constatare che l’aziendalizzazione dell’Università, lungi dal creare efficienza, ha ulteriormente ristretto le maglie della rete di potere, togliendo ogni margine di autonomia e quindi ogni possibilità per i candidati non conformisti di insinuarsi tra le maglie. C’è quindi da essere scettici anche sui risultati delle inchieste giudiziarie sulla mafia degli Atenei, inchieste che probabilmente rientrano nelle faide interne al potere stesso. Incautamente Iacona fa riferimento ai laboratori tedeschi dove sono state sviluppate le tecniche per i sieri anti-Covid. L’industria tedesca però si sarebbe solo sognata i trionfi commerciali dei suoi sieri se in un Paese mafioso come l’Italia non fosse stata allestita l’emergenza Covid, per cui nel progredito XXI secolo una semplice malattia è assurta al livello di catastrofe epocale. Allo stesso modo, per le multinazionali del digitale il business delle app di controllo sarebbe rimasto un’aspirazione se in Italia non fosse stata sperimentata la versione “hard” del “Green Pass”.
La “mafiosità” è a sua volta una competenza, è una tecnica di potere e controllo del territorio che si esercita a bassissimo costo in aree coloniali. Il fatto però che la gestione mafiosa sia avara e micragnosa, non vuol dire affatto che sia “arretrata” o marginale rispetto all’assetto imperialistico. Le oligarchie locali si specializzano in questa tecnica di gestione mafiosa e possono incentivare il proprio status internazionale trasformando il proprio Paese in un laboratorio per le multinazionali. Si tratta dell’arte per la quale il servo si rende indispensabile per il padrone e talvolta può persino controllarlo. Solo in una colonia come l’Italia sarebbe stato possibile allineare alla narrazione emergenziale tutti gli attori della vicenda: la politica, il mondo accademico, gli ordini professionali, i media e la grande maggioranza della popolazione. Certi sistemi omertosi si costruiscono in secoli di esperienza di servitù coloniale. Basti pensare alle vicende del divieto delle autopsie e del protocollo tachipirina/vigile attesa. Secondo il governo non erano direttive ma solo “consigli”, ma intanto chi sgarrava andava incontro a gravissime conseguenze. Senza assumersi responsabilità legali, il governo ha imposto il conformismo con allusive minacce, con “proposte che non si possono rifiutare”.
Il potere delle multinazionali è invece inadatto ad una gestione del controllo capillare a livello territoriale. Il potere finanziario sovranazionale è fondato sui flussi di capitale, che comunque comportano dei notevoli effetti sulle opinioni pubbliche e sulla narrazione mediatica. L’aggiotaggio (in inglese: stock manipulation) è considerato un reato, che consiste nella diffusione di notizie false che alterano il valore delle merci e dei titoli. In realtà l’aggiotaggio è intrinseco allo stesso movimento dei capitali e non dipende solo dal dolo dei singoli o delle associazioni a delinquere. Si è osservato infatti che gli investimenti di capitale nella “Green Economy” determinano automaticamente un maggiore spazio sui media per l’informazione allarmistica sul riscaldamento globale. Il movimento di denaro verso un certo settore rende automaticamente più credibile quel settore, perciò anche le informazioni che lo sostengono ottengono più spazio. Il denaro, col suo stesso movimento, altera la percezione della realtà, può persino confezionare una visione del mondo conforme ai suoi interessi; perciò spesso non c’è neanche bisogno di corrompere per ottenere ciò che si vuole, basta la suggestione. A sua volta
l’emergenzialismo climatico dei media determina un effetto di rimbalzo che alimenta gli investimenti nella “Green Economy”.
Per passare però dallo stadio enunciativo dell’emergenza all’emergenza acuta, conclamata ed applicata, l’allarmismo climatico dei media e della finanza deve trovare la sponda di un Paese laboratorio, che si dimostri in grado di allineare l’intera popolazione alla disciplina emergenziale. La finanza globale necessita di integrarsi con i sistemi di potere mafioso a livello locale.
Sulla
Gazzetta Ufficiale del 5 febbraio scorso si trova un curioso decreto governativo che vieta agli agenti segreti di andare a lavorare in aziende straniere nei tre anni successivi alla cessazione del servizio. Tre anni di castigo d’attesa per gli agenti che volessero impiegarsi in aziende all’estero non sono tanti, ma la vera perla del Decreto è che di fatto legalizza indirettamente la porta girevole tra i servizi segreti e le aziende private italiane, come già avviene nella ex Finmeccanica, ora Leonardo. Ciò che i media hanno raccontato come una “stretta” di Draghi è in effetti un via libera agli affari, una legalizzazione a posteriori di innumerevoli conflitti di interessi.
La porta girevole è ben più che un fenomeno di malcostume, è l’indizio, anzi la prova, che rivela quanto sia fittizia la distinzione, e addirittura la dicotomia, tra Stato e Mercato, tra pubblico e privato, tra politica e lobbying, e persino tra legalità e illegalità. Questi astratti orpelli giuridici sono solo una narrativa che serve a dissimulare l’esistenza di un’oligarchia che è trasversale al sistema istituzionale, al sistema delle imprese e della finanza ed al crimine organizzato. I servizi segreti sono diventati la principale struttura di riferimento ed il luogo di sintesi delle oligarchie della politica e degli affari.
Ci si scandalizza quando si scopre che
Amazon collabora stabilmente con la CIA e con la NSA, ma risulta evidente che la posizione di vantaggio dei servizi segreti nel disporre di informazioni finanziarie e industriali consente loro di creare le imprese in cui poi andranno a lavorare, ed a riscuotere lauti stipendi, dopo aver dismesso il ruolo di dipendenti cosiddetti pubblici. Senza i servizi segreti, probabilmente non esisterebbero le multinazionali. Gli agenti segreti sono esseri eterei, di una diafana spiritualità, immuni dalle lusinghe materiali, per cui solo un complottista sospetterebbe che essi possano approfittare del loro potere e della loro impunità legale per proprio tornaconto.
Si dice spesso che l’attuale capitalismo si sta evolvendo verso una sorta di feudalesimo. In realtà il capitalismo non ha mai rotto il suo filo di continuità storica col feudalesimo. Il cosiddetto capitalismo non è mai indipendente dal denaro pubblico, anzi si alimenta di esso. Anche in questo caso soccorre la narrazione mediatica, per presentare come abuso ciò che in effetti è la norma. I media ci fanno sapere che Draghi sta imponendo
una “stretta” (un’altra!?) sul bonus-edilizia per impedire truffe e abusi. Ci si accorge però che cambia molto poco, dato che rimane la possibilità per coloro che ricevono il credito dallo Stato di cederlo ad altri privati. Il governo stesso sta organizzando la truffa per favorire gli amici degli amici, e con quella truffa ha anche creato l’illusione di un aumento del PIL; ma se qualcosa sembra non andare, la colpa è solo degli Italiani che sono troppo “furbetti” e corrotti.
Un rimedio, per quanto parziale, all’aggressione della narrativa ufficiale, può essere quello di seguire i soldi. Per infliggere una severa lezione al suo presidente, che chiedeva un aumento delle spese militari, il Congresso statunitense ha deciso di stanziare 770 miliardi di dollari per
il budget della Difesa, ben 25 miliardi in più di quelli richiesti da Biden, con un incremento del 5% rispetto al budget dell’anno precedente. Così Biden impara a chiedere troppo poco.
Nonostante i suoi incrementi nella spesa militare,
la Russia invece nel 2022 spenderà in armamenti 48 miliardi di dollari, circa un sedicesimo della spesa USA. Però, secondo la narrazione mediatica, il guerrafondaio è solo Putin. La Russia di Putin è molto più criminalizzata dai media dell’URSS di Breznev. Forse perché Putin è percepito come molto più debole di Breznev. Con soli 48 miliardi di spesa militare Putin non fa abbastanza paura da rispettarlo. E poi, se la Russia non fosse cattiva come li giustifichi 770 miliardi di spesa militare? Dal punto di vista strategico però c’è qualcosa che non torna rispetto agli interessi degli USA. Una Russia senza il cuscinetto ucraino si dissolverebbe, e ciò permetterebbe alla Cina di occupare la Siberia, con il rischio in prospettiva di ritrovarsi i Cinesi alle porte dell’Europa.
La storia recente della stessa Russia dovrebbe insegnare qualcosa circa i disastrosi effetti strategici dell’invadenza dei servizi segreti. La multinazionale russa Gazprom è stata creata dal KGB nel 1989, e gli interessi di Gazprom sono stati decisivi nello smantellamento dell’Unione Sovietica, diventata un ostacolo agli affari: meglio avere clienti paganti che sudditi imperiali da dover mantenere e rifornire quasi gratis di petrolio e gas. I servizi segreti finiscono per aziendalizzare la strategia di un Paese, la destabilizzano e quindi impediscono di seguire gli interessi strategici, perciò si finisce per pensare solo agli affari.
Non che in Italia le cose vadano molto diversamente. In piena crisi delle forniture energetiche e con la prospettiva della fine dell’aiuto della BCE per lo spread, l’Italietta dovrebbe concentrarsi sul PIL, invece insiste con quel macigno sulla ripresa economica che è il Green Pass, che divide la popolazione e la pone in una condizione di insicurezza psicologica che scoraggia gli investimenti. Il problema è che il Green Pass è un business di SOGEI, la SPA di gestione dei servizi informatici di proprietà del Ministero dell’Economia e delle Finanze. In
un documento del 2013 del Garante della Privacy c’è un’autopresentazione di SOGEI, che ci fa sapere di occuparsi, oltre che di fare spionaggio sui luoghi di lavoro, anche di gestione di dati ad alto livello di segretezza per conto della NATO e della UE. Come a dire che SOGEI è un ente di spionaggio e controspionaggio, una sorta di National Security Agency nostrana, ovviamente in tono minore. A differenza della NSA, SOGEI produce in minima parte le tecnologie che adopera, per cui si rifornisce da multinazionali come IBM; il che però comporta l’intreccio con il sistema delle multinazionali, quindi maggiore potenza di lobbying.
C’è chi si ostina a sottovalutare Roberto Speranza, ed in effetti a guardarlo non gli si farebbe fare il ministro ma un test tossicologico. Intanto però
Speranza ostenta in un’intervista i suoi legami con SOGEI, come ad avvertirci che ha le spalle ben coperte e che il business del Green Pass conta di perpetuarsi in eterno. Del resto SOGEI non ha tutti i torti: se vai a spiare i Russi, i Cinesi o i Turchi, quelli magari ti scoprono e ti fanno un mazzo così. Spiare gli Italiani è invece un business di tutto riposo, solo profitti e niente rischi. Anche negli anni ’60 e ’70 i nostri servizi segreti fabbricavano una guerra civile in nome della lotta ad un inesistente pericolo comunista, per cui non c’è da stupirsi se oggi si inventano pure il terrorismo no-vax. Ci sono peraltro segnali che il business nostrano della fiction di una guerra civile sta facendo scuola anche negli USA.