Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Anche in Italia si parla già di terza dose del vaccino Pfizer-BioNTech (forse “non per tutti”, bontà loro), anzi, si ipotizza persino la vaccinazione annuale. Come a dire che la spesa sanitaria dei prossimi anni sarà praticamente “mangiata” dalle campagne vaccinali. Intanto Pfizer aumenta i prezzi delle dosi, e il direttore dell’AIFA, Nicola Magrini, commenta che in fondo è comprensibile, poiché la multinazionale ha bisogno di fondi per la ricerca sulle “varianti”.
Si tratta di una balla colossale, dato che la ricerca sul “vaccino” (o quello che cavolo è) di Pfizer-BioNTech è stata finanziata con mezzo miliardo di fondi pubblici, in parte del governo tedesco ed in parte della Banca Europea per gli Investimenti (BEI). Che il governo tedesco pensasse solo agli affari di casa propria e della propria multinazionale BioNTech, era logico; ma i soldi della BEI coinvolgevano gli interessi di tutta l'Unione Europea.
C'era quindi la piena legittimità per liberalizzare i brevetti dei vaccini. Ovviamente non è stato fatto: una “vaccinolatria povera” sarebbe infatti una contraddizione in termini. La liberalizzazione dei brevetti dei vaccini potrebbe essere un obbiettivo comune tra i “vaccinolatri” idealisti, che si immaginano nelle loro allucinazioni miliardi di poveri assetati di vaccino, ed i cosiddetti “no-vax”, cioè quelli che sono per vaccinazione su basi effettivamente volontarie; non come adesso, con lo Stato “padrino” che ti fa una “proposta che non puoi rifiutare”.
Nel medioevo ai fraticelli che invocavano una “Chiesa povera”, le gerarchie ecclesiastiche replicavano con l'anatema, spiegando che una Chiesa povera non sopravvivrebbe neanche cinque minuti. Senza denaro la religione non fa proseliti; non perché il denaro li compri, ma perché è il denaro a renderti credibile.
Oggi non viene fornita nessuna spiegazione alla mancata liberalizzazione dei brevetti dei vaccini, ma è chiaro che, senza il business delle multinazionali, la campagna vaccinale perderebbe subito il suo “pathos” ed il suo alone mistico, i media smetterebbero di fare terrorismo ed i governi di fare lobbying, per cui le vaccinazioni procederebbero solo su base volontaria e la vaccinolatria si affloscerebbe. Persino i più puri fraticelli della vaccinolatria improvvisamente perderebbero entusiasmo e fede nel loro dio, senza neppure sapersi spiegare il motivo. Il fatto è che il denaro non è solo business o desiderio di arricchimento personale, è fascino, suggestione sociale, poiché il denaro rende straordinariamente serio, importante e indispensabile, agli occhi di tutti, tutto ciò che tocca.
Generosa e compassionevole con i ricchi e potenti, la vaccinolatria è però spietata con i poveri e i deboli. Un tribunale di Modena ha dato torto a due fisioterapiste di una cooperativa di assistenza che avevano fatto ricorso contro la sospensione senza stipendio per non essersi vaccinate. Il “costituzionalista” Sabino Cassese commenta che il tribunale si è “ispirato” al principio di solidarietà. Cassese ha ormai stampata in faccia un’espressione furbastra da cartomante televisivo, ed in effetti le sue argomentazioni hanno qualcosa di sciamanico. “Datore di lavoro” e lavoratore dovrebbero essere soggetti entrambi alla legge; il datore di lavoro non potrebbe pretendere dal lavoratore niente che non sia previsto dalla legge o dai contratti; una legge di obbligo vaccinale non c’è, quindi non ci sono le condizioni legali per sospendere nessuno, ma viene fatto lo stesso in base alle “ispirazioni”. Grazie alla vaccinolatria il “datore di lavoro” può disporre della vita del lavoratore, ed i giudici plaudono. Tra l'altro ai magistrati nessuno osa chiedere se siano vaccinati o meno: i no-vax sono oggetto di caccia solo nelle categorie deboli, come gli insegnanti.
Il governo potrebbe benissimo istituire per legge l'obbligo vaccinale. L'EMA, l'agenzia europea del farmaco, ha concesso agli attuali vaccini solo un'approvazione condizionata, ma gli Stati potrebbero anche decidere autonomamente di pronunciare un’approvazione definitiva. Il problema è che il governo non vuole affatto muoversi nella legalità. Come si vede nei luoghi di lavoro, la vaccinolatria consente di stabilire gerarchie antropologiche, razze superiori e inferiori: i “competenti” e gli “ignoranti”. quelli che “per il tuo bene” possono importi la vaccinazione e il pass, e sotto la massa sottomessa dei “beneficati”, anche loro però gerarchizzati in vaccinati e no-vax, provvisti di pass e sprovvisti. E poi diamo lezioni di civiltà ai Talebani.
La religione vaccinale si avvia a diventare la nuova visione del mondo, la luce che guida e disciplina le masse amorfe. Sin dall’inizio dell’emergenza chi gestisce e pubblica i dati sulla presunta pandemia è la Johns Hopkins University, un centro gravitazionale di interessi finanziari, dove insegnava anche Ashraf Ghani, il fuggiasco presidente dell'Afghanistan. Dal marzo del 2020 c’è un sito per l’Italia, che dà conto dei dati sui positivi, i guariti-dimessi e i deceduti.
Nel sito Mondo della stessa JHU invece la categoria “recovered” (guariti e dimessi) è stata sostituita con “dosi di vaccino somministrate”. La guarigione quindi non è proprio più prevista, non interessa più a nessuno, si prende in considerazione solo la vaccinazione: è il trionfo della vaccinolatria.
Ringraziamo Mario C. “Passatempo” per la collaborazione.
Quando la comunicazione dominante affronta questioni che riguardano paesi esterni al sacro Occidente, spesso finisce per utilizzare schemi che prediligono l’esotismo, l’orientalismo, il mistero, i barbarismi e altre fumosità inintelligibili.
Si va da Abubakar Shekau, leader di Boko Haram che leggeva il Corano mentre guidava la motocicletta, e nonostante le raccomandazioni della madre, a Gheddafi in fuga verso l’Africa profonda, braccato dalle potenze occidentali ma con un tesoro di lapislazzuli, lingotti d’oro e diamanti.
Così, per spiegare l’ascesa e l’affermazione di una entità come l’ISIS, la comunicazione mainstream ci dà una soluzione credibile: si finanziano con il contrabbando del petrolio. Come se delle formazioni armate in continuo movimento potessero avere il tempo e la capacità di ripristinare i pozzi petroliferi, di organizzare il trasporto e la vendita sottocosto (altrimenti che contrabbando è) del petrolio ad acquirenti degli stati contigui, teoricamente ostili, ricavarne denaro sufficiente e presentarsi sul mercato internazionale degli armamenti a fare shopping.
Si lascia poi a qualche noioso analista, o a qualche complottista, il compito di spiegare che le varie fazioni islamiste sarebbero state ben poca cosa senza il sostegno delle scuole coraniche come canale di finanziamento da parte dell’Arabia Saudita (con la supervisione USA); che l’eliminazione di Gheddafi era dettata da interessi geopolitici più sostanziosi dei suoi lapislazzuli; che l’ISIS non sarebbe mai esistito senza i soldi delle petromonarchie e senza un nocciolo duro costituito dalla guardia repubblicana sunnita di Saddam. Gli attacchi e gli attentati dei sunniti contro gli sciiti in Iraq sono stati utilissimi per gli USA, che avevano bisogno di destabilizzare l’intera regione, visto che il governo iracheno a maggioranza sciita avrebbe potuto stringere un’alleanza con l’Iran o con la Siria.
Non è ancora chiaro in quale tipo di strategia debba essere inquadrata la ritirata della coalizione a guida USA dall’Afghanistan. L’immagine dell’elicottero che porta via il personale americano a Kabul evoca senz’altro quella famosa di Saigon; ma in quel caso si trattò di una vera sconfitta sul campo da parte di un esercito ben equipaggiato e addestrato. Una situazione non paragonabile a quella di formazioni armate con un livello di tecnologia militare equivalente a zero, come nel caso dei talebani.
D’altro canto è inevitabile pensare a un bilancio. Se gli Stati Uniti, con la solita faccia di bronzo, parlano di missione compiuta, bisogna comunque ricordare che la missione è costata 2300 miliardi di dollari agli USA; che le vittime afgane sono state 160mila e quelle della coalizione 3600; che dopo decenni di addestramento, le forze armate afgane create dall’occidente, si sono liquefatte in pochi giorni (fra l’altro, Bin Laden, saudita, è stato ucciso in Pakistan), e che dopo 20 anni si ricomincia da capo.
Spetta alla comunicazione ufficiale l’ingrato compito di raccontare balle per distrarre da un bilancio che sembrerebbe anche politicamente catastrofico. Molte testate si lanciano sul classico “timore di un nuovo medioevo”, altre preferiscono “una possibile ripresa del terrorismo islamico”. C’è chi invece teme “la nascita di un nuovo Narco-Stato”, visto che i talebani si finanzierebbero con i proventi dell’oppio. Nel racconto favolistico tutto sembra plausibile, e ogni rovesciamento della realtà trova un suo fondamento.
In realtà, nella classifica dei Narco-Stati, gli USA non sono secondi a nessuno. Gli Stati Uniti consumano circa il 50% della produzione mondiale di droga, ma controllano i traffici illegali in modo diretto o indiretto in ogni parte del mondo. Il totale fallimento della cosiddetta “guerra alla droga” è stato in realtà un formidabile successo. In un libro del 1973, [La politica dell’eroina, oggi difficile da reperire] Alfred W. McCoy spiegava con un’ampia documentazione come la diffusione delle droghe sia stata sempre gestita dai vari servizi segreti, come ad esempio dalla Cia. In effetti i benefici dal punto di vista del dominio sono enormi. McCoy sottolinea, ad esempio, l’importanza del traffico di droga per le imprese coloniali. Prima i Portoghesi, poi i Francesi in Indocina, quindi gli Inglesi in India, infine gli USA nel Vietnam e in Afghanistan hanno cercato di compensare gli enormi costi di imprese coloniali non sempre redditizie, con i proventi della droga. L’industria afgana dell’oppio, che i talebani avevano messo in ginocchio, è stata ripristinata, organizzata e sviluppata dagli Stati Uniti passando dal 6% del 2001 al 93 % del mercato mondiale del 2007. I dati del 2017 segnalano un record della produzione annua di 9000 tonnellate di oppio; mentre nel 2020, nonostante la crisi Covid, le tonnellate prodotte sarebbero solo (!) 6300. I vantaggi della politica della droga sono noti: rendere più docili e sottomesse le popolazioni colonizzate (come fecero gli Inglesi diffondendo a livello di massa l’uso dell’oppio in India)(1), organizzare sistemi di controllo poliziesco specifici per la “guerra alla droga”, mettere le mani su una parte degli introiti dei traffici illeciti, ottenere la complicità di governi e organizzazioni criminali locali, e così via. Fra l’altro, un paese destabilizzato in permanenza come l’Afghanistan offre ampie possibilità di triangolazioni finanziarie per il money laundering, lavaggio di denaro sporco, come segnalava Assange già 10 anni fa.
Che i talebani abbiano deciso di racimolare un gruzzoletto con il traffico di droga, è possibile. Ma senza l’esperienza criminale degli USA non farebbero molta strada. Bisogna piuttosto chiedersi come faranno gli USA senza il mare di droga che producevano in Afghanistan. Vedremo.
(1) Il romanzo di Amitav Ghosh, Mare di papaveri, offre uno straordinario affresco del periodo delle “guerre dell’oppio”, con riferimenti storici molto precisi.
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