Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
I media stanno inneggiando da settimane alle presunte "novità" provenienti dal Mondo Arabo, novità che consisterebbero in quelle inedite esperienze che sono i colpi di Stato militari. Ma, più di tutte, la situazione della Libia ha assunto i contorni del déjà vu, di una vicenda già vissuta nei minimi dettagli.
Vari commentatori hanno ipotizzato che, dietro l'ondata di rivolte nei Paesi arabi, vi sia un'unica strategia di destabilizzazione di marca statunitense. Vi sono certamente degli indizi che possono conferire qualche fondatezza a questa ipotesi, come, ad esempio, il ruolo di personaggi ambigui come El Baradei in Egitto. In effetti nel caso della Tunisia e dell'Egitto è anche possibile che gli USA stiano mettendo in atto operazioni di recupero riguardo ad una situazione che cominciava a sfuggire di mano per una serie di tensioni sociali ed istituzionali direttamente provocate dalle privatizzazioni selvagge imposte dal Fondo Monetario Internazionale e dall'Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO). Sta di fatto invece che il caso libico assume dei contorni davvero singolari rispetto a quelli della Tunisia e dell'Egitto, perciò per la Libia non si può più parlare di semplici indizi e sospetti, ma di una serie di marchiane evidenze.
Alcuni giorni fa, un articolo su Militant-Blog, a proposito degli eventi libici, parlava di "puzza di Kosovo", ma ora sembra addirittura di ripercorrere passo per passo lo schema della "emergenza umanitaria" in Kosovo del 1999, che costituì il pretesto per l'aggressione della NATO contro la Serbia, una serie di bombardamenti a tappeto spacciati dai media come "ingerenza umanitaria". Novello Milosevic, anche Gheddafi si trova colpito contemporaneamente dalla secessione unilaterale di una parte del Paese e da una campagna di criminalizzazione internazionale, che già si è concretizzata in sanzioni economiche dell'ONU e della Unione Europea con tanto di sequestro dei beni libici, fatti passare tout-court dai media come beni della "famiglia Gheddafi". Il "congelamento" dei suoi presunti beni si configura perciò come una rapina coloniale in grande stile ai danni dello Stato libico. Ma in queste ore pare che la NATO stia anche allestendo una "no fly zone" sulla Libia, utilizzando ovviamente le basi militari italiane, che Berlusconi sta concedendo esattamente come D'Alema nel 1999; cosa che, si spera, dovrebbe almeno liquidare le residue fiabe circa il Berlusconi in conflitto con i poteri forti internazionali.
La "no fly zone" della NATO implica un'aggressione in piena regola, poiché imporla significherà abbattere gli aerei libici, magari con il contorno di qualche bombardamento vero sulla popolazione civile, che dovrebbe supplire a quelli immaginari di Gheddafi. Nel 1999 le operazioni NATO furono ispirate e dirette dal presidente Clinton, adesso dal segretario di Stato Clinton, quindi ci siamo quasi.
A rafforzare la sensazione di già visto, c'è persino la onnipresenza mediatica di Emma Bonino, la quale, dopo essere stata eletta nel 1999 nemica ufficiale di Milosevic, ora è diventata anche colei che detta la linea ufficiale per ciò che concerne le operazioni anti-Gheddafi. La deputata radicale ha potuto ancora una volta esibirsi nelle sue mirabolanti capacità logiche in un intervento su Repubblica Radio-TV, allorché, auspicando le sanzioni ONU e UE contro Gheddafi, ha poi aggiunto che occorrerà poi trovare le prove dei suoi crimini contro l'umanità, con ciò implicitamente ammettendo, in un colpo solo, sia che tali prove adesso non esistono, sia che le sanzioni ONU e UE sono state imposte d'arbitrio, senza alcuna inchiesta preventiva.
In compenso ci sono le inchieste e le prove contro gli USA sia per Guantanamo che per il massacro di civili in Iraq ed Afghanistan, ma ciò non impedisce ad Obama ed alla Clinton di ergersi a giudici, sbirri e boia in materia di difesa dei diritti umani, e di essere accettati in questo ruolo dalla sedicente "Comunità Internazionale" (pseudonimo degli stessi Stati Uniti). La Bonino dovrebbe essere a sua volta imputata per crimini contro il buon senso, da lei commessi in nome della provocazione/disinformazione occidentalista, dato che, allo stato attuale, non soltanto non esiste il supporto di prove alle notizie di atrocità commesse dal regime libico contro i rivoltosi, ma non ci sono neppure le fonti delle presunte notizie. Si tratta infatti di notizie orfane, di cui è stato possibile accertare il diffusore - le emittenti arabe come Al Jazeera, la stessa che aveva dato per certa la fuga di Gheddafi in Venezuela - ma non l'origine. Al contrario, le smentite a queste notizie provenivano da testimoni ben individuati, come il vescovo di Tripoli e gli Italiani sfollati dalla Libia, ma la comunicazione ufficiale non ha ritenuto di prenderle in considerazione. Dato che non confermavano la linea ufficiale, una giornalista di Repubblica Radio-TV ha infatti liquidato come "confuse" le affermazioni degli Italiani appena giunti da Tripoli.
Le analogie non finiscono qui, dato che anche nel 1999 gli Stati Uniti dettarono la linea al Consiglio di Sicurezza dell'ONU ottenendone, come oggi, un pronta obbedienza, che ha visto, come allora, la sottomissione anche di Russia e Cina. Putin è sembrato addirittura fra i più ansiosi di scaricare Gheddafi, come del resto fece con Milosevic, sebbene sia risaputo che si sta preparando una nuova operazione della NATO e che stavolta le Forze Armate russe difficilmente saranno disposte a passarci sopra. Chissà se la prossima vittima di un colpo di stato militare non sia proprio Putin, che si oppone all'aggressività militare USA non in chiave globale, ma solo quando pressa i suoi confini; una strategia strettamente difensiva che sta cominciando a logorare i suoi rapporti con i generali russi. Anche la Cina non dovrebbe essere troppo felice di questa penetrazione militare USA in Africa, che certamente va a disturbare la penetrazione affaristica cinese in quel continente; eppure la Cina non ha fatto opposizione, segno che forse, a dispetto di tutti i tentativi ideologici di rendere astratto ed impersonale il concetto di "Impero", il vero e solo imperialismo rimane quello americano.
Intanto la Cirenaica si configura già come un altro Kosovo, uno staterello etnico fantoccio della NATO, e probabilmente nel territorio strappato al tiranno di Tripoli già si sta dissodando il terreno per impiantare una base militare USA, una nuova Bondsteel, a guardia dei pozzi di petrolio e di gas sottratti manu militari alle cure amorevoli dell'ENI. Rispetto al Kosovo c'è infatti qualcosa in più, e riguarda la variabile delle imprese italiane che sono state non solo spiazzate dalla secessione, ma anche dalle sanzioni economiche alla Libia. Le quote azionarie libiche nell'ENI, in Finmeccanica ed in UniCredit si trovano adesso in una sorta di limbo giuridico che consegna il manico del coltello a chi controlla e ispira le sanzioni stesse, e cioè gli Stati Uniti. L'Eni e la sua cordata imprenditoriale si trovano quindi doppiamente sotto scacco, ma l'unica cosa che ha saputo dire a riguardo il presidente di Finmeccanica, Guadagnini, è stata che i nuovi padroni della Libia avranno pur sempre bisogno dei prodotti di Finmeccanica. Forse, ma non è detto che per allora il presidente sia ancora Guadagnini.
Le multinazionali anglo-americane hanno quindi allestito una duplice operazione coloniale, centrando in un colpo solo la Libia e l'Italia, tutto ciò nel gaudio dei media italiani, a riprova che gli attuali dirigenti dell'ENI non hanno seguito le orme di Enrico Mattei, il quale si premurava di avere a disposizione le proprie armi nella guerra dell'informazione/disinformazione. L'amministratore delegato dell'ENI, Scaroni, dovrebbe anche chiedersi a cosa siano servite tutte le mazzette che ha elargito per decenni ai servizi segreti italiani, dato che gli Stati Uniti hanno colto alla sprovvista sia lui che Gheddafi. In questi giorni l'ENI si sta giocando la sua sopravvivenza, poiché, se si lascia sottrarre senza reagire i giacimenti libici, perderà anche la faccia con ogni possibile interlocutore nei Paesi del terzo mondo.
Lunedì ultimo scorso la NATO, per voce del suo segretario generale, ha lanciato a Gheddafi un solenne avvertimento, secondo il quale i bombardamenti sui civili costituiscono un crimine contro l'umanità e perciò la NATO non rimarrà a guardare. Non si può negare che, quando si tratta di bombardare i civili, la NATO non si è mai limitata a guardare, ma si è sempre data da fare in prima persona. Stavolta non si tratta neppure di rivangare nel passato, poiché le stragi di civili operate dalla NATO hanno il pregio della contemporaneità rispetto a quelle che la propaganda ufficiale attualmente attribuisce a Gheddafi.
Appena pochi giorni fa, l'ennesima strage di bambini ad opera di elicotteri della NATO ha provocato una rabbiosa manifestazione a Kabul, di fronte alla quale anche quel fantoccio del presidente Karzai ha dovuto alzare la voce contro il capo delle forze NATO, il generale Petraeus. Ancora alla fine di febbraio, Petraeus aveva osato affermare che le ferite inferte ai bambini nel corso dei bombardamenti NATO erano un falso dei Talebani, i quali avrebbero indotto dei propri simpatizzanti a bruciare le braccia e le gambe ai loro stessi figli, solo per poter accusare le forze armate statunitensi. Per inventarsi questa storia, Petraeus deve essersi rifatto a quel classico della guerra psicologica che è "Apocalypse Now", in cui un Marlon Brando rapato a zero narrava di un episodio mai accaduto, cioè il taglio delle braccia a dei bambini vietnamiti ad opera dei Vietcong; un falso che è diventato però una specie di "verità storica", consacrata dall'abitudine alla narrazione. Poi di fronte all'evidenza delle prove per le ultime stragi di civili, lo stesso Petraeus non ha trovato altri film da raccontare, e se l'è cavata con delle scuse. Agli Stati Uniti basta pronunciare un "ops!", ed anche un bombardamento sui civili effettuato a distanza ravvicinata con elicotteri, diventa per i giornali uno spiacevole incidente, da confinare in poche righe nelle pagine interne e dimenticare immediatamente.
In questa ultima settimana è sembrato che sulla messa in atto di una "no fly zone" sulla Libia le perplessità crescessero all'interno della stessa amministrazione statunitense. Si è ricordato che solo poche settimane fa il segretario alla Difesa Robert Gates aveva dichiarato davanti a degli studenti che solo un pazzo potrebbe consigliare una guerra in Medio Oriente al presidente USA. Ma quando mai gli Stati Uniti non hanno spianato il terreno alle loro guerre senza servirsi della retorica antibellicistica?
I media hanno diffuso anche la voce di una opposizione alla "No fly zone" da parte di Cina e Russia, ma in effetti i comunicati cinesi e russi si sono limitati ad auspicare una soluzione pacifica per la Libia, senza minacciare ritorsioni diplomatiche o annunciare battaglia in sede ONU.
Un altro tema che ha imperversato sui blog in queste settimane riguarda il declino dell'impero statunitense e la sua presunta impossibilità di lanciarsi in ulteriori avventure militari. Alcuni commentatori già pensano al dopo-USA, e cercano di individuare la superpotenza del futuro: la Cina o l'India, o magari entrambe, la "Cindia". Ma chi mette il carro davanti ai buoi, spesso si ritrova a chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. In realtà non c'è mai stato un periodo in cui gli Stati Uniti non fossero in declino e che la loro potenza non risultasse in crisi. Anche negli anni '80 il predominio statunitense era dato per spacciato di fronte alla potenza emergente del Giappone.
Georges Clemanceau pronunciò a riguardo uno spassoso aforisma, secondo il quale gli Stati Uniti sono l'unico Paese passato direttamente dalla barbarie alla decadenza senza mai passare per la civiltà. L'incapacità statunitense di vincere le guerre è diventata ormai un luogo comune, ma il generale Fabio Mini ci ha avvertito da tempo che la nozione di vittoria è stata estromessa dalla strategia militare. Un'occupazione militare non richiede vittorie militari, e può perdurare anche senza conseguire vittorie militari. In realtà la vera forza degli Stati uniti è sempre consistita nella rete internazionale di complicità e connivenze che hanno saputo allestire.
La grande risorsa degli Stati Uniti sono i filo-americani, cioè i reazionari e gli affaristi del pianeta. Un ruolo decisivo nel predominio coloniale delle multinazionali statunitensi lo svolgono inoltre le organizzazioni internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale, l'Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO), la stessa Unione Europea, e, ovviamente, l'ONU.
Ad esempio, una confusione della memoria storica verificatasi in questi giorni in cui si è parlato di Libia e modello Kosovo, ha riguardato il ruolo dell'ONU nella guerra del Kosovo del 1999. Si è detto giustamente che l'aggressione aerea sulla Serbia fu scatenata dalla NATO senza che il Consiglio di Sicurezza si fosse pronunciato, quindi una guerra "illegale"; ma si è dimenticato di aggiungere che fu in effetti la Risoluzione 1244, del 10 giugno 1999, dello stesso Consiglio di Sicurezza a consentire e legalizzare l'occupazione NATO del Kosovo. Nell'appendice 2 della Risoluzione si affidava infatti alla NATO un ruolo "sostanziale" nelle operazioni di peace keeping in Kosovo, legalizzando il paradosso di affidare la pacificazione a chi aveva scatenato la guerra. La NATO non era mai riuscita ad ottenere sul campo l'occupazione del suolo serbo, e fu l'ONU a consentirgliela, cioè la Russia e la Cina. http://www.eurasia-rivista.org/cogit_content/articoli/EkpFVAFklFJmxqwZqO.shtml
Putin non è un fantoccio degli Stati Uniti come lo era Eltsin, ed è inoltre circondato dall'astio dei media “occidentali” a causa dell'abilità con cui conduce i propri affari; forse per questo Putin è diventato la speranza della "destra antagonista". Un vuoto di memoria ricorrente riguardo a Putin consiste però nella messa in ombra delle sue responsabilità nell'affossamento del regime serbo di Milosevic.
Putin non era ancora presidente quando la NATO aggredì la Serbia, ma non è stata la NATO a rovesciare Milosevic, ma la doppiezza di Putin, diventato primo ministro su nomina di Eltsin nell'agosto del 1999. Con una spericolata operazione militare, forse approfittando del cronico coma etilico dell'allora presidente russo Eltsin, nel giugno di quell'anno l'esercito russo era riuscito addirittura ad occupare il capoluogo del Kosovo, la città di Pristina, arrivando a fronteggiare le truppe britanniche della NATO. Il fatto provocò anche un addolorato e preoccupato articolo di Ernesto Galli della Loggia, un esempio di come gli opinionisti ufficiali siano soliti usare pesi e misure completamente diversi, a seconda se si tratti di interventi militari "occidentali" oppure di altri.
http://archiviostorico.corriere.it/1999/giugno/13/NAZIONALISMO_FINE_SECOLO_co_0_9906133789.shtml
Sul Web si riesce però a trovare la notizia di quell'impresa, ma non si riesce a sapere quando e come i russi furono indotti a ritirarsi.
Perché Putin non approfittò della posizione di vantaggio che quella occupazione militare russa gli procurava? Perché mesi dopo lasciò liquidare Milosevic in base ad un risultato elettorale chiaramente manipolato dall'ingerenza statunitense?
http://archiviostorico.corriere.it/2000/ottobre/02/Mosca_pronta_scaricare_Milosevic__co_0_0010022940.shtml
La domanda può essere riferita all'oggi: perché Putin si è affrettato a scaricare Gheddafi?
La risposta è sempre la stessa. Putin non può opporsi fino in fondo agli Stati Uniti perché parla il loro stesso linguaggio, quello degli affari. Putin non vuole restituire un ruolo ed un prestigio alle forze armate russe, perché ciò ostacolerebbe i suoi progetti di privatizzazione a tappeto. Per mezzo secolo l'Armata Rossa è stata l'unica e vera stampella del socialismo reale sovietico, perciò la sua disfatta in Afghanistan ha lasciato aperto il varco alle privatizzazioni volute dalle cosche affaristiche del KGB, oggi riconvertitosi in Gazprom.
Putin ha dovuto lasciare agire l'esercito in Ossezia perché ormai la pressione USA era ai suoi confini, e quindi avrebbe rischiato l'impopolarità ed aperto la strada ad un colpo di Stato militare; ma, a parte queste situazioni di emergenza, egli lascia l'esercito nella totale fatiscenza della logistica e degli armamenti. Anche in Ossezia l'esercito russo è stato costretto a cavar sangue dalle rape per spuntarla, dati i mezzi obsoleti di cui disponeva, a fronte degli armamenti moderni ed ipertecnologici del privatizzato esercito della Georgia.
Soltanto nel campo della missilistica nucleare Putin si preoccupa di mantenere il primato tecnologico, ma ancora una volta qui si tratta della sua personale sopravvivenza. Qualche anno fa il parlamento russo approvò anche una legge che consentiva a Gazprom di dotarsi di un esercito privato, mettendo sù una propria Blackwater, una notizia che avrà riempito di gioia le forze armate russe.
http://translate.google.it/translate?hl=it&langpair=en%7Cit&u=http://www.liveleak.com/view%3Fi%3D829_1183743028
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