Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Nonostante la grancassa mediatica abbia portato al parossismo i toni celebrativi, comincia a farsi strada la consapevolezza che il Recovery Fund, proposto da Francia e Germania e adottato dalla Commissione Europea, sia in effetti
una presa per i “fundelli”. In cambio di promesse di futuri aiuti, l’Italia dovrebbe immediatamente contribuire per l’ampliamento del bilancio europeo. Insomma, il dato concreto è che il governo italiano dovrebbe sborsare subito una novantina di miliardi, mentre il resto è fumo. I finanziamenti “promessi” dovrebbero poi giungere nell’arco di tre anni a partire dal 2021 e, ammesso che si riesca a superare le condizioni poste, la differenza tra quanto versato e quanto eventualmente riscosso non comporterebbe una copertura dei rischi del proprio debito pubblico.
C’è chi sollecita il governo ad affidarsi al finanziamento interno del debito pubblico invogliando i risparmiatori italiani ad acquistare i BTP. Ma dopo il successo del BTP “Italia”, il Tesoro non appare intenzionato a ripetere la performance, tanto che ha elaborato un BTP “Futura” dal meccanismo oscuro, aleatorio e complicato, fatto apposta per scoraggiare il piccolo risparmiatore. I “Mercati”, cioè i grandi investitori istituzionali, hanno subito accolto la notizia del BTP "Futura" provocando
un aumento dello spread, per festeggiare lo scampato pericolo del vedersi soppiantati dal piccolo risparmio, che in Italia potrebbe assicurare una copertura del debito per centinaia di miliardi. Non c’è ora più nessun timore per gli “investitori istituzionali”, che hanno potuto riscontrare che il loro lobbying all’interno del Tesoro controlla pienamente la situazione.
Il governo italiano quindi continuerà la recita del povero bisognoso, per poi spacciare all’opinione pubblica l’istituzione del Recovery Fund come una vittoria. Esattamente otto anni fa, nel giugno del 2012, il governo Monti fece altrettanto nell’occasione dell’istituzione del Fondo Salva Stati, il MES. Non soltanto il quotidiano “La Repubblica”, aedo ufficiale del governo Monti, presentò il Fondo Salva Stati come un grande risultato, ma anche giornali critici verso quel governo, come il “Fatto Quotidiano”, narrarono di una “sconfitta” della Merkel e propinarono ai loro lettori la fiaba di
un inesistente scudo anti spread.
La “vittoria” di Monti consistette nel versamento di decine di miliardi da parte dell’Italia nelle casse del MES per tappare i buchi di bilancio delle banche tedesche, francesi ed anche spagnole. La mistificazione sul MES continuò anche dopo, infatti quella filodrammatica che va sotto il nome di Corte Costituzionale tedesca, tenne sulla corda l’opinione pubblica per altri tre mesi, partorendo con fatica una sentenza che apparve come una concessione. Lo stesso Monti, con felice incoerenza, dimostrò di non credere per niente alla propria “vittoria”, decidendo di non chiedere i finanziamenti del MES poiché l’Italia, per farsi prestare a strozzo una parte dei propri soldi già versati, avrebbe dovuto accettare, come la Grecia, un commissariamento da parte della Troika UE-BCE-FMI.
Rappresentata all’opinione pubblica come un Paese in eterno dissesto, l’Italia continua in realtà a svolgere il ruolo di vacca da mungere o da pollo da spennare. Tra i Paesi che dovrebbero ricevere i maggiori finanziamenti da parte del Recovery Fund c’è infatti la Polonia, che pure non presenta alcun particolare segnale di sofferenza economica o finanziaria. Il punto è però che la Polonia è il Paese di confine della NATO e, come tale, ha diritto ad un trattamento di riguardo da parte di quell’organizzazione di supporto alla NATO che è l’Unione Europea.
La propaganda ufficiale, compreso il mitico Report, ci intrattiene da anni sul come siano bravi i governi polacchi a spendere i fondi europei, mentre noi non lo sappiamo fare. Il quotidiano confindustriale “Il Sole 24 Ore” ha pubblicato
un’intervista ad un eurocrate gestore dei fondi per sapere come mai in Polonia i finanziamenti europei producano tali mirabilie mentre nel Mezzogiorno d’Italia non c’è nulla del genere. Le risposte dell’intervistato si sono basate sui consueti schemi razzistici, a conferma che i Polacchi, a causa dei loro meriti anti-russi, sono stati ormai integrati a tutti gli effetti nella mitologia della razza nordica.
A distanza di qualche mese lo stesso quotidiano confindustriale ci spiegava in altro modo l’arcano: il governo italiano semplicemente non distribuisce i fondi europei destinati al Mezzogiorno per mantenere intatto l’attivo del bilancio primario, cioè quello al netto degli interessi sul debito pubblico. Una volta tanto il quotidiano confindustriale forniva un esempio concreto del
ruolo del Mezzogiorno come colonia deflazionistica, cioè un’area del Paese in cui la spesa corrente viene costantemente bloccata per preservare i residui di bilancio.
C’è un caso però in cui il governo sblocca i fondi europei per il Sud con una certa celerità, ed è quando occorre finanziare le
infrastrutture per le basi NATO. “Grazie” alla nuova base NATO l’area di Giugliano in Campania si è vista finanziare vari progetti, tra cui un piano di riassetto idrogeologico, in modo da poter sistemare le infrastrutture idriche e fognarie per i nuovi stabilimenti militari.
Pare che le basi militari c’entrino anche nel caso dei fondi europei destinati alla Polonia. Il governo polacco ha infatti invitato gli USA ad allestire una base militare sul suolo polacco in funzione anti-russa; una struttura che dovrebbe essere battezzata come
“Fort Trump”. I due miliardi di dollari che il governo polacco vorrebbe stanziare per la base non sono stati ritenuti ancora sufficienti dall’Amministrazione USA, perciò l’iniziativa è in stallo. Con i nuovi fondi europei la Polonia potrebbe convincere gli USA che, di certo, hanno tutta l’intenzione di farsi convincere.
Nella narrazione mediatica il regime polacco viene incasellato tra i nazionalisti e i sovranisti. Sarebbe sin troppo ovvio chiedersi che nazionalismo sia quello che sollecita l’occupazione del proprio territorio da parte di una potenza straniera, cercando di persuaderla pagando persino di tasca propria. Il problema vero riguarda però la stessa categoria di nazionalismo, che si rivela inconsistente ogni qual volta si esce dalla narrativa astratta e si entra nei dettagli. Secondo i commentatori ufficiali, uno dei maggiori indizi del nazionalismo polacco consisterebbe nel rifiuto del suo governo di accogliere quote di migranti. In realtà la Polonia non può diventare in nessun caso una meta di migrazione poiché ha una moneta troppo debole, lo zloty, che in questi anni ha già svalutato molte volte. L’unica possibilità per i migranti di trasformare i loro magri guadagni in qualcosa di più sostanzioso, sta invece nel cambio da una moneta forte ad una moneta debole. Anche se la Polonia accogliesse i migranti, questi per far sopravvivere con le loro rimesse le proprie famiglie rimaste in patria, sarebbero comunque costretti a cercare di passare in Germania. La “xenofobia” polacca rientra quindi nel solito gioco delle parti, mentre il vero obbiettivo è evitare una pressione migratoria alla frontiera tedesca.
I nazionalismi non esistono come soggetti politici e gli attori in campo sono sempre gli imperialismi oppure i sub-imperialismi, cioè gli imperialismi minori a base regionale sotto la tutela di un altro imperialismo. Il regime polacco quindi aspira a svolgere un ruolo sub-imperialistico nell’area dell’Europa Orientale, sotto l’ombrello dell’imperialismo planetario degli USA. Anche in questa circostanza i contribuenti italiani potrebbero svolgere la loro utile funzione di bancomat per finanziare le velleità imperialistiche dei partner europei.
Global Progress, un centro studi con sede a Washington, legato a sua volta ad una fondazione dagli oscuri finanziamenti, ha pubblicato un “paper”, un documento, su quei leader “progressisti” che costituirebbero un’alternativa all’offensiva cosiddetta “populista”. Tra questi “leader”, o presunti tali, c’è Emmanuel Macron ma anche personaggi già decotti come Matteo Renzi. L’etichetta che viene usata per accomunarli è quella di
“insurgents”, cioè ribelli, in base allo schema narrativo occidentalista che ci rappresenta il potere vigente, rigidamente oligarchico con una mobilità sociale verso l’alto azzerata, come se fosse invece “dinamico” e sempre in bilico.
Il messaggio ambiguo lanciato da Global Progress consiste infatti nel suggerire che debba svilupparsi una “resistenza” dei progressisti contro l’avanzata di un fantasmatico nemico interno, cioè il populismo. Allo stesso modo in cui rimane vaga nel documento la nozione di populismo, rimangono del tutto incerte e fumose le linee di quel “progressismo” che dovrebbe contrastare i presunti populisti, cioè personaggi minacciosi come Matteo Salvini, che il suo governo se lo è fatto cadere da solo.
L’idea di un Occidente sotto assedio da parte sia di nemici esterni, come Russia, Cina e Iran, sia da parte del nemico interno del populismo, è alla base di un libro del novembre dello scorso anno, scritto dal giornalista Maurizio Molinari, diventato da qualche settimana nuovo direttore del quotidiano “la Repubblica”. La parte “analitica” del libro si accentra sulla descrizione dell’avvento di una nuova guerra fredda, ed è quindi una chiamata alle armi dei guerrafondai occidentalisti puri e duri contro nemici irriducibili che esibiscono i propri propositi malvagi. La Russia e l’Iran pretenderebbero infatti di offrire di venderci il loro petrolio e il loro gas, mentre la Cina vorrebbe addirittura investire in infrastrutture nei Paesi europei. Solo pazzi criminali che aspirano al dominio mondiale oserebbero avanzare proposte così mostruose. Certo, se Russia e Iran si rifiutassero di venderci gas e petrolio e la Cina non investisse da noi i suoi capitali, ciò proverebbe ugualmente i loro intenti criminali.
La parte “propositiva” del libro di Molinari ricalca la consueta retorica “animabellista” dei diritti e di uno sviluppo economico più umano che non si faccia guidare dal criterio numerico del PIL, quindi rappresenta un appello ai politicorretti più rigorosi, da abbindolare con la prospettiva di uno sviluppo economico, che però non deve essere uno sviluppo economico ma qualcos’altro, che non si sa bene cosa sia. Magari questo oggetto misterioso è la stagnazione cronica ma non lo si deve mai ammettere apertamente.
Quest’Europa che sarebbe a rischio di imminente invasione russo-cinese, può infatti discutere all’infinito di crescita e delle sue modalità più o meno politicorrette; quello che è certo è che comunque l’Europa debba rimanere in stagnazione, almeno a giudicare dalla sua politica dei debiti pubblici. Se gli Stati europei emettono titoli del Tesoro trentennali a tasso fisso, è ovvio che si formi una lobby dei creditori interessata a che non vi sia la minima inflazione che possa intaccare il valore degli interessi che riscuotono; e l’unico modo di garantirsi contro l’inflazione è impedire la crescita economica. Col pretesto dell’emergenza Covid migliaia di attività commerciali e industriali sono state distrutte e la persistenza delle misure preventive contro la presunta pandemia ne impedirà la rinascita. Ciò ha permesso alle multinazionali del digitale di aprirsi nuove quote di mercato ma comunque non potrà essere ripristinato lo stesso volume di scambi. Ciò però potrebbe non bastare per garantirsi la deflazione per i prossimi decenni.
La finanza ed il militarismo hanno un interesse comune: tenere vivo quel clima di tensione internazionale, contrassegnato da sanzioni economiche, che impedisca uno sviluppo delle relazioni commerciali con il gigante energetico russo ed il gigante industriale cinese. La saldatura tra la finanza e il militarismo, tra la lobby della deflazione e l’enemy business della NATO, è l’ovvia conseguenza di tutto ciò.
La convergenza di interessi tra business finanziario e business militare viene ovviamente rappresentata in modo “dinamico”, secondo i canoni perennemente allarmistici della narrativa occidentalista, come se la NATO fosse a rischio di sopravvivenza e domani mattina potesse non esserci più. Un giornalista ansioso e indignato chiede al segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, cosa ne pensi del terribile proposito di Trump di ritirare migliaia di soldati dalla Germania.
Stoltenberg risponde con espressione grave, ma non riesce a nascondere che in effetti di questo “ritiro” non sono stati decisi né tempi né modalità: insomma, i soliti annunci a vuoto di cui è specialista il Cialtrone della Casa Bianca.
Del resto Trump è un pagliaccio messo lì apposta per fingere di “dinamizzare” una situazione in cui in realtà tutto è già stabilito. Una bolla oligarchica sradicata e inattaccabile, che distribuisce sempre meno reddito, non può fare a meno di psicodrammatizzare con falsi bersagli la vicenda politica in modo da allestire un finto dibattito ed un’altrettanto finta partecipazione delle masse, i cui esiti pratici sono comunque scontati. Nell’intervista Stoltenberg ci ammonisce infatti sull’importanza della NATO, il solo argine contro la minaccia dei gasdotti russi e delle Vie della Seta cinesi, cioè la sola istituzione che possa garantirci la stagnazione secolare e la deflazione da debiti.
A proposito di debiti,
l’Argentina è nuovamente a rischio di default e non può pagare gli interessi sul proprio debito ai grandi investitori come Blackrock. Per i creditori è preferibile però il default dei propri debitori che una crescita mondiale che rischi di creare inflazione. Tanto ci pensa il Fondo Monetario Internazionale a “mediare”. In definitiva il default è un business. Più sono alti i rischi di default di uno Stato, più elevati saranno gli interessi che dovrà pagare per avere altri prestiti.