Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
L’incipit del Vangelo di Giovanni ci intratteneva illustrandoci la potenza del Logos. Un paio di millenni dopo Naomi Klein ci ha rivelato invece
la potenza del “logo”, cioè del marchio. Con una descrizione spesso efficace, la Klein ci ha spiegato l’avvento del modello di “impresa vuota”, alla Nike; un’impresa che non produce nulla, che si concentra sulla pubblicità al marchio (ed al life-style ad esso legato) e che subappalta interamente la produzione a piccole imprese di Paesi poveri; imprese costrette a farsi concorrenza al ribasso tra loro.
Tutto vero, ma tante mezze verità possono comporre menzogne intere. Basta distrarre l’attenzione dal punto principale attirandola sul dettaglio sbagliato: il marchio, appunto. Il tema del ”logo” - e dello stile di vita che esso evoca - è piaciuto molto alla “sinistra” del “politicorretto” poiché sposta il conflitto sul piano astratto dell’estetica di se stessi, sulla ricerca del nostro vero essere al di là del consumismo, delle mode e delle apparenze. Così ogni progressista occidentale può pensare che, diventando lui più bello dentro, magari salverà anche milioni di persone dallo sfruttamento.
Quanto a “bellezza dentro” però anche la Nike non scherza. Dai siti della stessa Nike scopriamo infatti tutte le attività benefiche di questa azienda. In particolare la Nike risulta essere la principale finanziatrice di
una corporation “non profit”, Women’s World Banking.
Qual è la “mission” di questa meritoria organizzazione “non profit”? Quella di
“banchizzare” le masse femminili dei Paesi poveri, attraendole nel circuito della microfinanza e del microcredito. Queste organizzazioni “non profit” sono sempre molto prodighe di informazioni sul proprio operato. Peccato che quasi nessuno poi faccia due più due.
Si potrebbe pensare che questi finanziamenti al “ non profit” facciano parte esclusivamente delle pubbliche relazioni, dell’immagine “umanitaria” che Nike vuol dare di sé. Invece, per pura coincidenza, queste organizzazioni “non profit” fanno esattamente ciò che conviene alla Nike ed alle aziende “vuote” dello stesso tipo. Women’s World Banking promuove con piccoli prestiti una piccola imprenditoria povera, strutturalmente sottocapitalizzata, in modo tale che possa fare solo concorrenza al ribasso. Quindi si tratta di prede perfette per il subappalto. Lo schema operativo del microcredito è ormai consolidato da decenni di esperienza ed è stato ampiamente analizzato dall’economista Milford Bateman. L’afflusso di piccoli prestiti distrugge il tessuto economico tradizionale e lo soppianta con un’imprenditoria del tutto dipendente dalle commesse estere. Se l’imprenditoria povera di un altro Paese riesce ad offrire costi ancora più bassi, il risultato è la terra bruciata.
Nessuna sorpresa si può provare a questo punto nello scoprire che la “Nike Foundation” è uno dei principali finanziatori dell’internazionale dei dentrobellisti, le ONG. Quelle ONG che i nostri media chiamano le “multinazionali del cuore” ed anche quelle stesse ONG che svolgono un ruolo essenziale nella
diffusione mondiale della microfinanza.
Non è del tutto appropriato perciò dire che Nike e le società consimili siano imprese “vuote”, perché alla base del sistema delle committenze e dei subappalti vi è un ben mirato processo di finanziarizzazione delle masse povere. Una finanziarizzazione attuata nel modo più subdolo perché camuffata da aiuto disinteressato. Si tratta di un assistenzialismo per ricchi a tutto tondo, dato che le multinazionali, attraverso il viatico del “non profit” concesso alle attività “umanitarie”, riescono anche ad ottenere la piena immunità fiscale per i propri affari. Insomma, gran parte dell’edificio della cosiddetta “globalizzazione” si basa sulla microfinanza e sulla presa per i fondelli della “lotta alla povertà”, mentre invece la povertà serve ed è la principale materia prima di tutto il business. La presa per i fondelli può essere magari condita con l’ulteriore esca per progressisti della parità di genere.
In fondo che cos’è il capitalismo? Crimine organizzato con l’aggiunta delle pubbliche relazioni.
Tre settimane fa Macron è piombato a Roma a rassicurare Gentiloni. Non è vero che voi Italiani non contate un cece: Germania e Francia comandano, ma con l’Italia c’è un rapporto diverso, un feeling particolare. Se lo dice lui. Tanta tenerezza da parte di Macron perché Gentiloni spedisce un battaglione di paracadutisti in Niger, un Paese disastrato dal quale la Francia ricava oltre il 30% del suo fabbisogno di uranio, oltre che diamanti e altro. Un Paese abituato a fare una politica estera e coloniale al di sopra dei propri mezzi militari e finanziari, la Francia, va a parassitare le risorse militari e finanziarie di un altro Paese, l’Italia, che in politica estera non conosce la parolina “no” e che in politica interna è invece abituato alle prevaricazioni sul parlamento in nome della presunta “popolarità” del Presidente del Consiglio di turno. Se poi risultasse vera la notizia di stampa secondo cui
il governo nigerino non sarebbe stato neppure consultato da Macron prima di coinvolgere l’Italia, allora Gentiloni si sarebbe andato a cacciare in una rete di imbarazzi diplomatici.
Stavolta però persino la stampa ufficiale, anzi ufficialissima (come “Il Sole - 24 ore”), riconosce che è ben arduo scovare un qualche interesse italiano in questa nuova
avventura militare in Africa. Il quotidiano confindustriale non può fare a meno di notare che, tra tutti gli alibi per questa avventura militare, il contenimento della spinta migratoria risulta il più inconsistente, dato che il governo italiano, che finanzia la Guardia Costiera libica, potrebbe anche costringerla a svolgere il compito di affidare alle organizzazioni ONU i migranti recuperati in mare dalla flotta italiana.
Il settimanale “l’Espresso” si allinea a questo scetticismo rilevando che il numero di soldati inviati da Gentiloni in Niger è assolutamente incongruo per qualsiasi missione riguardante il blocco delle vie migratorie. Ma la questione dei flussi migratori in realtà non c’entra nulla con questa avventura militare. Macron, in tutte le sue esternazioni, non ha mai mancato di ribadire che l’Africa è “cosa nostra”. Il problema è che per le forze armate francesi le cose si mettono al peggio in Mali. Dal 2013 il governo francese aveva annunciato varie volte una vittoria definitiva in Mali, ma, all’atto della sua elezione, Macron, durante una sortita in Africa, aveva di fatto ammesso che
le cose non vanno per niente bene.
Bisogna quindi liberare truppe da altri teatri come il Niger, che diventa a sua volta instabile per la stessa pressione coloniale francese. Insieme con altri tredici Paesi africani, il Niger è infatti costretto ad adottare come valuta il franco CFA, una specie di euro africano garantito dal Tesoro francese. Dei Paesi sottosviluppati sono perciò costretti ad adottare una valuta “forte”, vincolata all’euro, che deprime le loro esportazioni. Non mancano ovviamente
in Africa tentativi di opposizione a questa imposizione coloniale.
Sempre per la serie “aiutiamoli a casa loro”, al poverissimo Niger non si fa mancare neppure l’assistenza provvida della microfinanza, che destabilizza il tessuto economico tradizionale, indebita gli agricoltori del Paese e spesso li costringe alla migrazione nella speranza di ripagare il debito. Non c’è Paese tanto povero da non avere a disposizione il suo “portale” per
la microfinanza e il Niger non può fare eccezione.
Per prevenire e screditare ogni possibile intervento del governo nigerino sull’economia, la Banca Mondiale è corsa in soccorso del colonialismo francese pubblicando un rapporto allarmistico sulla corruzione in Niger, come a dire che i “boveri negri” hanno ancora disperato bisogno di tutela occidentale.
Il rapporto è a tinte così fosche che la stessa sede locale della Banca Mondiale ha dovuto prenderne le distanze.
Mantenere il Niger nell’assoluta povertà ha i suoi vantaggi perché è la pauperizzazione con i suoi vari pretesti (crisi, austerità, rigore nei conti, ecc.) a favorire la finanziarizzazione dei rapporti sociali, cioè l’indebitamento delle masse povere. Ma la pauperizzazione ha anche i suoi svantaggi per il colonialismo francese, poiché espone le colonie alla pressione di altre intromissioni finanziarie e di altre destabilizzazioni da parte di concorrenti come
la Cina, sempre più presente in Niger con le sue multinazionali.
Sta di fatto che oggi la Francia nutre le sue aspirazioni coloniali in Africa con mezzi militari sempre più scarsi e con continui tagli al bilancio della Difesa. Se ne può concludere che
l’impero coloniale francese in Africa è a rischio di asfissia.
Nei prossimi mesi Macron sarà forse costretto a scegliere tra la vocazione coloniale della Francia e la sua permanenza nell’euro. Se rimane nell’euro Macron dovrà probabilmente accontentarsi della colonia italiana.