Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Nella patria del linciaggio esistono svariate declinazioni per dare seguito all’esecuzione capitale, sia in forma legale che in forma illegale o paralegale. La pena definitiva può essere applicata attraverso una iniezione letale, attraverso l’assassinio da parte dei vari servizi di sicurezza, oppure con la reazione di qualche poliziotto nervoso, tramite soffocamento - oggi piuttosto in voga - o per semplice colpo di arma da fuoco [negli Stati Uniti, ogni hanno la polizia uccide tra 1000 e 1500 persone].
Il linciaggio (l’origine del termine “Linch” appare ancora incerta) rappresenta una particolare forma di esecuzione sommaria dove la “folla”, che coglie in flagrante il presunto colpevole, decide di “farsi giustizia da sola”, senza un processo e senza che sia stata pronunciata una sentenza di colpevolezza. Il fenomeno del linciaggio (che ovviamente non riguarda solo gli USA) non è semplicemente stato tollerato, ma è stato anche incoraggiato. Ci si è resi conto, infatti, che il linciaggio, tentato o portato a termine, permetteva di giustificare il ruolo della polizia e della giustizia ordinaria. Il poliziotto interviene per “salvare il colpevole dal linciaggio”, dalla “rabbia della folla inferocita” e permettere che gli venga concesso un “regolare processo”. La legge quindi ci salva dagli istinti selvaggi delle folle, dalla volontà di vendetta delle vittime, dalle reazioni sconsiderate, infliggendo le pene secondo norme razionali. La legge così sarebbe uno scudo contro il caos e la sregolatezza. D’altro canto, nei casi in cui la “folla” sia ben disposta ad aggredire il presunto colpevole, la polizia può dosare a piacere il suo intervento fino a consentire il linciaggio, senza conseguenze per gli esecutori. I numeri ufficiali - quindi ben al di sotto della realtà - parlano di 4250 casi di linciaggio tra il 1885 e il 1926, di cui 3205 riguardano afroamericani.
I meccanismi per incoraggiare gli istinti più aggressivi si sono poi moltiplicati, la categoria comunicativa dei “parenti delle vittime” è diventato un vero classico. Negli USA, la rappresentazione plastica della regolazione del fenomeno della giustizia vendicativa, si è materializzata nella macabra possibilità, per i parenti della vittime, di assistere allo spettacolo della morte del condannato, dalla sedia elettrica all’iniezione letale. Con grande soddisfazione di tutti.
In questa rappresentazione, non sempre tutto funziona come previsto.
Il 14 luglio scorso, Daniel Lewis, un suprematista bianco di 47 anni è stato ucciso, tramite iniezione letale, nel carcere di Terre Haute dell’Indiana. La Corte Suprema aveva dato il via libera all’esecuzione di Lewis, accusato di aver massacrato tre persone. L’applicazione della pena capitale era negli ultimi tempi sempre meno praticata, e alcuni stati americani l’hanno addirittura abolita. Così, il ministro della giustizia William Barr, annunciando la ripresa delle esecuzioni, aveva detto: “lo dobbiamo alle vittime e alle loro famiglie”. In realtà, stavolta, i famosi “parenti delle vittime” non si sono semplicemente defilati, ma si sono opposti con forza all’esecuzione del presunto colpevole, e non ne hanno voluto sapere di interpretare il ruolo di chi chiede vendetta seguendo una reazione istintiva. Lo Stato, o almeno alcuni suoi apparati, ha quindi dovuto giocare il ruolo – che gli è consono – di boia insensato e feroce, senza il sostegno e la “copertura” dei parenti delle vittime. La condanna a morte è stata eseguita e altri 62 condannati aspettano il giorno dell’esecuzione.
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Da anni le autorità statunitensi e messicane portano avanti una guerra ostinata contro i trafficanti di droga.
La droga proviene soprattutto dalla Colombia dove si trovano la maggior parte delle piantagioni per le droghe illegali. Una guerra che non sembra aver dato grandi risultati e che non ha fermato neppure gli scontri fra i famosi cartelli per il controllo dei traffici. I conflitti fra le bande armate in Messico e Colombia sono diventati endemici e persino tema ricorrente per l’industria cinematografica. Davvero sfortunati gli USA che, pur essendo i principali consumatori di droga al mondo, hanno perso anche questa guerra al narcotraffico.
Proprio come in Afghanistan, quando la produzione di oppio crebbe in maniera esponenziale sotto l’occupazione USA rispetto al periodo talebano. E’ evidente che insinuare che le multinazionali USA possano avere degli interessi nel traffico della droga sarebbe meschino.
Ma la droga prodotta nell’America Centromeridionale non è diretta solo negli USA. I punti di arrivo più importanti sono Anversa e Rotterdam. La polizia belga e quella olandese svolgono un’intensa attività di contrasto al traffico di stupefacenti. Ma, a parte qualche buon risultato, il fiume di droga che arriva attraverso i container sembra inarrestabile. Ci si può chiedere come mai paesi ben organizzati come il Belgio e l’Olanda non riescano a scalfire questo traffico. Questi paesi vengono spesso definiti dai giornalisti italiani come “frugali” o “rigoristi”, quindi paesi che non dovrebbero offrire nessuna connivenza al traffico criminale, come invece può succedere in Colombia o in Messico. La questione rimane inspiegabile. A meno che non si voglia insinuare che i potentati economici dei rigoristi, oltre a racimolare un po’ di miliardi con la loro “fiscalità accogliente” a danno dei meno “frugali”, vogliano arrotondare il conto con il traffico di stupefacenti. Forse il periodico olandese Parool ci offre una spiegazione. Pare che il successo di Rotterdam come hub internazionale della droga sia dovuto, oltre che alla presenza di organizzazioni criminali, al forte senso imprenditoriale degli olandesi. Quindi quella che in Colombia o in Messico si chiama «connivenza criminale» in Olanda o in Belgio si traduce con «forte senso imprenditoriale». Basta intendersi.
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Le proteste dell’UE contro le violenze della polizia russa in occasione delle manifestazioni pro-Navalny avevano assunto un tono talmente improbabile, da essere state prese poco sul serio dalla Russia. Quando l’alto rappresentante degli affari esteri dell’UE, Borrell, ha fatto le sue rimostranze in una sua visita a Mosca, il ministro degli esteri russo Lavrov, ha avuto buon gioco a ridicolizzarlo: “gli europei non son affidabili perché non rispettano i diritti umani”, “è la polizia italiana a usare gli idranti contro i manifestanti e non noi”.
In effetti, proprio mentre a Mosca venivano arrestati 4000 manifestanti pro-Navalny, in Belgio la polizia arrestava 500 manifestanti contro le restrizioni anti-covid. Ma gli organi di stampa occidentali si indignavano solo per gli arresti di Mosca.
D’altro canto, i mass media occidentali che sostengono apertamente il dissidente russo, sembrano insensibili alla feroce persecuzione che dura ormai da anni contro Julian Assange, il cui capo d’accusa sarebbe quello di aver divulgato informazioni, la cui veridicità peraltro nessuno contesta.
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