Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Era davvero difficile prevedere che, dopo dieci anni di feroce austerità - con annesso aumento della disoccupazione - e di tagli alla spesa sanitaria ed alle pensioni, l’aspettativa di vita degli Italiani aumentasse. E infatti quell’aumento non c’è stato. I dati pubblicati dal Rapporto Osserva Salute nel 2016 hanno indicato che, per la prima volta,
la vita media in Italia è diminuita, ovviamente con un calo più pronunciato dove maggiori sono stati i tagli, cioè al Sud.
Era invece facilissimo prevedere che l’ISTAT avrebbe imbrogliato sui calcoli per spacciare un presunto aumento dell’aspettativa di vita in modo da giustificare un aumento dell’età pensionabile. Prevedibile anche che i sindacati non avrebbero contestato la falsità dei dati dell’ISTAT, visto che, in base alla vigente parodia del politicamente corretto, diffidenza ed incredulità sono colpe imperdonabili. Ancora più prevedibile il fatto che i sindacati avrebbero preferito dividere i lavoratori, invischiandosi in una trattativa col governo sulla questione dell’esenzioni per i lavori “usuranti”, come se esistessero lavori non usuranti. L’unico lavoro non usurante è quello di comandare, dato che ogni errore può essere scaricato sui dipendenti.
Altrettanto scontato era che l’invecchiamento medio della popolazione lavorativa e la precarizzazione del lavoro giovanile determinassero un
calo della produttività in Italia. Un bel successo delle “riforme strutturali”, come se non si sapesse già in anticipo che aumentare eccessivamente l’offerta di lavoro avrebbe determinato uno scadimento della qualità della domanda di lavoro da parte delle imprese. In altre parole, quando il lavoro è troppo a buon mercato, il padronato non ha alcun incentivo a migliorare il ciclo produttivo ed a motivare il lavoratori con premi di produzione.
I tagli alle pensioni ed all’occupazione contribuiscono anche alla stagnazione della domanda interna, così che le aziende non hanno più alcuna spinta ad investire. Aver registrato un aumento del PIL a fronte di un calo della produttività, indica quindi che vi è stato un regresso tecnologico del sistema produttivo italiano. Se è vero che alcune imprese continuano ad esportare, quelle imprese che invece si rivolgono al mercato interno finiscono per giocare solo al ribasso.
I commentatori ci ammoniscono dicendo che l’aumento dell’età pensionabile sarebbe necessario per “rassicurare i Mercati”. Non ci viene detto però che “rassicurare i Mercati” vuol dire favorire lo sviluppo della previdenza privata e dei Fondi Pensione, ovvero la finanziarizzazione della previdenza. E non solo questo, visto che la conseguenza dei tagli alle pensioni è di aver creato uno dei maggiori business del momento: il credito ai pensionati, spesso organizzato dallo stesso INPS. Si tratta quindi di aprire altri sbocchi alla “libera circolazione dei capitali”.
Le istituzioni sovranazionali come il Fondo Monetario Internazionale e l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ci avevano raccontato che l’aumento della mobilità dei capitali avrebbe determinato sviluppo e benessere, perché gli investimenti si sarebbero direzionati laddove ce ne era più bisogno. L’evidenza invece dimostra il contrario: il veicolo per l’aumento della velocità della circolazione internazionale dei capitali è la pauperizzazione. La miseria favorisce la finanziarizzazione dei rapporti sociali, quindi si investe nei business che creano miseria, perciò si spiega l’esplosione della microfinanza e del microcredito.
Pochi giorni fa dal FMI ci è arrivata
l’ennesima predica morale per esortarci a ridurre il debito pubblico ed a combattere la “corruzione”, le sole due cose di cui è permesso di discutere in Italia. Il FMI insiste a parlare di corruzione nei soliti termini del mainstream, come se la corruzione più pericolosa fosse quella delle bustarelle e non invece la corruzione legalizzata di cui è il maggior promotore lo stesso FMI. Le organizzazioni sovranazionali come il FMI e l’OCSE istigano infatti al lobbying occulto, alla riconversione degli apparati pubblici in agenzie di interessi privati sovranazionali.
Un’altra facile previsione era infatti che la politica - e persino le stesse burocrazie pubbliche come l’ISTAT -, di fronte alla crescente umiliazione delle loro prerogative da parte della finanza globale, invece di resistere, si sarebbero volentieri trasformate in lobby occulte della finanziarizzazione. Una bella disillusione per chi credeva nell’esistenza dello Stato.
A distanza di dieci anni dallo scoppio della bolla speculativa dei mutui ipotecari “subprime” negli USA, molti osservatori guardano con preoccupazione allo svilupparsi di altre “bolle”, invariabilmente collocate nell’ambito dei business “poveri”. La bolla dei mutui “subprime” non era basata su un business soltanto povero, ma poverissimo, se si considera che negli Stati Uniti la parola “casa” non indica un edificio di mattoni e cemento armato, bensì intelaiature in legno con pannelli prefabbricati appiccicate sopra, roba che una tromba d’aria si porta via come niente. Solo che, in quella circostanza, le case non furono portate via agli abitanti da un tornado ma dalle banche. Lo scoppio della bolla, in definitiva, non portò troppo male alle banche, ma solo alle vittime delle loro truffe finanziarie. Poco male, visto che già venti milioni di americani vivono “stabilmente” in roulotte e camper: se accadesse in Russia sarebbe un crimine di Putin, ma succede negli USA, perciò i media ci narrano che si tratta di uno stile di vita e di una scelta di libertà.
Oggi le bolle sotto osservazione sono soprattutto quelle del credito al consumo e del credito studentesco. In particolare,
i debiti degli studenti statunitensi - e non solo statunitensi - hanno toccato vette non più ripagabili. Per compensare i creditori si dovrà pensare a forme aggiornate di schiavizzazione a vita dei laureati.
L’ex ministro tedesco dell’Economia, il famigerato Wolfgang Schauble, si è aggiunto recentemente al coro degli osservatori preoccupati di fronte a questa nuova
lievitazione incontrollata (?) del debito privato. D’altra parte le parole di Schauble, più che indicare vera preoccupazione, fanno trapelare l’aspettativa fiduciosa di un’occasione per imporre un’ulteriore stretta finanziaria. Instancabile cantore delle virtù germaniche, Schauble fa la predica morale agli altri per assolvere se stesso ed i governi tedeschi da ogni responsabilità per il boom del debito privato.
In realtà la deflazione salariale è stata inasprita proprio in Germania all’inizio degli anni 2000. La rincorsa alla precarizzazione del lavoro ed alla compressione dei salari è stata un fenomeno mondiale, ma il modello da imitare lo fornì il governo del socialdemocratico Schroeder con il “Piano Hartz”, al quale si ispirò anche la nostrana Legge 30/2003, spacciata abusivamente dal governo del Buffone di Arcore come “Legge Biagi”, per porla sotto la protezione dell’icona di una vittima del terrorismo.
Non c’è da stupirsi del solito “tradimento della sinistra”, poiché da quasi due secoli circolano versioni mistificate e ultra-reazionarie del socialismo che lo riducono ad una “etica sociale”, in base alla quale si ritiene che la forza-lavoro non appartenga a ciascun singolo lavoratore ma alla società nel suo insieme. Questo falso “socialismo” concepito come un debito dell’individuo nei confronti della società, costituisce una riedizione sotto vernice “progressista” della servitù della gleba, un modello del tutto funzionale agli interessi della finanza.
Il nesso tra taglio dei salari e necessità di rivolgersi alla finanza per poter accedere ai consumi tramite l’indebitamento, non richiede infatti particolari sforzi di comprensione. I “virtuosi” come Schauble perciò non possono sottrarsi al fondato sospetto di aver operato per favorire i business finanziari “poveri” come il credito al consumo, con le relative “bolle”.
I business finanziari poveri sono disastrosi per i poveri, ma lucrosissimi per i ricchi che ci investono. Nel 2010 se ne accorse persino un quotidiano di establishment come il “New York Times”, che pubblicò
una particolareggiata inchiesta a riguardo. Si è scoperto così che un business povero come il microcredito ha portato alla rovina Paesi come il Messico e la Nigeria. (3)
Non a caso Messico e Nigeria sono anche i Paesi da cui parte il maggior numero di migranti, poiché emigrare rappresenta l’unica speranza - peraltro anch’essa fallace - di ripagare i “micro debiti”, i quali, nel frattempo, grazie alla lievitazione degli interessi, sono diventati macrodebiti. Sette anni dopo l’inchiesta del “New York Times” il microcredito viene lanciato anche in Italia, usando come cavie persino i terremotati. Allora l’esperienza non ha insegnato nulla? No, ha insegnato, eccome.
La finanziarizzazione infatti serve a schiavizzare i poveri, soppiantando i rapporti sociali tradizionali ed esimendo le oligarchie dal doversi costituire un radicamento sociale e territoriale: ad un finanziere basta un computer per dominare il mondo, o almeno questa è l’illusione. È chiaro infatti che la società è “liquida” solo sino ad un certo punto e le “Open Society” alla Soros possono esercitare la propria influenza solo grazie alla copertura del potere intimidatorio e manipolatorio della NATO e della CIA. Sta di fatto però che il credito e l’indebitamento mirano a scalzare tutti i sistemi di mediazione sociale e politica, riducendo partiti e sindacati a mere agenzie di lobbying. Le bolle speculative trovano così il proprio corrispettivo nelle bolle oligarchiche che le hanno create.