Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Una provvida inchiesta giudiziaria della Procura di Firenze è giunta tempestivamente a conferire spessore ed alone di persecuzione al ritorno del Buffone di Arcore nell’agone politico. L’inchiesta giudiziaria è servita ad infiammare nuovamente il popolo arcoriano ed a convincere i dubbiosi della fiaba sull’immutabile carisma del suo leader, al quale gli avversari della “sinistra” saprebbero opporre soltanto attacchi delle “toghe rosse”.
Il 19 ottobre scorso, nello scenario del parlamento europeo, si era svolta la conferenza-stampa con la quale il Buffone di Arcore aveva celebrato ufficialmente il suo rientro nello scontro elettorale. La buffonata ha assunto il rango di un vero e proprio rituale collettivo, poiché i politici e i media hanno fatto finta di non accorgersi della finzione. Più senile e demente del solito, il Buffone ha offerto uno spettacolo penoso, riuscendo a condurre la conferenza stampa soltanto con il sostegno di una badante seduta alla sua destra.
L’ennesimo riciclaggio del Buffone, stavolta in chiave “europeistica”, ha assunto toni grotteschi allorché lo stesso Buffone ha intrattenuto l’uditorio sulla consueta fiaba dei “settanta anni di pace” garantiti dall’unità europea. È significativo che la fiaba sia stata riproposta proprio da lui che, nel 2011, come Presidente del Consiglio assistette inerte e inerme all’attacco franco-britannico ad interessi italiani in Libia. Un attacco che fu iniziato con un vero e proprio atto ostile nei confronti dell’Italia: il sorvolo non autorizzato degli aerei francesi che andavano a bombardare la Libia in spregio ad una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che parlava solo di “no fly zone”. La “pace in Europa” in quell’occasione fu preservata in base ad un unico elemento, cioè l’inconsistenza umana e politica del governo italiano, tanto da far legittimamente sospettare che la presenza di un governo fantoccio fosse proprio funzionale ad operazioni coloniali.
Nello stesso 2011 la fintocrazia arcoriana si palesò sino in fondo con la rimozione d’imperio dello stesso Buffone attraverso un vero e proprio colpo di Stato presidenziale che impedì soprattutto lo sbocco costituzionale nelle elezioni anticipate e diede avvio al governo pseudo-tecnico di Mario Monti. Anni di buffonate avevano accreditato l’immagine mondiale di un Paese allo sbando, bisognoso di tutele, perciò l’aver resuscitato politicamente il cadavere del Buffone alla fine del 2007 si dimostrò un’operazione coloniale nella quale lo stesso Buffone aveva svolto il ruolo di prestanome.
Del resto i governi fantoccio non sono un’esclusiva della destra, dato che nel 1999 fu un governo di “sinistra”, quello di Massimo D’Alema, a collaborare con la NATO per sancire il passaggio sotto il controllo coloniale statunitense e tedesco di un‘altra colonia commerciale dell’Italia, la Jugoslavia. D’altra parte sarebbe troppo comodo personificare la debacle della “sinistra” degli anni ’80 e ’90 nei vari Occhetto, D’Alema o Bertinotti. La debacle infatti ha coinvolto tutta la sinistra, a partire dalla sinistra “rivoluzionaria”, che si è bevuta lo “story telling” della “globalizzazione”, senza rendersi conto che non si trattava altro che della recrudescenza del caro e vecchio colonialismo. La sinistra, malata da sempre di “propositività” e di atteggiamento “costruttivo”, non riesce a rendersi conto del fatto che alla base di Stati, Imperi e Nazioni non vi è nessun principio ordinatore, nessun progresso, bensì soltanto uno schema di destabilizzazione-sopraffazione che rimastica continuamente se stesso. È pur vero che spesso la “propositività” è solo un alibi per l’opportunismo, ma questo è un altro discorso.
A distanza di sei anni l’avventura libica della NATO non vanta più pubblici estimatori ed anche le “primavere arabe” sono circondate di scetticismo a posteriori.
Peccato che lo scetticismo arrivi sempre troppo tardi e che, di fronte al presente, sia vissuto sempre come una colpa; quindi il colonialismo può continuare indisturbato la sua opera di destabilizzazione, camuffandola come “questioni interne”.
A riconfermare la fiaba dei “settanta anni di pace in Europa” è giunta adesso la crisi spagnola con la minaccia di secessione catalana. La fintocrazia non è un problema soltanto italiano, visto che i governi spagnoli hanno consentito per anni l’azione destabilizzatrice di Organizzazioni Non Governative come “Independent Diplomat” sul proprio suolo, salvo correre tardivamente ai ripari con brutali operazioni di polizia che hanno immediatamente richiamato l’attenzione di un’altra ONG, Human Rights Watch.
La fintocrazia coloniale si avvale del contesto della finzione mediatica, che finge di credere che l’avventurismo indipendentista di mezze figure come Puigdemont e soci sia solo una questione interna spagnola sulla quale discettare da pulpiti distanti e neutrali, quanto illuminati. Sennonché il quadro non è affatto così semplicistico. Un ex diplomatico britannico ha rilasciato al quotidiano online “The Independent” alcune dichiarazioni nelle quali ha sostenuto l’interesse britannico ad una Catalogna indipendente, in modo che la penisola iberica non rimanga sotto il controllo di Madrid.
Il fatto che tali dichiarazioni siano state affidate ad un ex diplomatico potrebbe indicare che il governo britannico intenda, al contempo, mantenere la sua ufficiale neutralità nella vicenda ed anche far sapere agli indipendentisti che l’appoggio sotterraneo comunque non verrà a mancare. Ma, anche senza fare supposizioni, quelle dichiarazioni sarebbero sufficienti a chiarire che ogni destabilizzazione di un Paese coinvolge direttamente gli interessi di altri Paesi e che il colonialismo non trova affatto il suo avversario nei nazionalismi, bensì li fagocita nel calderone della destabilizzazione.
Un PD allo sbando ha trovato la sua ultima bandiera nello Ius Soli, che intenderebbe far approvare prima della fine della legislatura. Appare particolarmente incongruente per un partito che sostiene l’attuale regime di mobilità illimitata dei capitali, puntare sul modello di integrazione basato sui diritti di cittadinanza, dato che ormai è solo il reddito a garantire l’integrazione. I diritti della cittadinanza costituivano il vanto e l’orpello dello Stato nazionale, ma il regime di mobilità del capitale ha umiliato lo Stato nazionale e ridicolizzato i suoi diritti. Sergio Marchionne, manager straniero con cittadinanza in un paradiso fiscale, rappresenta l’emblema di questo nuovo genere di diritti di cittadinanza, valutabili esclusivamente in base al denaro di cui si dispone. Per sintetizzare con una battuta scontata, si potrebbe dire: dallo Ius Soli allo Ius Soldi.
La posizione del PD è spiegabile soltanto in base al vezzo educazionistico che caratterizza la sedicente “sinistra” attuale; un educazionismo peraltro ambiguo, dato che si rappresenta in un discorso di questo tipo: “Sai, la nostra fortezza europea del benessere è assediata da miliardi di morti di fame che scappano dai loro Paesi e che intendono stabilirsi a casa tua, ma tu non essere xenofobo”.
Come alternativa a questo quadro di buonismo apocalittico, vi è un buonismo “prudente”, che prende le distanze e predica di “aiutarli a casa loro”. Insomma, l’Africa avrebbe bisogno di “investimenti”.
In realtà la destabilizzazione dell’Africa, e di altri continenti, ha la sua causa proprio negli investimenti, in particolare quelli legati alla microfinanza, al microcredito. Numerosi studi hanno dimostrato che il microcredito costituisce una spinta alla migrazione, unica prospettiva per ripagare i debiti. Ma il potere distruttivo della microfinanza va ben oltre e sulla stampa estera si trovano vari interventi in tal senso. Il quotidiano britannico “The Guardian” ha pubblicato uno studio dell’economista Milford Bateman sulle conseguenze della microfinanza in Sudafrica, dove attualmente il tasso di disoccupazione è superiore al periodo dell’Apartheid. La microfinanza non solo non ha risolto i problemi di povertà ma li ha aggravati, distruggendo il tessuto economico preesistente.
Studi scientifici molto più approfonditi sono stati fatti da Milford Bateman sull’America Latina, terra di sperimentazione del microcredito sin dagli anni ’70, dove si è potuto osservare che la microfinanza genera microimprese che si specializzano nella concorrenza reciproca al ribasso e che crollano dopo poco tempo. Anche in questo caso la conseguenza è la distruzione dei rapporti economici precedenti: pura destabilizzazione.
L’economista africana Dambisa Moyo, allevata dalla Banca Mondiale e da Goldman Sachs, è diventata famosa con un best-seller in cui predicava di non dare aiuti all’Africa perché sarebbe questa carità la causa del sottosviluppo e della corruzione. La stessa Dambisa Moyo, contro ogni evidenza fattuale, predica in alternativa di incentivare il microcredito, di cui l’Africa avrebbe disperato bisogno.
Ma forse ad averne disperato bisogno è il modello di assoluta mobilità dei capitali, che incontra nello sviluppo un limite a questa mobilità. Lo sviluppo comporterebbe infatti la nascita di una classe operaia, con la conseguente richiesta di aumenti salariali; e comporterebbe anche la nascita di un ceto medio, con le sue pretese di benessere. I capitali non potrebbero quindi più viaggiare alla velocità consentita da operazioni puramente finanziarie come quelle legate al microcredito. I business di “inclusione” finanziaria come il microcredito possono essere annoverati nella categoria dei business poveri ma, moltiplicati per miliardi di poveri, rappresentano il veicolo ideale per un’accelerazione della mobilità dei capitali.
Che la microfinanza corrisponda ad un modello di sfruttamento coloniale, è confermato dal fatto che il principale promotore mondiale del microcredito è il Dipartimento di Stato USA, con la sua agenzia USAID. Con l’alibi dell’aiuto e dell’inclusione, l’economia dominante può perpetuare il suo dominio attraverso la destabilizzazione delle economie subordinate.
Tanto per sentirsi tranquilli, c’è da constatare che anche l’Italia sta diventando terra di conquista da parte del microcredito. E tanto per sentirsi ancora più rassicurati, è una lobby (pardon, un’agenzia) del governo a promuovere il microcredito in Italia: l’Ente Nazionale per il Microcredito.
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