Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
I G7 costituiscono da molti decenni dei monumenti all’inutilità ed allo spreco di pubblico denaro, esibizioni del potere fini a se stesse. Ci sono stati anche G7 “punitivi “, come quello di Genova del 2001, che fu motivato dall’esigenza di terrorizzare e stroncare i movimenti di protesta scoppiati a partire da Seattle nel ’95. Si è trattato comunque di eccezioni ed in genere i G7 hanno lasciato le cose esattamente com’erano prima.
Un G7 che ha invece peggiorato, e di molto, la situazione precedente è senz’altro quello appena svoltosi a Taormina. La dichiarazione più pericolosa uscita dal consesso è stata proprio quella che i media e i governi hanno salutato con maggiore soddisfazione, cioè quella sul terrorismo. La dichiarazione infatti si segnala per le sue omissioni, che costituiscono oggettivamente altrettanti lasciapassare. Nessun accenno, neppure indiretto, ha riguardato infatti i movimenti di capitale che si verificano a partire da due Stati in particolare, Arabia Saudita e Qatar, a favore di organizzazioni del cosiddetto “jihadismo islamico”. Nemmeno i morti negli attentati riescono a commuovere i governi, anzi le persone uccise diventano vittime sacrificali al moloc della libera circolazione dei capitali.
Alla fine dello scorso anno vi furono le rivelazioni di Wikileaks riguardanti le mail di Hillary Clinton. Il quotidiano britannico “The Indipendent” sottolineò che da queste mail risultava che la Clinton fosse a conoscenza dei finanziamenti dell’Arabia Saudita e del Qatar all’Isis ed altri gruppi jihadisti. Del resto già lo sapevano tutti e l’aspetto interessante dell’articolo del quotidiano britannico riguarda non tanto le “rivelazioni” (vere scoperte dell’acqua calda) quanto la previsione che una vittoria della Clinton avrebbe rafforzato i legami degli USA con l’Arabia Saudita.
Ma la Clinton ha perso, ha vinto Cialtrump ed i legami finanziari e politici tra USA ed Arabia Saudita si sono rafforzati ugualmente, tanto che dall’ultimo viaggio a Riad il novello buffone della Casa Bianca è tornato con oltre cinquecento miliardi di dollari di finanziamenti sauditi per il prossimo decennio. Come sempre i movimenti di capitali hanno fatto strame dei programmi elettorali.
Tempo fa il portavoce del Dipartimento di Stato USA aveva sdegnosamente respinte come “assurde” le accuse mosse dal ministro degli Esteri russo, Lavrov, di proteggere il gruppo jihadistico Al Nusra, il più potente tra quelli che agiscono nella Siria meridionale, un gruppo noto anche per la copertura aerea che riceve da parte di Israele contro Assad. Le accuse di Lavrov agli USA erano piuttosto circostanziate e la smentita americana è stata invece molto generica.
Dopo il viaggio di Cialtrump a Riad si è andati persino oltre, infatti il gruppo Al Nusra è stato depennato dalla lista delle organizzazioni terroristiche grazie ad un semplice cambio di nome; perciò Al Nusra ribattezzata potrà accedere direttamente (non più indirettamente come sino ad ora) alla fornitura di armi USA. I capitali comprano la rispettabilità.
Si ha un bel dire che l’Arabia Saudita è solo interessata a colpire i regimi arabi laici e non ha alcun movente a finanziare attentati in Occidente. Il punto è che i movimenti di denaro hanno una logica destabilizzante del tutto propria che può sfuggire anche agli intendimenti di chi li promuove. La narrazione dei media occidentali ci presenta gruppi o singoli fanatici, magari radicalizzati attraverso internet (sic!), che vorrebbero colpire i “valori” occidentali. C’è poi la fiaba dei cosiddetti servizi di “intelligence” che dovrebbero collaborare per bloccare i pericoli di attentati; come se i servizi di “intelligence” non fossero tra i principali attori nel business della vendita di armi e nell’annesso business della “sicurezza”. I servizi segreti costituiscono storicamente degli agenti di destabilizzazione, ma, quando si muovono in continuazione flussi di capitali, gli stessi servizi segreti vengono destabilizzati, perciò la loro già dubbia fedeltà diventa ancora più incerta.
Ogni movimento di denaro crea competizioni, lobby di vendita di armi, “servizi” bancari e relative società off-shore. Il denaro crea quindi aspettative d’affari che è molto insidioso deludere. Il denaro può trasformare delle nullità in leader e, come già accaduto nella ex Jugoslavia, può anche far esplodere frustrazioni che senza l’arrivo di flussi di capitale sarebbero rimaste per sempre latenti. In questo contesto gli attentati possono diventare altrettanti strumenti di ricatto o di pressione ed anche messaggi delle lobby; messaggi che le opinioni pubbliche - drogate dalle false ricostruzioni fornite dai media - non possono assolutamente decodificare, ma i governi sì.
Ma il terrorismo è solo un aspetto, neppure il più rilevante, del potenziale di destabilizzazione dei movimenti di capitali. Lo Stato è soltanto un’astrazione giuridica ed il potere reale si misura in base alla capacità di spesa. La questione quindi non è di legalità astratta ma di rapporti di forza. Quando, ad esempio, una ONG come Medici Senza Frontiere nelle sue brochure si vanta di spendere in assistenza sanitaria più degli Stati africani nei quali opera, di fatto MSF sta celebrando i fasti della colonizzazione. MSF salva delle vite, ma la sua attività può essere paragonata alla situazione di chi metta in salvo dalle fiamme gli abitanti di un palazzo che egli stesso ha contribuito ad incendiare.
I vincoli che i Trattati impongono sempre più al potere di spesa degli Stati, mettono i vari Paesi in condizione di inferiorità nei confronti degli “investitori” (colonizzatori) esteri; ed anche i gruppi dirigenti di questi Paesi vengono selezionati in base al grado di disponibilità a collaborare con i colonizzatori. La cosiddetta “sinistra” ha soppiantato l’internazionalismo del lavoro con l’internazionalismo del capitale e si è resa ideologicamente organica alla mobilità del capitale. Non a caso la questione basilare dei rapporti di forza è scomparsa dal dibattito, mentre ogni problema viene avvolto nel fumo propagandistico dell’educazionismo: educazione alla legalità, educazione ai diritti umani, ecc. Alla fine tutto si riduce al “fare i bravi”, a “fare i compiti”, per rendersi degni di ricevere tanti investimenti esteri, cioè di farsi destabilizzare e colonizzare.
La parodia del politicamente corretto, oggi vigente in Europa, ha posto alla gogna mediatica la scelta del nuovo buffone della Casa Bianca di defilarsi dall’accordo di Parigi sul clima. Quell’accordo era stato voluto proprio dall’icona del politicamente corretto, Barack Obama. Non è la prima volta nella storia che gli USA facciano di questi bidoni: nel 1919 il presidente Wilson impose agli altri Paesi vincitori della prima guerra mondiale la nascita della Società delle Nazioni (l’antenata dell’ONU), ma poi il Congresso USA non ratificò l’operato del suo presidente. È prassi normale nella politica internazionale americana l’imporre agli altri dei trattati a cui gli stessi USA poi non si sentono vincolati; e la loro messinscena democratica consente di questi voltafaccia senza rischiare di essere accusati di doppiogiochismo.
L’uscita degli USA dall’accordo peraltro cambia di poco le cose. Obama aveva disegnato l’accordo in funzione degli interessi delle multinazionali USA, le maggiori detentrici di brevetti nel campo delle tecnologie a presunto basso impatto ambientale; perciò, dato che le multinazionali sono in posizione di forza nei confronti di quasi tutti gli Stati, compresi molti Stati americani, i risvolti di business dell’accordo di Parigi rimarranno intatti.
La decisione di CialTrump si muove quindi sul piano del meramente simbolico. Il nuovo presidente USA ha impostato il suo piano di impatto mediatico proponendosi come icona del politicamente scorretto, in opposizione al suo predecessore. Questo sinora appare l’unico cambiamento della politica USA, dato che negli atti di CialTrump non si è configurata alcuna inversione di rotta nel rapporto tra finanza ed economia reale. Il nuovo “asse preferenziale” costituitosi tra USA e Arabia Saudita va appunto nel senso del perpetuare il dominio del movimento dei capitali.
I movimenti di capitali hanno sempre effetti destabilizzanti ed infatti l’Arabia Saudita, forte delle centinaia di miliardi appena elargiti agli USA, ha immediatamente avviato un brutale regolamento di conti con il suo principale concorrente sul mercato dei capitali, cioè il Qatar, accusato persino di “finanziare il terrorismo”. L’accusa è senz’altro fondatissima, ma che provenga proprio dall’Arabia Saudita costituisce un’ipocrisia degna del Sacro Occidente.
Anche per ciò che riguarda la politica interna, CialTrump non ha dato segni significativi di discontinuità col passato. L’attesa della drastica svalutazione del dollaro, che consentirebbe un rilancio delle esportazioni USA ed un ridimensionamento dell’invadenza commerciale della Germania e della Cina, è rimasta appunto un’attesa. In Italia molti “sovranisti” continuano a sperare in un’alleanza con gli USA in funzione antitedesca, ma, per il momento, sono solo speranze.
Il problema è che la “sovranità” è un’astrazione e ciò che conta è il rapporto di forza, che oggi è a favore delle lobby finanziarie. USA e Germania certamente si odiano, ma sottostanno alle stesse lobby. La stessa Italia, con il sistema industriale che ancora possiede, potrebbe uscire dall’euro anche domani mattina infischiandosene dei ricatti del Buffone di Francoforte, in arte Mario Draghi. Il problema è che l’Italia come soggetto politico non esiste e qui, come altrove, le scelte sono condizionate sempre dalle solite lobby finanziarie. La finanza non ha neppure bisogno di comandare, tramare o complottare, poiché si impone con la forza del senso comune, ormai radicato nella suggestione secondo cui la via maestra dello sviluppo economico consisterebbe nel dar torto ai poveri e nell’assistere i ricchi.
A proposito di assistenzialismo per ricchi, anche il taglio delle tasse alle imprese annunciato da CialTrump non avrebbe alcun effetto sul rilancio della produzione, perché notoriamente le imprese non investono nella produzione, bensì in prodotti finanziari, ciò che risparmiano sul fisco. C’è, anche in Italia, una forte campagna mediatica che tende a far credere all’opinione pubblica che il rilancio dell’economia sia legato al taglio delle tasse; ma in realtà un governo che volesse rilanciare davvero l’economia, invece di tagliare le tasse alle imprese, dovrebbe usare quei proventi fiscali per trasformarsi in committente di beni e servizi per quelle imprese. Così davvero le imprese sarebbero costrette ad investire ed assumere personale. Il punto è che le lobby finanziarie non hanno interesse a rilanciare l’economia reale ed i governi si adeguano al loro volere.
Il prezzo del petrolio intanto continua a cadere per il calo mondiale della produzione industriale. La questione della recrudescenza dell’aggressione imperialistica degli USA nei confronti del Venezuela non riguarda il petrolio in sé, che gli USA potrebbero comprare a prezzi stracciati. La vera questione oggi in ballo è quella della movimentazione dei capitali ottenuti dall’estrazione del petrolio venezuelano. Ha suscitato “scandalo” tra gli oppositori di Maduro la decisione di Goldman Sachs di acquistare obbligazioni dell’ente petrolifero venezuelano, più di due miliardi di bond pagati a circa un terzo del valore nominale. L’accusa a Goldman Sachs degli aspiranti golpisti venezuelani è quella di aiutare un “dittatore”, come se Maduro fosse stato eletto presidente con metodi più sordidi di qualsiasi altro capo di Stato o di governo. È chiaro che il mainstream ha le sue leggi inesorabili ed impone il suo conformismo, tanto che oggi anche a “sinistra” fa brutto non dire che Maduro è un dittatore.
È chiaro anche che mesi di destabilizzazione interna al Venezuela, causata proprio dalle ONG legate agli USA, hanno costretto l’ente nazionale del petrolio venezuelano a “internazionalizzare” i suoi profitti. Potrebbe essere un compromesso momentaneo, ma anche l’inizio di una resa totale del regime chavista al dominio della mobilità dei capitali; cosa che comunque non lo preserverebbe da un colpo di Stato camuffato da “rivoluzione colorata”.
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