Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Che il cinquestellismo si sarebbe immediatamente impantanato in indagini giudiziarie che lo avrebbero posto in contraddizione con se stesso, costituiva una di quelle previsioni sin troppo facili.
Se oggi il sindaco Virginia Raggi segnalasse la strana tempestività di certe indagini potrebbe essere facilmente accusata di ricorrere ad argomenti già familiari al Buffone di Arcore ed alla sua corte politico-giornalistica. Visto che da parte dei grillini non lo si era notato a suo tempo, non avrebbe senso per loro ricordarsi oggi che il Buffone stesso deve la sua carriera politica dal 1994, e la sua resurrezione politica nel 2008, a due colpi di mano giudiziari, il secondo dei quali, ai danni del ministro Mastella e della moglie, mise fine al secondo governo Prodi.
La fiaba dell’eterno conflitto tra il Buffone ed i magistrati continua dunque a pesare sul dibattito “politico” ed impedisce di analizzare l’effettivo ruolo svolto dalla magistratura in questi ultimi decenni, cioè quello di ribadire lo stato di sottomissione coloniale del ceto politico italiano nel suo complesso, tenuto in ostaggio dalle indagini per corruzione. La stessa legislazione anticorruzione è strutturata in funzione coloniale, poiché si considera reato la tangente, ma non il riservare a se stessi o ai propri parenti carriere nelle multinazionali. Quando il Movimento 5 Stelle ha posto l’onestà al centro del proprio programma politico, non ha dimostrato l’onestà intellettuale di prestare attenzione ai risvolti colonialistici della corruzione ed alle forme “legalitarie” che la corruzione può assumere in un contesto coloniale.
Il Comune di Roma è in deficit anche perché ha dovuto subire lo stesso tipo di truffa finanziaria sui titoli derivati da parte di multinazionali bancarie. A riguardo risultano interessanti le motivazioni della Corte di Appello di Milano che mandava assolte alcune di quelle multinazionali. Secondo i giudici la “asimmetria informativa” (elegante eufemismo per raggiro) non poteva costituire un alibi per il Comune di Milano, il quale avrebbe dovuto dimostrarsi “all’altezza” del suo ruolo istituzionale. Ecco servita dai giudici una visione del tutto astratta e idealizzata delle istituzioni, le quali non sono più composte da esseri umani qualsiasi, che subiscono la condizione di inferiorità dovuta alla abissale sproporzione di forze che si determina nel rapporto con una multinazionale, ma sono chiamate ad esibire doti e competenze sovrumane. L’inettitudine e l’opportunismo dei politici diventano così l’alibi delle multinazionali, alle quali si riconosce che truffando fanno solo il loro mestiere. Questo è il grado di protezione che delle istituzioni dello Stato ricevono dall’istituzione chiamata a proteggerle. Ma per proclamare la legge del più forte c’era bisogno dei giudici? A quanto pare sì.
La sottomissione coloniale ha ovviamente bisogno di una sostanziosa impalcatura ideologica di stampo razzistico. A riconferma che la cultura non ha mai salvato nessuno dai pregiudizi razziali, lo scrittore Alessandro Baricco ha spiegato il motivo delle diverse sorti delle giunte 5 Stelle di Torino e Roma con il diverso grado di corruzione ambientale tra le due città; per cui la titolazione mediatica ha sorvolato sulle eleganti sfumature dello scrittore e sintetizzato il tutto con un “Torino sana, Roma marcia”.
Che Roma sia per il momento maggiormente nel mirino perché, in quanto capitale, è diventata un bersaglio prioritario per il colonialismo, non sarebbe un’ipotesi da prendere in considerazione, in quanto “complottista”. Il complottismo ovviamente non c’entra niente, mentre c’entrano invece i rapporti di forza. Non sono le trame in sé a fare la differenza, ma il peso in termini di intimidazione, disinformazione e cooptazione che si è in grado di gettare sulla bilancia.
Magari ai militanti 5 Stelle potrebbe anche venire in mente di rileggersi la storia giudiziaria e accorgersi che, con qualche rara eccezione, si trova la magistratura sempre dalla parte del più forte. Ai 5 Stelle potrebbe anche capitare di domandarsi se per caso non siano stati essi stessi irretiti in qualche meccanismo manipolatorio per il quale un finto dissenso interno viene dirottato verso il consenso nei confronti di poteri sovranazionali che accorrano a “salvarci”.
Non c’è dubbio che l’impegno di Massimo D’Alema nel sostenere il “no” al prossimo (?) referendum sulla revisione costituzionale costituisca un motivo di imbarazzo per il resto del fronte del no, in quanto la presenza di un personaggio come D’Alema fornisce molti argomenti polemici, anche piuttosto scontati, all’avversario. Matteo Renzi infatti non ha perso occasione per rinfacciare allo stesso D’Alema la sua posizione di leader del “passato”, cioè esponente del vecchiume politico che il renzismo si è incaricato di spazzare via in nome del “nuovo”. Per la sua polemica, Renzi si è fatto fornire dai suoi “spin doctor” anche un colpo basso, rinfacciando a D’Alema di aver solo firmato, e non scritto, il suo opuscoletto di una ventina di anni fa, quello in cui si proponeva di trasformare finalmente l’Italia in un “Paese normale”.
Invocare la “normalità” ha un solo e sicuro effetto pratico, cioè proclamare la propria anormalità. La “anomalia italiana” è diventata un’espressione proverbiale che si risolve nel conferire al provincialismo uno status ideologico. Di questo provincialismo ideologico risente anche il dibattito sul referendum costituzionale. Alcuni si sono spinti a chiedersi a cosa serva una Costituzione scritta, visto che gli Inglesi ne fanno a meno. Gli Inglesi hanno il self-control e l’understatement, perciò non hanno bisogno di norme scritte, se non come formalizzazione a posteriori. Altro che abolire il senato, si può abolire addirittura la Costituzione. Cosa non si farebbe per diventare “normali”.
Il “normalismo” trova la sua appendice, peraltro contraddittoria, nell’eccezionalismo di altri popoli, specialmente quelli anglosassoni. Negli Stati Uniti il senso della propria eccezionalità e della propria missione mondiale è un dato scontato del dibattito interno. I popoli vassalli possono rifulgere a loro volta di luce riflessa militando nello schieramento del popolo superiore; schieramento oggi definito “Occidente”. Come italiano non vali una sega, ma come “occidentale” puoi vantare dei titoli di nobiltà.
Se da un lato l’ideologia della normalità costituisce la formalizzazione della propria sottomissione coloniale, dall’altro lato si è visto dove ha condotto la posizione di un certo “antagonismo di destra” che qualche anno fa aveva individuato orgogliosamente nel berlusconismo la manifestazione di una vivace anomalia italiana da rivendicare senza vergogna. In realtà la caricatura vivente impersonata dal Buffone di Arcore ha reso credibile nel 2011 agli occhi dell’opinione pubblica nazionale e internazionale quell’emergenza spread che non aveva alcuna pezza d’appoggio nei numeri dei conti pubblici. Il culto della propria anomalia è a sua volta un sottoprodotto dell’ideologia della normalità. Le figuracce internazionali del Buffone erano infatti funzionali a ribadire l’anomalia italiana e quindi a legittimare la normalizzazione poi imposta dalla grigiocrazia montiana.
Il nazionalismo finisce sempre per impantanarsi, poiché si infervora nel cercare un’evanescente identità nazionale e perde di vista il fatto che il colonialismo costituisce lo schema fondamentale della riproduzione del potere, e non esistono popoli e Stati immuni da questo schema. Una classe dominante può esasperare la sottomissione del proprio popolo tramite i vantaggi che gli derivano dallo sfruttamento di un popolo straniero e dalla partnership con la casta dominante del popolo sottomesso, come avveniva con il colonialismo britannico in India. Ma anche nei Paesi in stato di soggezione coloniale le classi dominanti si avvantaggiano dell’investitura, magari temporanea, che gli proviene da poteri stranieri o sovranazionali.
Insomma, le “borghesie nazionali” non esistono e la coscienza di classe di una qualsiasi “ruling class” è indissociabile dal collaborazionismo imperialistico, che funziona sempre in modo bilaterale, altrimenti non si spiegherebbe l’ossessione statunitense per avere “alleati”. Senza la pioggia di denaro degli investimenti dell’Arabia Saudita, la controffensiva reazionaria e “neoliberista” del reaganismo degli anni ‘80 sarebbe stata impossibile, e ciò ha determinato anche il formarsi negli USA di una potente lobby saudita, di cui notoriamente fa parte la famiglia Bush.
Lo stesso D’Alema potrebbe essersi sentito investito e appoggiato da qualche potentato internazionale nel momento in cui ha avviato la sua crociata contro Renzi. D’Alema è meno furbo di quanto crede di essere, e il suo impegno potrebbe non sortirgli nuove investiture dalla NATO come nel caso dell’aggressione alla Serbia del 1999, ma semplicemente una momentanea strumentalizzazione per sostituire Renzi con un commissariamento da parte della Troika.Per questo motivo Renzi sta facendo di tutto per rendersi il più insopportabile possibile, in modo da farci apparire persino la Troika come una “liberazione”.
Certo è che bisognerebbe capire perché mai dopo Renzi l’unica alternativa praticabile sarebbe costituita dal commissariamento da parte della Troika. Il filosofo Massimo Cacciari accredita indirettamente questa ipotesi affermando che lui vota sì perché una vittoria del no al referendum comporterebbe una caduta nel caos politico. La convinzione secondo cui sarebbe impossibile sostituire rapidamente Renzi con le consuete procedure istituzionali non trova il minimo riscontro, se non nell’universo autoreferenziale della propaganda, che ci indurrebbe a credere che un’Italia così irresponsabile da rifiutare di farsi “normalizzare” dalle salvifiche riforme di Renzi, non può che meritarsi un commissariamento.
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