Non c’è dubbio che l’impegno di Massimo D’Alema nel sostenere il “no” al prossimo (?) referendum sulla revisione costituzionale costituisca un motivo di imbarazzo per il resto del fronte del no, in quanto la presenza di un personaggio come D’Alema fornisce molti argomenti polemici, anche piuttosto scontati, all’avversario. Matteo Renzi infatti non ha perso occasione per rinfacciare allo stesso D’Alema la sua posizione di
leader del “passato”, cioè esponente del vecchiume politico che il renzismo si è incaricato di spazzare via in nome del “nuovo”. Per la sua polemica, Renzi si è fatto fornire dai suoi “spin doctor” anche un colpo basso, rinfacciando a D’Alema di aver solo firmato, e non scritto, il suo opuscoletto di una ventina di anni fa, quello in cui si proponeva di trasformare finalmente l’Italia in un “Paese normale”.
Invocare la “normalità” ha un solo e sicuro effetto pratico, cioè proclamare la propria anormalità. La “anomalia italiana” è diventata un’espressione proverbiale che si risolve nel conferire al provincialismo uno status ideologico. Di questo provincialismo ideologico risente anche il dibattito sul referendum costituzionale. Alcuni si sono spinti a chiedersi
a cosa serva una Costituzione scritta, visto che gli Inglesi ne fanno a meno. Gli Inglesi hanno il self-control e l’understatement, perciò non hanno bisogno di norme scritte, se non come formalizzazione a posteriori. Altro che abolire il senato, si può abolire addirittura la Costituzione. Cosa non si farebbe per diventare “normali”.
Il “normalismo” trova la sua appendice, peraltro contraddittoria, nell’eccezionalismo di altri popoli, specialmente quelli anglosassoni. Negli Stati Uniti il senso della propria eccezionalità e della propria missione mondiale è un dato scontato del dibattito interno. I popoli vassalli possono rifulgere a loro volta di luce riflessa militando nello schieramento del popolo superiore; schieramento oggi definito
“Occidente”. Come italiano non vali una sega, ma come “occidentale” puoi vantare dei titoli di nobiltà.
Se da un lato l’ideologia della normalità costituisce la formalizzazione della propria sottomissione coloniale, dall’altro lato si è visto dove ha condotto la posizione di un certo “antagonismo di destra” che qualche anno fa aveva individuato orgogliosamente nel berlusconismo la manifestazione di una vivace anomalia italiana da rivendicare senza vergogna. In realtà la caricatura vivente impersonata dal Buffone di Arcore ha reso credibile nel 2011 agli occhi dell’opinione pubblica nazionale e internazionale quell’emergenza spread che non aveva alcuna pezza d’appoggio nei numeri dei conti pubblici. Il culto della propria anomalia è a sua volta un sottoprodotto dell’ideologia della normalità. Le figuracce internazionali del Buffone erano infatti funzionali a ribadire l’anomalia italiana e quindi a legittimare la normalizzazione poi imposta dalla grigiocrazia montiana.
Il nazionalismo finisce sempre per impantanarsi, poiché si infervora nel cercare un’evanescente identità nazionale e perde di vista il fatto che il colonialismo costituisce lo schema fondamentale della riproduzione del potere, e non esistono popoli e Stati immuni da questo schema. Una classe dominante può esasperare la sottomissione del proprio popolo tramite i vantaggi che gli derivano dallo sfruttamento di un popolo straniero e dalla partnership con la casta dominante del popolo sottomesso, come avveniva con il colonialismo britannico in India. Ma anche nei Paesi in stato di soggezione coloniale le classi dominanti si avvantaggiano dell’investitura, magari temporanea, che gli proviene da poteri stranieri o sovranazionali.
Insomma, le “borghesie nazionali” non esistono e la coscienza di classe di una qualsiasi “ruling class” è indissociabile dal collaborazionismo imperialistico, che funziona sempre in modo bilaterale, altrimenti non si spiegherebbe l’ossessione statunitense per avere “alleati”. Senza la pioggia di denaro degli investimenti dell’Arabia Saudita, la controffensiva reazionaria e “neoliberista” del reaganismo degli anni ‘80 sarebbe stata impossibile, e ciò ha determinato anche il formarsi negli USA di una potente lobby saudita, di cui notoriamente fa parte la famiglia Bush.
Lo stesso D’Alema potrebbe essersi sentito investito e appoggiato da qualche potentato internazionale nel momento in cui ha avviato la sua crociata contro Renzi. D’Alema è meno furbo di quanto crede di essere, e il suo impegno potrebbe non sortirgli nuove investiture dalla NATO come nel caso dell’aggressione alla Serbia del 1999, ma semplicemente una momentanea strumentalizzazione per sostituire Renzi con un commissariamento da parte della Troika.Per questo motivo Renzi sta facendo di tutto per rendersi il più insopportabile possibile, in modo da farci apparire persino la Troika come una “liberazione”.
Certo è che bisognerebbe capire perché mai dopo Renzi l’unica alternativa praticabile sarebbe costituita dal commissariamento da parte della Troika. Il filosofo Massimo Cacciari accredita indirettamente questa ipotesi affermando che lui vota sì perché una vittoria del no al referendum comporterebbe una caduta nel caos politico. La convinzione secondo cui sarebbe impossibile sostituire rapidamente Renzi con le consuete procedure istituzionali non trova il minimo riscontro, se non nell’universo autoreferenziale della propaganda, che ci indurrebbe a credere che un’Italia così irresponsabile da rifiutare di farsi “normalizzare” dalle salvifiche riforme di Renzi, non può che meritarsi un commissariamento.