Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Il caso dell’anarchico Alfredo Cospito, segregato all’ergastolo ostativo, non è l’unico esempio di forzatura del codice penale pur di irrogare sentenze draconiane. Non mancano gli aspetti sconcertanti anche nella vicenda di Juan Antonio Fernandez Sorroche, un anarchico spagnolo condannato a ventotto anni di carcere per un presunto attentato nel 2018 ad una sede della Lega nel trevigiano. Del cosiddetto attentato infatti non si era accorto nessuno, e la polizia ne sarebbe venuta a conoscenza solo tramite una rivendicazione su internet.
Se non ci fossero di mezzo i ventotto anni di carcere a conferire al tutto un aspetto tragico, il caso si distinguerebbe per i suoi dettagli grotteschi, come una criptica perizia sul DNA dell’imputato. La compatibilità con Sorroche del frammento di DNA reperito dal RIS sul luogo del delitto andrebbe “da limitata a moderatamente forte”; come a dire: fate voi. La vicenda di Sorroche è ancora al primo grado di giudizio, per cui bisognerà vedere cos’altro ci si andrà ad inventare.
Il fatto che il presunto attentato sarebbe stato commesso contro una sede della Lega, può contribuire a spiegare tanto furore vendicativo. La Lega rappresenta infatti l’eversione istituzionalizzata e protetta, uno dei focolai di destabilizzazione coltivati dallo stesso establishment. Negli ultimi anni la Lega era riuscita a gonfiarsi elettoralmente spacciandosi per sovranista ed euroscettica, mentre in effetti il suo vero obbiettivo consiste in quella forma di separatismo strisciante che è la cosiddetta autonomia differenziata. Persino la crisi Covid era stata sfruttata dalla giunta leghista della Regione Lombardia per determinare fatti compiuti e stabilire precedenti nel senso dell’autonomia differenziata. La magistratura ha fatto finta di nulla, mettendo su a copertura un’inchiesta/farsa su uno scandalo dei camici, giusto per far credere di essere vigile e permettere alla Lega di atteggiarsi a vittima. Malafede però non significa necessariamente lucidità; anzi, spesso è il contrario. Il potere è molto più “pavloviano” di quanto non si creda, per cui ciò che, visto dall’esterno, può apparire come capacità di manovra, in realtà è puro riflesso condizionato, una dinamica di gruppo che è diventata puro comportamento ripetitivo. C’è un automatismo per il quale se vengono toccate le magagne inconfessabili dell’establishment, scattano reazioni scomposte ed esagerate che finiscono per mettere in evidenza proprio ciò che vorrebbero nascondere.
Il giornalista Marco Travaglio si è dichiarato tendenzialmente anarchico ed insofferente a regole aggiuntive a quelle del codice penale, ed in tal modo, senza rendersene conto, ha toccato proprio il tasto dolente. Se il codice penale fosse applicato (e neanche tanto rigorosamente, ma appena appena), quella finzione giuridica chiamata con l’appellativo chimerico di “Stato” si dissolverebbe in un attimo. Se lo “Stato” applicasse la propria legge, dovrebbe mettere in galera prima di tutto se stesso, insieme con l’intero establishment pubblico/privato. Il legame reale del potere è l’illegalità, l’associazionismo a delinquere, cioè una rete trasversale di abusi, di estorsioni, di ricatti incrociati, di frodi e di complicità. Per il sistema di potere il reato è come l’aria che si respira, tanto da rendere superflua la consapevolezza. Il potere è inganno ma anche autoinganno, per cui ci si può persino autosuggestionare, percepirsi come “onesti” e integerrimi, considerando le proprie “trasgressioni” solo come una deroga del tutto momentanea e irrilevante, mentre invece sono il vero motore del sistema. Si è integerrimi finché dal dossier non esce fuori qualche reato che non ci si era neppure accorti di aver commesso.
L’illegalità del potere fa le sue vittime, che magari passano alla cronaca come “suicidi”. Dall’inizio dell’anno sono più di cinquanta i casi di “suicidio” tra le forze dell’ordine. I giornali qualche volta fanno pure lo sforzo di riportare la notizia, ma senza l’enfasi (e la voglia di sapere) che una stranezza del genere dovrebbe suscitare. I media non seguono la sostanza dei fatti ma le bolle della suggestione, di quelle scampanellate che li fanno salivare a comando. I poveri cani di Pavlov certamente non erano così squallidi e scontati, poiché certi eccessi di anaffettività e di mancanza di empatia sono caratteristici ed esclusivi della specie umana.
Nel 2018, all’epoca del cosiddetto governo gialloverde, in base alla narrazione mediatica sembrava che l’Italia fosse diventata una specie di Alabama in cui uomini con i cappucci bianchi scorazzavano linciando i “negri”. In questi giorni invece il “negro” se lo stanno linciando proprio i media. Da che non si poteva neppure pronunciare la parola “negro”, si è passati di colpo al pubblico ludibrio nei suoi confronti; un ludibrio che travolge chiunque non assuma un atteggiamento pregiudizialmente colpevolista. Tutti sono dossierati perciò l’incappare nella gogna mediatico-giudiziaria dipende soltanto dalla scampanellata che determina la salivazione.
I media hanno percepito che la Meloni è una rappresentante di istituto protetta dal preside, per cui l’attività del suo governo è come un Erasmus, un’agenzia di viaggi per farsi fotografare insieme con Xi Jinping o Biden; tanto le vere decisioni le prende il capo d’istituto. Visto che la Meloni è protetta dal capo, la furia iconoclastica dei media si è rivolta automaticamente contro un bersaglio confacente alla propaganda governativa, come appunto il caso del deputato Soumahoro. Il copione è sempre lo stesso. Il personaggio proveniva dal sindacalismo di base puro e duro, ma era stato poi recuperato, cooptato e “normalizzato” dall’establishment, e infatti era entrato nel giro dei soldi. Ora lo stesso establishment si incarica di macinarselo nei media e nei tribunali. Il moralismo politicamente corretto ha prima costretto l’opinione pubblica a comprimere le sue pulsioni razzistiche, e poi le ha fornito il capro espiatorio sul quale sfogarle. Il moralismo è una macchina idraulica, funziona per compressione e sfogo, l’inibizione prepara e legittima l’eccesso. Ciò che, visto dall’esterno, potrebbe sembrare come “giustizia ad orologeria”, invece è l’effetto salivatorio della campanella che ha aperto il flusso; e magari il “capo” non l’aveva neanche suonata solennemente, ma è bastato un ammiccamento. Chissà quanti altri Soumahoro stanno lì di riserva e sono già pronti per l’uso da capro espiatorio.
La condizione di autosuggestione è tale che anche i più servili tra i giornalisti si sentano dei guardiani della pubblica morale a caccia dei privilegi dei potenti; ma poi quegli stessi giornalisti non si infervorano per la scia di cadaveri tra poliziotti e carabinieri; anzi, molti giornalisti non lo sanno nemmeno. Se però a qualche giudice fosse saltato in mente di attribuirne l’assassinio a Sorroche, invece i giornalisti se ne sarebbero accorti ed il loro petto ora sarebbe gonfio di autentica indignazione.
Ringraziamo Cassandre.
Secondo la narrativa ufficiale ci troveremmo nella fase di coda di una pandemia - che però potrebbe riprendere virulenza -, e nel pieno di una crisi economica ed energetica, aggravata da una guerra che potrebbe generare una crisi alimentare planetaria e persino un conflitto atomico globale. Eppure sentivamo che ancora ci mancava qualcosa per essere davvero felici. Da qualche giorno infatti è finalmente arrivata una nuova emergenza, quella del terrorismo anarchico, in seguito ad un presunto attentato ad una diplomatica italiana in Grecia. Si ipotizza che il presunto attentato sia attribuibile ad anarchici greci, che sarebbero a loro volta in contatto con loro omologhi in Oregon (dati gli storici legami tra Grecia ed Oregon); il tutto sarebbe da inquadrare in una rete anarchica internazionale nata da un patto sovversivo, che pare sia stato stretto a Torino.
Creare un’emergenza-terrorismo oggi è un’attività di tutto riposo. Una volta occorreva che si riunissero Gladio, la CIA, l’Ufficio Affari Riservati e la P2; magari erano sempre le stesse persone con tessere diverse, ma comunque un po’ di sforzo ci voleva. Adesso invece basta che il più fesso dei funzionari si metta al computer per inventarsi facilmente una minaccia terroristica con qualche finto messaggio sui social o con qualche comunicato di rivendicazione di fantomatici attentati. La Digos, giacché è stata mandata e ormai si trova lì, uno straccio di indizio lo rimedia sempre: una bottiglia con cui volevano confezionare la molotov, una pentola con la quale fabbricare una bomba, una busta di plastica con cui volevano soffocare la cugina di terzo grado della Meloni. Si parla tanto dei “rivoluzionari da tastiera”, ma ci si dimentica dei “reazionari da tastiera”, cioè di queste ondate di “false flag” virtuali e a costo zero, tramite le quali è un’inezia suscitare allarmismi e atmosfere forcaiole.
L’attuale sistema di potere è ormai drogato di emergenze, e tende a produrne meccanicamente sempre di nuove, in base all’effetto sponda tra le lobby d’affari ed un’opinione pubblica forcaiola e gonfiata dall’allarmismo dei media. Il sistema di potere oggi è come una macchina che abbia solo l’acceleratore e non il freno, e infatti la tenaglia tra moralismo punitivo e business ha schiacciato tutte le tradizionali funzioni di compensazione e di riequilibrio. Il termine “doppiopesismo” non si usa più tanto, è più fine dire “doppio standard”; ma, comunque lo si voglia chiamare, appare strano il denunciare la “polizia morale” iraniana (ammesso che la narrativa mediatica a riguardo sia attendibile), ma non accorgersi che anche da noi vige lo stesso orrore del sacrilegio. Invece che di veli, si tratta di presunti vaccini: stabilito che i famosi sieri non sono approvati in via definitiva e che non preservano dal contagio, qualsiasi ipotesi di obbligo non ha la minima pezza d’appoggio legale, perciò si ricorre impudentemente al sacro, pretendendo un atto di sottomissione e di fede nei confronti delle divinità dell’Ascienza e dell’Emergenza.
Lo Stato di Diritto era un’illusione, ma questa illusione aveva retto per quasi due secoli. Dai tempi di Cicerone il Diritto e l’arte retorica erano inestricabilmente legati; infatti il Diritto si fondava sull’artificio verbale in grado di conciliare gli opposti e smussare le contrapposizioni, ma ora l’insolenza dell’emergenzialismo rende impossibile praticarlo. In altri tempi i giudici costituzionali sarebbero riusciti ad escogitare un escamotage, un elegante cavillo per salvare capra e cavoli, in modo da evitare sia di sconfessare i governi e il Presidente della Repubblica, sia di ammettere sfacciatamente che il loro arbitrio sui corpi dei cittadini è incondizionato e illimitato. Non che anche prima non ci fosse lo stesso arbitrio, ma era fondamentale per l’equilibrio del sistema non esplicitarlo. Smarrita l’eloquenza del Diritto, la Corte Costituzionale non è più capace di parlare, si esprime a grugniti.
Lo sdoganamento “costituzionale” della biopolitica non ha soltanto implicazioni sanitarie, ma generalmente securitarie. Le grandi multinazionali del digitale hanno trovato nella biometria applicata alla sicurezza il loro grande business dell’avvenire. Ci sono state delle proteste tra il personale di Google e di Amazon, in quanto queste due corporation hanno ottenuto dei contratti dal governo israeliano per la fornitura di software di riconoscimento facciale da applicare nei confronti dei palestinesi.
Gli uomini dei servizi di intelligence e di sicurezza israeliani, quelli che hanno individuato le emergenze securitarie e sollecitato i contratti con le multinazionali del digitale, chissà dove andranno a lavorare una volta che hanno lasciato il loro posto nell’amministrazione pubblica. Guarda la combinazione: vanno a lavorare nelle stesse aziende che hanno da loro ottenuto i contratti. Ecco quindi le spie israeliane che vanno ad occupare posti ben remunerati in Google, Amazon, Facebook e Microsoft. Si tratta della solita orgia di porte girevoli tra pubblico e privato, che rappresenta il marchio di fabbrica delle lobby d’affari. La lobby è appunto trasversale alla fittizia distinzione giuridica tra Stato e Mercato. A quando un software biometrico per il riconoscimento facciale degli anarchici? Anche gli agenti segreti nostrani hanno diritto a farsi una bella carriera in Amazon.
In Francia la presidenza di Macron si sta manifestando come un caso eclatante di lobbying. Ovviamente le varie inchieste giudiziarie su Macron per gli scandali dei finanziamenti da parte delle multinazionali Uber e McKinsey finiranno a tarallucci e vino. Ma il problema non è di stabilire quanto sia corrotto Macron, bensì di capire quanto sia in grado di sfuggire agli automatismi emergenziali, cioè se sia capace di far solo lobbying o anche politica nel senso tradizionale. Gli stessi media che oggi fanno la morale a Macron per i finanziamenti illeciti, probabilmente sarebbero pronti a impartirgli la lezioncina morale anche se egli volesse sottrarsi ai sacri rituali emergenziali.
Macron ora si candida per mediare con la Russia, ma bisogna vedere di quale Russia si sta parlando, se di quella reale, o di quella fantasmatica/emergenziale, quella funzionale al business della sicurezza e delle armi. Come è noto, per la Francia le cose si mettono al peggio in Africa e, dopo dieci anni, Macron ha dovuto mettere fine all’intervento militare francese in Mali. Dieci anni fa l’emergenza che aveva giustificato il business bellico era il terrorismo islamico. Oggi il governo del Mali ha preso le distanze dalla Francia e ne ha accelerato lo sfratto dal proprio territorio, mettendo in cima alla lista degli sfrattati le famigerate ONG. Di chi la colpa? Secondo la prestigiosa BBC la risposta è ovvia: la colpa è della disinformazione russa, infatti i cittadini del Mali oggi inneggiano alla Russia; quindi in Africa la Russia sarebbe la nuova emergenza. Ce n’è abbastanza per essere scettici sulla capacità di Macron di esercitare davvero un ruolo di mediazione con la Russia.
Ringraziamo Michele.
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