Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Uno degli aforismi meno noti, ma più efficaci, di Georges Clemenceau è quello che egli pronunziò davanti al parlamento francese alla fine della prima guerra mondiale. Parafrasando la famosa formula di Carl Von Clausewitz ("la guerra non è altro che la politica condotta con altri mezzi"), Clemenceau affermò che la pace non è altro che la guerra condotta con altri mezzi.
Quanto questo aforisma colga nel segno, è dimostrato dal fatto che la attuale campagna sulla pacificazione e riconciliazione nazionale per chiudere il capitolo della guerra civile in Italia tra il 1943 ed il 1945, è stata in realtà un modo per riaprire quella guerra civile, anzi per porre le premesse di un nuovo regolamento di conti.
Si potrebbero anche liquidare le operazioni editoriali di Giampaolo Pansa nel senso dello sfruttamento commerciale di una sorta di nostalgia dell'anticomunismo, come a dire che gli anticomunisti, avendo perso il loro storico nemico, dovrebbero accontentarsi oggi di ricordi e recriminazioni che gli facciano rivivere i bei tempi di una volta, in cui tutto risultava per loro semplice e chiaro.
In realtà questo anticomunismo senza comunismo ha vari precedenti storici, perciò si può dire che l'anticomunismo costituisca un meccanismo propagandistico autonomo, che non è puramente funzionale alla lotta contro uno specifico avversario. Ad esempio, il fatto che il regime castrista a Cuba sia sopravvissuto quasi vent'anni alla fine dell'impero sovietico, dimostra che quel regime non era ideologicamente e materialmente dipendente dall'Unione Sovietica, come era stato invece sostenuto per decenni dalla propaganda americana, e come ha proclamato di recente, contro ogni evidenza, anche un film hollywoodiano realizzato dall'attore Andy Garcia, un cubano di idee anticastriste.
Ovviamente qui non si tratta di vedere un modello nella rivoluzione cubana e neppure di appoggiare il regime che ne è derivato, ma semplicemente di constatare che un'eventuale rimozione del castrismo non farebbe per niente cessare l'aggressione colonialistica degli Stati Uniti nei confronti di Cuba. Questa aggressione continuerebbe con nuove tecniche e con nuovi pretesti.
Oggi vediamo infatti che la NATO, da alleanza in funzione antisovietica, è diventata uno strumento di aggressione colonialistica in Asia in nome della lotta al terrorismo islamico o - in base all'ultima trovata propagandistica dei "Neocons" americani - della lotta all' "islamofascismo". Anche la necessità di dislocare nuovi missili in Europa non è più giustificata con la minaccia di missili sovietici, ma di ipotetici missili iraniani. Inoltre la propaganda "occidentale" continua a presentare il capo del Cremlino come un losco personaggio, sebbene questi non sia più comunista.
Ma questa intercambiabilità dei pretesti di aggressione non toglie che l'anticomunismo continui a costituire per il cosiddetto "Occidente" una sorta di quadro di riferimento, di collante ideologico di base. La stessa definizione di democrazia occidentale ormai non ne può più fare a meno, dato che l'anticomunismo costituisce un indispensabile paravento ideologico per giustificare l'odio di classe e l'odio razziale delle oligarchie americane ed europee.
Quel sistema colonialistico che va sotto il nome di "Occidente" continua quindi ad essere ideologicamente dipendente dall'anticomunismo, anzi questa dipendenza aumenta se si considera che da almeno quarant'anni non c'era mai stata tanta propaganda anticomunista come adesso.
22 novembre 2007
I "colloqui al vertice" avviati da Walter Veltroni hanno inaugurato l'ennesima "stagione delle riforme istituzionali". Tutto ciò va inquadrato nella situazione di subordinazione coloniale in cui l'Italia si trova.
È tipico del colonialismo camuffare le sue aggressioni mirate ad obiettivi affaristici come se fossero invece degli scontri di modelli politico-sociali o di civiltà, perciò ogni resistenza al colonialismo stesso viene etichettata come "antistorica", come un rifiuto del progresso e della modernizzazione. Ciò spesso può determinare nei popoli colonizzati una falsa coscienza, che sposta i termini della questione dalla difesa nei confronti dell'aggressione coloniale in sé, ad un'ansia di adeguamento ai modelli astratti con cui il colonizzatore giustifica la sua aggressione.
È quello che sta avvenendo oggi nel dibattito politico italiano. Un Paese espropriato del suo territorio da basi militari straniere che sono centri di contrabbando ed evasione fiscale, un Paese che non può più battere moneta e difendere le sue esportazioni, un Paese a cui viene impedito dalle multinazionali di avere una sua politica energetica ed una sua ricerca tecnologica, cosa fa?
Un Paese espropriato sposta la sua attenzione su riforme costituzionali, leggi elettorali e nuovi aggregati partitici, in modo da diventare sempre più simile ai modelli del Paese colonizzatore.
La falsa coscienza svolge anche un ruolo di "protezione" nei confronti di un'opinione pubblica che si sentirebbe smarrita di fronte alla gravità dei problemi. L'avventura afgana costituisce da questo punto di vista un esempio sconcertante: il governo italiano deve sostenere spese crescenti per far parte di una missione della NATO, il cui effetto è che l'Italia viene oggi inondata da eroina derivata dall'oppio di cui la NATO cura la coltivazione in Afghanistan, oppio che poi la stessa NATO smista in Europa grazie ai privilegi di extraterritorialità delle sue basi. Ogni Paese colonizzato deve infatti sostenere un prelievo fiscale sempre più oppressivo in modo da poter finanziare non servizi, ma imprese affaristiche che lucrano ai danni dello stesso Paese colonizzato.
Anche le ribellioni e le critiche al sistema di dominio sono condizionate dalla falsa coscienza, perciò alla fine risultano sempre drasticamente al di sotto della reale entità dei problemi. Ciò è stato evidente con il V-Day, i cui bersagli non erano la NATO e l'Unione Europea, ma i "politici".
Gran parte dell'opinione pubblica è davvero convinta che i nostri guai derivino dal fatto che l'Italia non sia ancora una "vera democrazia" come gli Stati Uniti, e quindi chiede ai nostri politici di adeguarsi a quel modello, il che è esattamente quello che i politici si sforzano di fare, omettendo però di avvertirci che il ceto politico statunitense non è affatto "vicino alla gente", ma è il più corrotto e privilegiato del mondo.
D'altro canto anche questi politici - che una volta venivano chiamati i "lacchè" del colonialismo - vivono una loro falsa coscienza, che li conduce ad imitare i modelli imposti dal colonialismo con un sincero entusiasmo e con un autentico senso di identificazione. Veltroni è davvero convinto di condurci ad una sorta di Terra Promessa, in cui spera di realizzare non l'interesse dei cittadini, ma la sua personale ambizione, che è quella di essere accolto finalmente alla corte dei dominatori come se fosse uno di loro. Ma Veltroni, e quelli come lui, si illudono, come già successe a suo tempo a Craxi.
La falsa coscienza dei lacchè del colonialismo consiste appunto nel sottovalutare il razzismo dei colonizzatori. Le oligarchie dominanti vivono infatti anch'esse una propria falsa coscienza, che consiste nel vedersi non come gruppi criminali e affaristici favoriti dalle circostanze, bensì come una vera razza eletta che avrebbe il diritto di dominare il mondo. Nella loro presunta élite esclusiva, non ammetterebbero mai esponenti di razze inferiori, neppure in funzione subordinata.
29 novembre 2007
|
|
|