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"Il Congresso nega nel principio il diritto legislativo" "In nessun caso la maggioranza di qualsiasi Congresso potrà imporre le sue decisioni alla minoranza"

Congresso Antiautoritario Internazionale di Saint Imier, 1872
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 31/10/2013 @ 03:13:01, in Commentario 2013, linkato 1952 volte)
Assurto ai fasti ed ai trionfi dei palcoscenici televisivi, il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, si è candidato ufficialmente di fronte alla pubblica opinione a diventare il saccheggiatore del patrimonio immobiliare dello Stato italiano. Ma, come si vedrà, non solo di quello.
Nella perfomance televisiva del saccheggiatore Saccomanni, ha suscitato particolare scalpore l'ipotesi di privatizzare, oltre che l'ENI, anche la RAI. La perdita della RAI non sarebbe certo paragonabile a quella dell'ENI, che è detentrice di uno storico patrimonio finanziario e tecnologico. L'attuale RAI invece non è più nemmeno una vera azienda produttrice, ma piuttosto un ente appaltatore, e l'unica sua produzione riguarderebbe la cosiddetta "informazione", anche questa in effetti appaltata, o delegata, alle agenzie di propaganda della NATO e della UE. L'aspetto interessante della RAI agli occhi delle lobby delle privatizzazioni, riguarda ben altro, e cioè il suo patrimonio immobiliare, tutt'altro che trascurabile. L'ente radiotelevisivo "pubblico" possiede infatti molti edifici e terreni, dislocati praticamente in ogni regione italiana.
Saccomanni proviene dalla Banca d'Italia, ma ha lavorato per cinque anni nel Fondo Monetario Internazionale, cioè l'associazione a delinquere di stampo colonialistico alla cui ombra oggi si svolge la collaborazione tra il super-imperialismo anglosassone ed il sub-imperialismo tedesco ai danni dei Paesi del Sud-Europa. Il "Wall Street Journal" recentemente ha segnalato il rinnovato interesse delle multinazionali statunitensi e tedesche per il patrimonio immobiliare italiano; e se il loro lobbista Saccomanni farà quanto ha promesso, questo patrimonio non solo si renderà disponibile a condizioni di favore, ma potrà essere usato anche per operazioni finanziarie.
Nell'epoca del denaro elettronico è infatti cresciuta a dismisura l'attrazione delle multinazionali finanziarie per i beni immobili, sui quali costruire anche contorte operazioni speculative come le "securitization", ribattezzate in italiano con un nome ancora più falsamente rassicurante: cartolarizzazioni. Non a caso, per attuare i suoi piani, il ministro Saccomanni ha appena generato una nuova creatura, la INVIMIT (Investimenti Immobiliari Italiani), una società per azioni inquadrata giuridicamente come una SGR, cioè una Società di Gestione del Risparmio; quindi un organismo che unisce all'aspetto immobiliare anche quello finanziario, con la possibilità di emettere titoli. L'INVIMIT dovrebbe appunto occuparsi della dismissione del patrimonio pubblico italiano.
Con tipica impudenza lobbistica, l'operazione fraudolenta di dismissione del patrimonio pubblico viene spacciata da Saccomanni come un favore al contribuente italiano, cioè un modo per alleggerire il debito pubblico ed il deficit di bilancio senza ricorrere ad un'ulteriore pressione fiscale. Il segretario della CISL, Raffaele Bonanni, che si è opposto alla vendita delle quote possedute dal Tesoro in ENI, Finmeccanica e Poste, poi ha concesso il suo avallo a Saccomanni per la vendita del patrimonio immobiliare dello Stato, come se si trattasse di un peso morto. In realtà i patrimoni immobiliari sono ricchezza reale ("real estate", dicono gli anglofoni), e non si comprende perché non possano essere messi in attivo di bilancio. Inoltre, se si fosse trattato semplicemente di vendere i beni pubblici, non sarebbe stato necessario creare un organismo come l'INVIMIT, che non è solo immobiliare, ma soprattutto finanziario. Le privatizzazioni dei beni immobili non solo non rendono nulla allo Stato, ma costano, ed anche molto. L'INVIMIT non dovrà semplicemente privatizzare, ma anche finanziare la privatizzazione, poiché, da che mondo è mondo, ogni privato che si rispetti non tira mai fuori un soldo di suo. Uno dei temi preferiti della "opposizione" di bandiera è la giustizia fiscale, ma la prima e più semplice tassa sulla ricchezza consisterebbe nel non privatizzare.
Per finanziare le privatizzazioni, l'INVIMIT ha quindi bisogno di denaro fresco, e Saccomanni ha pensato bene di trovarlo in un ente come l'INAIL, l'Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro. Poi si dice che gli infortuni sul lavoro sono una disgrazia. Certamente non lo sono per Saccomanni, che ha saputo come farli fruttare. L'INAIL dovrà infatti "investire" nell'INVIMIT quasi due miliardi entro i prossimi quattro anni. Sia sul piano economico che etico sarebbe molto difficile spiegare come mai i fondi dell'assicurazione infortunistica siano messi a rischio per speculazioni finanziarie a vantaggio di gruppi privati; infatti non è stato spiegato, ma è stato fatto e basta, tanto si tratta di notizie che rimangono nelle pagine interne dell'informazione ufficiale.
Nell'INAIL c'è ancora parecchio da saccheggiare, poiché non è solo una cassaforte finanziaria, ma anche una cassaforte immobiliare. Nonostante le vendite degli anni passati, l'ente assicurativo antinfortunistico possiede ancora un patrimonio immobiliare piuttosto ricco e variegato, che va dagli edifici storici di valore artistico e architettonico, sino agli uffici ed agli appartamenti.
 
Di comidad (del 07/11/2013 @ 03:04:14, in Commentario 2013, linkato 2072 volte)
Prima che le peripezie della ministra Cancellieri distraessero l'opinione pubblica, nella scorsa settimana aveva suscitato molta attenzione la sortita del Tesoro statunitense, che imputava l'attuale debolezza della zona euro alla politica economica imposta dalla Germania. Il governo tedesco si è preso la strigliata senza obiettare più di tanto, anche se avrebbe potuto facilmente far notare che, se l'amministrazione statunitense davvero non gradisse l'attuale conduzione della zona euro, le basterebbe far pressione sul Fondo Monetario Internazionale per cambiare le cose, dato che questo fa parte della famosa Troika che impone il "rigore" all'Europa.
In fondo, il fatto che il FMI abbia la sua sede centrale a Washington, non è da considerarsi proprio un caso. L'Italia ricopre dal 2011 lo status di sorvegliata speciale del FMI e, se si volesse farle recuperare un po' di competitività, basterebbe non imporle il raggiungimento del pareggio di bilancio. Sarebbe sufficiente questo per cominciare ad attenuare gli esagerati attivi della bilancia commerciale tedesca. Il FMI invece asseconda ogni tanto la retorica americana sulla "crescita" lanciando un'analoga retorica sugli effetti deleteri dell'austerità, ma la sua politica di imposizione della "austerità" - cioè di guerra contro le classi lavoratrici - rimane la stessa.
Oggi la Germania si ritaglia un enorme vantaggio commerciale, ma ciò avviene per una politica dettata da un organismo internazionale come il FMI; un organismo che Washington ha spesso dimostrato di poter controllare, anche liquidando all'occorrenza, con opportuni scandali, i dirigenti sgraditi come Strauss-Kahn. La Germania è detentrice di una posizione sub-imperialistica, ma il super-imperialismo rimane quello di marca FMI/NATO, cioè USA. Il FMI ha imparato dall'esperienza nazista che si può trattare anche l'Europa come una qualsiasi colonia africana, ma lo stesso nazismo aveva imparato molto dall'imperialismo anglosassone; perciò gli imperialismi, nel loro conflitto, tendono anche ad integrarsi.
Il punto di forza dell'imperialismo statunitense in Europa è infatti costituito dal collaborazionismo degli stessi gruppi dirigenti europei, più intenti al conflitto di classe che al conflitto nazionalistico. Il mito del declino statunitense poggia su un errore di fondo, in quanto si prende sul serio la fiaba circa l'esistenza di una "concorrenza" internazionale. Gli imperialismi maggiori e quelli minori competono tra di loro, ma più spesso si accordano a spese di altri. Il Trattato di Maastricht del 1992 fu il risultato di un accordo tra la Germania ed il FMI a danno dell'Europa del Sud; allo stesso modo adesso è tra Washington e Berlino che si stanno decidendo gli esiti del negoziato che nel 2015 avvierà il mercato transatlantico euro-americano, il TTIP, detto anche la "NATO Economica".
Persino l'Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO) rappresentò l'effetto di un'intesa finanziaria e commerciale tra gli USA e la Cina, con gli USA che costringevano tutte le frontiere ad aprirsi ai prodotti cinesi, in cambio dell'acquisto di titoli del Tesoro statunitense da parte della Cina. Il blocco dei negoziati di Doha dal 2001 e le dispute cino-americane sul pollame hanno determinato l'impressione giornalistica che il WTO sia in crisi. Sarà anche così, ma sta di fatto che il sistema di scambi finanziari e commerciali vigente è ancora quello determinato dagli accordi WTO detti "Uruguay Round" e che hanno generato i loro effetti dal 1995.
Il "declino" rappresenta il perenne marchio di fabbrica del dominio USA. I soli periodi storici di incontrastata supremazia economica statunitense sono coincisi con i due dopoguerra del secolo scorso, e per il resto l'economia americana è sempre stata in affanno, anche prima dell'ascesa dei cosiddetti BRICS. Dopo la prima guerra mondiale gli USA godevano di un predominio economico che sembrava insormontabile, ma riuscirono a bruciarlo in soli nove anni a causa del loro avventurismo.
Il punto fondamentale della questione non consiste neppure nella forza militare degli USA, dato che questi hanno più volte dimostrato di non saper vincere una guerra da soli, se non a Grenada. La vittoria sul Giappone nella seconda guerra mondiale viene presentata come una vittoria americana, e tanti film ci hanno mostrato gli eroici marines mentre stanavano i giapponesi da innumerevoli isolette per porvi le basi per l'attacco aero-navale al Giappone. Ma i film si dimenticano di precisare che quelle isole erano presidiate da poche migliaia di soldati giapponesi, dato che i milioni di soldati giapponesi intanto erano impegnati nella guerra in Cina.
Il pericoloso mito del declino statunitense si alimenta di cifre e statistiche che non considerano che Washington deve il suo ascendente planetario non ai successi economici o militari, ma al fatto di costituire la bestia nera delle classi lavoratrici, il sicuro alleato dei privilegiati di ogni parte del mondo nella guerra contro i loro poveri. Grazie alla mitologia del declino, gli USA possono rigenerare e perpetuare la loro aggressività, dissimulandosi sotto un "understatement" ed un basso profilo che non fanno altro che riconfermare la loro indispensabilità per risolvere i presunti "problemi" del mondo.
In un campo il predominio statunitense è sempre stato incontrastato, e continua ad esserlo, ed è quello ideologico, cioè la rappresentazione e narrazione del mondo. A differenza dei Tedeschi, gli Anglosassoni "portano" il razzismo con una tale disinvoltura che viene percepito come paterna sollecitudine. C'è sempre qualcosa o qualcuno da salvare, e la sopraffazione viene agevolmente spacciata come missione di salvataggio. E non ci sono soltanto i pazzi dittatori da tenere a bada. Ad esempio, l'ex vicepresidente USA Al Gore è diventato l'alfiere internazionale dell'emergenza "riscaldamento globale". Gore manipola per l'opinione pubblica temi che possono facilmente essere fraintesi come di "sinistra" (la minaccia ambientale, la finitezza delle risorse, il pericolo della guerra), per tracciare uno scenario apocalittico di conflitti globali in cui ci si scanna per accaparrarsi l'energia, il cibo e persino l'acqua.
In realtà, guerre come quelle contro l'Iraq e la Libia sono andate non ad accaparrare, ma a distruggere sistemi di approvvigionamento idrico costruiti in decenni di sforzi, e ciò a causa dello stesso intreccio tra militarismo e affari che ha innescato sinora tutte le guerre, e che presiede ad organismi internazionali come la NATO. Il lobbying delle multinazionali ha infatti trovato nella NATO il principale tempio in cui celebrare i propri riti e curare i propri affari. Il mito di un'emergenza ambientale a livello planetario serve ancora una volta a rafforzare l'idea dell'esigenza di un governo mondiale, quindi nuovi trattati, nuovi accordi per il commercio, altro potere alle organizzazioni internazionali come il FMI, la NATO, il WTO ed il TTIP. Insomma, qualcosa che assomiglia molto a ciò che già accade attualmente.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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