Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
La vicenda della candidatura di Massimo D’Alema a ministro degli Esteri dell’Unione Europea è stata interpretata da alcuni come un raro episodio di fair play istituzionale, poiché è stato proprio il governo Berlusconi a presentarla ufficialmente. Per lo stesso motivo, altri commentatori, fra cui Marco Pannella, hanno invece qualificato l’episodio come l’ennesima dimostrazione della complicità fra i due principali esponenti della maggioranza e della “opposizione”. Se Pannella non avesse, come al suo solito, condito la sua narrazione di dettagli assurdi e ridicoli - come la convergenza di D’Alema e Berlusconi per neutralizzare la minaccia per loro rappresentata nientemeno che da Emma Bonino -, il suo discorso avrebbe rischiato persino di apparire verosimile e credibile.
In realtà, se è vero che la litigiosità scomposta che caratterizza il confronto tra governo e “opposizione” copre ogni tipo di traffico inconfessabile e di patto scellerato, è però altrettanto vero che in questo specifico caso la antica complicità fra D’Alema e Berlusconi non c’entra proprio nulla, dato che in sede europea funzionano logiche di cooptazione in cui i governi ufficiali sono chiamati solo ad eseguire e non a scegliere.
Un commento realistico sulla presenza di D’Alema fra i candidati per la carica di ministro degli Esteri della UE, ha invece riguardato i suoi precedenti relativi al ruolo da lui svolto nel 1999 da Presidente del Consiglio italiano nella guerra di aggressione della NATO contro la Serbia per impadronirsi del Kosovo. Visto che il Trattato di Lisbona configura una Europa militarmente aggressiva, che vuole ritornare a forme di colonialismo diretto, allora certe facce di esponenti della ex-sinistra possono tornare utili nelle tecniche di confusione mentale tipiche della psico-guerra.
Se D’Alema verrà effettivamente chiamato a fare da prestanome e prestafirme per le aggressioni della UE, non sarà perciò dipeso dal volere del governo di un Paese come l’Italia, che nella gerarchia affaristico-criminale dell’Europa è collocabile ad uno dei gradini più bassi. La stessa Europa non è altro che una finzione propagandistica, ed il colonialismo europeo sarà in effetti la riedizione di un colonialismo molto più antico ed esperto.
Nelle gerarchie criminali, il capo è colui che riscuote la tangente, e non certo chi la paga. In base a questo criterio oggettivo, ne consegue che il vero boss dell’Unione Europea è oggi costituito dalla Banca d’Inghilterra, la quale possiede circa il 14% della Banca Centrale Europea - e quindi dell’Euro - senza peraltro adottare l’Euro come propria moneta. Le ovvie conseguenze di questa situazione di privilegio, costituiscono una di quelle segrete evidenze su cui i media ufficiali tacciono rigorosamente.
Attualmente ogni Paese europeo deve indebitarsi con la BCE per avere gli Euro di cui ha bisogno per la propria circolazione monetaria. Per ogni euro che l’Italia prende a prestito dalla BCE, un 14% è dovuto quindi alla Banca d’Inghilterra, la quale riscuote però questa percentuale senza che ne risulti alcuna reciprocità con le altre banche centrali che possiedono la BCE. La Gran Bretagna, se ha bisogno di moneta, non deve infatti rivolgersi alla BCE, ma emette la propria moneta, cioè la vecchia sterlina. Dalla sua presenza nella BCE, la Banca d’Inghilterra ricava quindi una rendita netta e senza contropartite, per la quale il termine di “tangente” rischia di risultare persino troppo benevolo, poiché le tangenti di solito si versano in cambio di favori.
La quota di maggioranza relativa nella BCE è detenuta dalla Bundesbank tedesca, cosa che ha fatto giustamente dire che l’Euro non è altro che il marco sotto pseudonimo. Sta di fatto, però, che anche la Germania, sebbene ricavi dall’Euro il massimo dei vantaggi, risulta in definitiva anch’essa nella posizione di tributaria coloniale della Banca d’Inghilterra. Se poi si tiene conto del fatto che sia la Federal Reserve statunitense che la Banca d’Inghilterra appartengono alle stesse cosche bancarie private - tra cui primeggiano i soliti Rothschild e Goldman Sachs - lo scenario colonialistico anglo-americano che sta dietro la facciata dell’Unione Europea risulta alla fine sin troppo chiaro.
L’Inghilterra si giova di una sorta di omertà storiografica, la quale, seppure talvolta ammetta gli aspetti criminali del colonialismo britannico in Asia e Africa, non si sofferma però sugli aspetti oscuri della sua storia interna. Ad esempio, la morte misteriosa dell’ex Primo Ministro britannico Neville Chamberlain - colui che aveva firmato nel 1938 il Patto di Monaco - , una morte avvenuta improvvisamente nel novembre del 1940, costituisce un episodio rimosso dagli storici con assoluta disinvoltura. Se invece un personaggio del suo calibro fosse scomparso in quel modo strano in qualsiasi altro Paese - che non fosse, ovviamente, gli Stati Uniti -, allora gli storici si sarebbero posti mille domande ed avrebbero avanzato mille sospetti.
È grazie ad una ferrea omertà di questo genere che oggi nessuno mostra di accorgersi della colonizzazione britannica dell’Europa.
È bastato che in un’intervista il neosegretario del Partito Democratico, Luigi Bersani, indicasse come sua priorità il lavoro, che immediatamente Walter Veltroni lo ammonisse a non tornare indietro, cioè a non farsi venire tentazioni di tipo socialista.
La cosa può far sorridere, se si pensa che Bersani si è sempre distinto come alfiere delle privatizzazioni, in questo secondo soltanto al principe della sedicente “libera concorrenza”, cioè Giuliano Amato. Bersani è un uomo della Lega delle Cooperative, che, anche grazie a lui, gestisce gli appalti pubblici del Centro-Nord Italia, insieme con la Compagnia delle Opere di Comunione e Liberazione. Bersani ha sempre spinto per la cessione in mani private di una serie di servizi pubblici, perciò da ministro, sin dal 1999, ha cercato di smembrare l’Enel e di limitarne il monopolio, favorendo i privati o le municipalizzate delle città del Centro-Nord. Avrebbe volentieri proseguito su questa strada, se la caduta dell’ultimo governo Prodi non lo avesse bloccato.
In realtà Bersani non pensa ad una politica socialista, ma ad una politica che vada a favore di quella piccola e media impresa organizzata di cui è emissario, perciò deve prendere in considerazione quelle misure che consentano un rilancio del mercato interno; non ultima la possibilità di abolire la Legge 30, conosciuta dai media come Legge Biagi (non perché l’economista ucciso dalle presunte BR l’abbia davvero ideata e stilata, ma solo perché la sua icona di vittima del terrorismo è servita a rendere intoccabile la legge).
La Legge 30 ha sortito in questi anni i risultati prevedibili: non solo ha scoraggiato le produzioni ad alta tecnologia, favorendo le attività di commercializzazione di prodotti esteri, ma ha soprattutto depresso il mercato dei beni durevoli, poiché i precari non possono permettersi di comprare case, e neppure automobili, elettrodomestici e mobilio.
Verso la fine del 2006 sembrò che il governo Prodi fosse deciso a modificare la Legge 30, e persino la Confindustria sembrava pronta a lasciar fare, salvo riservarsi la sua solita propaganda vittimistica, utile ad estorcere al governo altri favori.
In quell’occasione a fermare la revisione della Legge 30 fu però l’alt di Walter Veltroni, ancora sindaco di Roma, ma già segretario in pectore del costituendo Partito Democratico, molto prima che la sceneggiata delle elezioni primarie lo sancisse ufficialmente.
Veltroni prese le difese della Legge 30, ed arrivò ad intitolare a Marco Biagi una strada della Capitale. In quei mesi Veltroni era tutto impegnato nella sua campagna per liquidare il socialismo, con una profondità di argomentazioni che lascia ancora ammirati. Secondo Veltroni, infatti, il socialismo appartiene al ‘900, e dato che siamo negli anni 2000, non si può più essere socialisti. Evidentemente nessuno ha ancora avvisato Veltroni che il liberalismo, come ideologia, è nato nel ‘600, mentre il liberismo nel ‘700, perciò il socialismo può ritenersi molto più fresco.
Ma le stupidaggini di Veltroni non sono altro che la traduzione in “storichese” dei consueti slogan del Fondo Monetario Internazionale, che impongono immancabilmente l’abbassamento del costo del lavoro e la compressione dei consumi interni. Sin dal 1946, anno della sua costituzione, il FMI ha una sola convinzione: che tutti i Paesi vivano al di sopra dei loro mezzi, non conta quanto siano affamati, perciò devono essere disposti a far sacrifici e lavorare sodo. Insomma, il FMI vuole che tutti i Paesi siano poveri, altrimenti le multinazionali non possono entrarvi a fare il proprio comodo. La filosofia colonialistica del FMI ritiene che la povertà costituisca il principe dei business, perché, da che mondo è mondo, depredare i poveri risulta molto più agevole che depredare i ricchi. Dunque la Legge 30 mirava alla pauperizzazione, ed ha raggiunto lo scopo.
In base a questi criteri, Bersani può essere considerato un pericoloso socialista, e non perché sia tale, ma solo perché è legato ad imprese che ricaverebbero un vantaggio da un rilancio della domanda interna. Veltroni non ha di questi legami, poiché è, a tutti gli effetti, un uomo del FMI e delle multinazionali. Uno sradicato come lui era riuscito ugualmente ad impadronirsi del Partito Democratico, perché ha potuto galleggiare sull’onda dei media, che sono tutti controllati dalle multinazionali.
Ad esempio, negli anni ’90 nessun giornale italiano prese posizione contro lo smembramento della Jugoslavia, che pure costituiva uno dei principali mercati dei prodotti italiani. Sui giornali e nelle televisioni erano solo gli interessi delle multinazionali anglo-americane e tedesche a fare opinione, e chi si opponeva era considerato comunista, anche se il suo unico intento era di vendere in Jugoslavia i propri prodotti.
Da quale tema sono occupati oggi i media? Dall’emergenza criminalità al Sud, che, non a caso, Veltroni considera la “prima emergenza nazionale”, altro che lavoro. Veltroni pensa in realtà all’emergenza delle multinazionali, poiché sono queste a volersi impadronire - attraverso la loro longa manus delle Organizzazioni Non Governative - di una serie di servizi pubblici e di beni culturali al Sud, ufficialmente per sottrarli alla criminalità organizzata, quindi “a fin di bene”. Che poi la criminalità organizzata sia più presente proprio laddove risulta maggiore la concentrazione di insediamenti militari statunitensi, costituisce per i media un dettaglio insignificante, anzi irriferibile.
La maggiore potenza comunicativa del colonialismo rispetto alle normali forme di corruzione legate al territorio - come appunto quella della banda Bersani -, non è dovuta ad una semplice superiorità quantitativa, cioè ad una maggiore disponibilità di mezzi di comunicazione, ma è l’effetto di un vero e proprio salto di qualità nella comunicazione. Tutti fanno propaganda e ognuno tira l’acqua al proprio mulino, ma le potenze coloniali non agiscono in termini di semplice propaganda, bensì di guerra psicologica, in termine tecnico: psywar. L’esistenza della psico-guerra non costituisce un segreto di Stato e neppure un segreto militare, ma solo un segreto giornalistico, nel senso che i media, pur avendo a disposizione sull’argomento una massa di informazioni, anche di carattere ufficiale, si guardano bene dal parlarne; altrimenti non si potrebbe più far passare da paranoici quelli che dubitano delle versioni ufficiali.
Il falso documento visivo costituisce, ad esempio, un espediente che è stato inventato dalle agenzie di guerra psicologica; uno strumento che riesce a spiazzare completamente le normali tecniche comunicative, drammatizzando a dismisura il messaggio. Quest’anno cade l’anniversario della caduta del Muro di Berlino, e le televisioni stanno riproponendo uno di quei falsi “classici” della psywar, cioè il famoso filmato dei presunti cittadini berlinesi che si gettano dalla finestra per oltrepassare il confine di Berlino Est.
Un altro vantaggio della psywar coloniale rispetto alla normale propaganda consiste nell’uso di tecniche tipiche delle forze di occupazione, come il reclutamento di competenze sul campo. Tutto ciò può essere realizzato a costi bassissimi, poiché non sempre - anzi, quasi mai - si tratta di agenti regolarmente pagati, ma di volontari sfruttati per mezzo delle loro aspettative di carriera e di inserimento ad alti livelli. I due video circolati in questi ultimi tempi su omicidi commessi a Napoli tra l’indifferenza dei passanti, smascherano la loro natura di falsi proprio per la strana omogeneità di stile e di temi che presentano; ma è anche probabile che il regista, o i registi, che li hanno confezionati abbiano lavorato gratis o quasi, solo per la speranza di potersi inserire in un grosso giro.
Lo stesso vale per i disturbatori della comunicazione antagonista su internet, che intasano i forum prendendo a bersaglio i detrattori delle versioni ufficiali, da quella sull’11 settembre a quella sulla funzione delle banche centrali. Anche in questo caso non bisogna pensare all’agente della CIA, regolarmente stipendiato, che svolge la sua routine di provocatore; al contrario si tratta di volontari o di precari della provocazione in ambito psywar, che lavorano ed esercitano creativamente le loro competenze comunicative, inventano slogan, adottano sigle e nomi diversi che gli consentono di creare l’illusione di un vero e proprio contradditorio; ma tutto questo senza percepire veri compensi, bensì soltanto per mettersi in evidenza di fronte ai propri committenti, e nella speranza di poter accedere ad un vero rapporto di lavoro.
È la stessa cosa che avviene quando si inducono ragazze desiderose di entrare nel mondo dello spettacolo a sottoporsi gratuitamente a provini, che, in quanto tali, non sono compensati, ma poi vengono ugualmente utilizzati e venduti come materiale da trasmettere e diffondere.
Una delle esponenti più in vista della psywar è oggi Milena Gabanelli, in prima linea nell’aprire la strada al business delle ONG anglo-americane nel Sud d’Italia, da lei presentato come un territorio in avanzato stato di degenerazione materiale e morale, quindi da “salvare”. Ebbene, la Gabanelli è a tutt’oggi una precaria, poiché questo significa realmente la espressione “free lance”, cioè una lavoratrice senza contratto stabile, usa e getta.
La psywar coloniale quindi non ha bisogno di comprare e pagare, ma sfrutta le aspettative e le speranze dei tanti che aspirano a vendersi.
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