Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Meno male che ci sono rimasti i pacchi bomba, altrimenti il governo non avrebbe più nulla con cui trastullarsi e di cui chiacchierare. Poco prima di natale infatti Sergio Marchionne, "director" di Philip Morris ed anche Amministratore Delegato della FIAT, ha siglato un "accordo", insieme con le organizzazioni sindacali alle sue dipendenze, per attuare una nuova disciplina delle relazioni industriali in Italia, il tutto su base extra-legale, anzi illegale: in pratica un colpo di stato. L'estromissione della FIOM dalla rappresentanza sindacale rappresenta l'effetto più vistoso del cosiddetto accordo, ma le conseguenze più rilevanti riguardano la totale delegittimazione sia del governo come istituzione, sia del ruolo dell'associazionismo imprenditoriale, a cominciare da Confindustria.
Grazie al precedente di questo "accordo" di Mirafiori, in futuro potrebbe persino considerarsi depenalizzato il racket delle estorsioni sulle piccole/medie imprese, dato che, senza contratto collettivo e senza criteri di rappresentatività sindacale, nulla più impedirà che le organizzazioni criminali possano agire sotto la copertura di sigle sindacali di comodo per ricattare i piccoli/medi imprenditori, i quali saranno così ancora più facile preda delle sirene che gli prospettano l'approdo nel "paradiso" delle delocalizzazioni.
Nel mondo della piccola/media impresa italiana già la gran parte dei lavoratori si trova praticamente senza garanzie e senza diritti, con imprese che nascono e muoiono in brevi archi di tempo, spesso lasciando i dipendenti con mesi di salario non percepiti. Non si trattava quindi di colpire diritti del lavoro che ormai non esistono più, ma di cancellare il quadro delle relazioni industriali della piccola/media impresa, per attuare più agevolmente le delocalizzazioni, cioè la rapina coloniale del patrimonio di impianti e tecnologie, oltre che di immobili, che la piccola/media impresa italiana detiene.
Che il business delle delocalizzazioni nell'Europa dell'Est sia gestito proprio dalla cordata guidata dalla multinazionale Philip Morris, di cui Marchionne è "director", costituisce ovviamente una pura coincidenza. Quel propagandista ufficiale degli interessi delle multinazionali che è il senatore del PD Pietro "Inchino", ci aveva spiegato che i lavoratori di Pomigliano dovevano scegliere fra Marchionne e la camorra, ma non ci aveva detto che Marchionne e camorra erano la stessa cosa. Del resto i rapporti stabili ed organici della Philip Morris con le organizzazioni malavitose sono documentati, ed agli atti del Parlamento italiano, nella Relazione della Commissione Antimafia del marzo 2001.
http://www.publicintegrity.org/investigations/tobacco/assets/pdf/Antimafia%20Tobacco%20final%20report%20Mantovano%20March%2001.pdf
Il "paradiso" delle delocalizzazioni quindi è tale solo per la Philip Morris, dato che per i piccoli/medi imprenditori si tratta di trovarsi completamente legati mani e piedi al carro controllato da questa multinazionale del crimine organizzato.
Il ministro del Welfare (?) Sacconi si è trovato ovviamente scavalcato e delegittimato dal cosiddetto accordo di Mirafiori, dato che doveva presentare lui un DDL sulla questione. Dopo alcuni giorni di imbarazzato silenzio, Sacconi si è accodato al plauso di Berlusconi all'accordo, aggiungendosi anche lui alla claque entusiastica che accompagna Marchionne nelle sue gesta. Insomma, Sacconi si è adeguato in pieno al punto di vista delle multinazionali.
Ma Berlusconi è giustificato dal fatto di essere fuori di testa, mentre Sacconi ha dovuto fare sfacciatamente finta di ignorare che il Prodotto Interno Lordo in Italia non lo fa la FIAT, ma le imprese piccole e medie, che ora si trovano polverizzate nei loro rispettivi territori a dover affrontare pericoli ignoti. Chi governa sulle relazioni industriali, governa anche sul PIL, quindi sull'economia e, in definitiva, sul Paese. Il vero governo oggi in Italia è Marchionne, o meglio, la Philip Morris.
La Philip Morris già dominava su Roma, tramite il "sindaco" Gianni Alemanno, il quale, all'epoca in cui era stato ministro dell'Agricoltura, aveva svolto il ruolo di uomo di fiducia della multinazionale, al punto che la Coldiretti è stata vincolata, per pochi spiccioli, ad una serie di accordi-capestro con la stessa Philip Morris; accordi che sono diventati anche il pretesto per il governo per elargire favori alla multinazionale sul prezzo delle sigarette.
http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:jATDnkbdAhwJ:yesmoke.eu/it/blog/gianni-alemanno-coglione/+alemanno+philip+morris&cd=1&hl=it&ct=clnk&gl=it
http://www.affaritaliani.it/roma/aurelio_regina_grande_tessitore_di_roma_personaggio250510.html
Dopo l'agricoltura italiana e dopo la Capitale, adesso l'ultimo regalo di natale per Philip Morris è stato il controllo sulla piccola/media impresa italiana. Il solito Pietro "Inchino" ci aveva anche raccontato che le multinazionali non vengono ad "investire" in Italia per colpa dei troppi diritti del lavoro. Invece le multinazionali come la Philip Morris si sono già insediate in Italia da parecchi anni, ovviamente non per "investire" (cosa che non fanno mai da nessuna parte), ma per rapinare.
Per dimostrare di avere ancora uno scopo nella vita, Sacconi è andato a prendersela con i genitori italiani, colpevoli secondo lui di voler far laureare i figli, invece di fargli imparare un mestiere. Anche Sacconi vorrebbe "liquidare il '68", come la Gelmini; ma in realtà l'Università semi-gratuita e di massa era già stata congedata silenziosamente venti anni fa, quindi questi sono i soliti slogan che dimostrano che l'intero governo ufficiale è diventato solo una sorta di sotto-ministero della Provocazione/Confusione, un'agenzia che ha l'esclusivo compito di produrre fumo mediatico, mentre il governo vero, quello delle multinazionali, pensa ad organizzare il business.
In silenzio invece è rimasto per lungo tempo il Partito Democratico, che aveva accondisceso al diktat di Marchionne a Pomigliano, a patto che non costituisse un "modello", ed invece l'accordo-Mirafiori ha superato di gran lunga il cosiddetto "modello". Il segretario del PD, Bersani, non è completamente ottenebrato come i Veltroni e i Fassino, e probabilmente si rende conto delle conseguenze che l'accordo di Mirafiori comporterà per le sue dilette piccole/medie imprese, se non altro perché glielo ha in parte spiegato il sociologo Luciano Gallino sulle colonne de "La Repubblica". http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:bMkEmVXfz-0J:www.repubblica.it/economia/2010/12/24/news/commento_gallino-10558506/+luciano+gallino+accordo+mirafiori+marchionne&cd=1&hl=it&ct=clnk&gl=it
Bersani ha paventato un effetto a valanga e la prospettiva di una disarticolazione di tutto il sistema delle relazioni industriali in Italia, ma poi non ha trovato di meglio che invocare la solita "riforma". Una "riforma" per rispondere ad un colpo di Stato? Bah!
L'aspetto paradossale della vicenda è che oggi la FIOM si trova oggettivamente a svolgere un ruolo nazionale di difesa del sistema industriale italiano nel suo complesso contro la rapina coloniale; e ciò senza che la Confindustria, e neppure la Confapi, se ne dimostrino consapevoli, guidate come sono sempre e soltanto dall'odio di classe contro il lavoro. Sarebbe quindi ingenuo da parte di Cremaschi e della Camusso continuare a fare appello alla dignità, al senso di responsabilità nazionale, al rispetto della legalità da parte delle associazioni imprenditoriali, dato che quelli sono tutti concetti che il padronato non può neanche sapere dove stiano. La destra intende il concetto di "ordine" in senso del tutto pre-legale e addirittura pre-civile: "ordine" solo nel senso che i padroni devono fare i padroni ed i servi devono rimanere servi.
L'enfasi che la propaganda ufficiale ha attribuito al caso della richiesta di estradizione dal Brasile di Cesare Battisti, si colloca certamente nei meccanismi consueti di un potere politico che ricerca la sua unica legittimazione nell'agitare pretestuosamente l'emergenza-terrorismo. Stavolta, però, ciò che avrebbe dovuto costituire l'ennesimo diversivo, ha finito invece per riportare l'attenzione al centro del problema.
Si possono fare molte speculazioni sui motivi per i quali il presidente brasiliano Lula ha negato l'estradizione. Si è persino favoleggiato per anni sulle arti malefiche della maliarda Carla Bruni e sul suo presunto ruolo nella vicenda-Battisti. L'intervento del pubblicista sionista Bernard-Henry Levy a favore di Battisti ha fatto inoltre ipotizzare che il latitante fosse in possesso di chissà quali segreti con cui condizionare le scelte dei governi.
Tutto è possibile, ma la dietrologia si giustifica quando vi sia palese sproporzione tra cause ed effetti, o tra obiettivi dichiarati e strumenti adottati, quindi non in questo caso, dato che c'era di mezzo Berlusconi con la sua penosa immagine nel mondo. Cosa avrebbe guadagnato infatti Lula ad accontentare il governo italiano? Nulla, dato che attualmente il governo italiano non conta nulla nei rapporti internazionali. Cosa avrebbe invece perso Lula in termini di immagine, sia interna che internazionale, se avesse riconsegnato un rifugiato politico alle brame vendicative dell'universalmente disprezzato satrapo di Arcore? Moltissimo.
Quand'anche le prove giudiziarie contro Battisti fossero state convincenti - e certo non lo erano -, la sostanza politica del problema non sarebbe cambiata, perché è chiaro che un capo di Stato assume le sue decisioni in base a criteri politici e non giudiziari. Il problema quindi, dalla solita e fittizia emergenza-terrorismo, è stato ricondotto alla realtà della delegittimazione internazionale dell'attuale governo italiano. La legittimazione sulla base dell'emergenza-terrorismo funziona ancora per il governo in chiave interna, ma non riesce ad annullare l'handicap dell'effetto-Berlusconi all'estero.
Risulta evidente anche l'ironia involontaria di un governo italiano che, mentre fa la voce grossa con Lula, si cala le brache davanti a Marchionne; lo stesso Marchionne che l'ultimo 28 dicembre è andato con il cappello in mano a Pernambuco per inaugurare, insieme con Lula, un nuovo stabilimento della FIAT in Brasile. Tale stabilimento dovrebbe produrre auto soprattutto per il mercato brasiliano, ciò in linea con la scelta economica di Lula di rilanciare i consumi interni, liberando il Brasile dalla direttiva del Fondo Monetario Internazionale, che lo costringeva a basare la sua economia sulle esportazioni, con la conseguenza di mantenere forzosamente bassi i salari.
http://www.morningstar.it/it/news/article.aspx?articleid=93497&categoryid=56
Quando Piero Fassino ha intimato ai lavoratori della FIAT di chinare il capo di fronte al ricatto di Marchionne, con la scusa che ora bisognerebbe fare i conti con la Cina ed il Brasile, ha perciò detto la sua ennesima fesseria. La realtà è che l'Italia si deve misurare con un Brasile che attua la piena libertà sindacale e con una Cina che fonda la sua economia sulle partecipazioni statali e sulle banche di proprietà pubblica. Una delle principali banche cinesi è infatti gestita direttamente da un ministro del governo.
http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:Bx3lcSjCV9cJ:www.newsmercati.com/Article%3Fida%3D4479%26idl%3D2579%26idi%3D1%26idu%3D45248+sistema+bancario+cinese&cd=3&hl=it&ct=clnk&gl=it
http://www.worldlingo.com/ma/enwiki/it/China_Development_Bank
Il problema è che la Cina ed il Brasile non hanno rinunciato affatto alla direzione politica dell'economia, mentre l'Italia è diventata una colonia delle multinazionali. Il recente salvataggio di un Berlusconi ormai allo stremo delle sue già non esaltanti capacità mentali, ha ottenuto l'effetto politico di lasciare per intero il palcoscenico al protagonismo di Marchionne. Ciò sta a dimostrare che chi ha voluto mantenere Berlusconi alla Presidenza del Consiglio, ritiene che potrebbe bastare davvero molto poco per rischiare di fare ombra alla stella di Marchionne; segno che la sua leggenda di combattente si è costruita in match truccati.
Dopo che l'ambiguo presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha eseguito per conto delle multinazionali il salvataggio di Berlusconi, costringendo le opposizioni a dilazionare di un mese il voto di sfiducia, ora la ulteriore mazzata, forse definitiva, per il segretario del Partito Democratico, Pierluigi Bersani, è arrivata ancora una volta dall'interno. In questo caso il traditore è stato il principale sponsor di Bersani nel partito, cioè Massimo D'Alema, proprio l'uomo che aveva collocato Bersani nella posizione di massimo dirigente. D'Alema ha infatti sposato in toto la linea di Piero Fassino sul cosiddetto "accordo" di Mirafiori, spingendosi sino a sollecitare i lavoratori FIAT a votare per il sì al referendum/ricatto.
La posizione di Bersani sul cosiddetto accordo risultava di una moderazione irrealistica data la situazione, e appariva soprattutto come un compromesso tra le varie linee del partito sulla questione. Ma il discorso di Bersani partiva quantomeno da un dato di fatto, cioè dagli effetti destabilizzanti sul sistema delle relazioni industriali che il diktat di Marchionne comporta.
Quanto deciso per Mirafiori riguarda in minima parte le sorti della FIAT, poiché costituisce un precedente che, se non contrastato dal potere politico, porrà le basi per uno sconvolgimento del quadro delle relazioni industriali. D'Alema si è posto esclusivamente in base alla dottrina ufficiale di Marchionne, cioè investimenti in cambio di meno diritti del lavoro, riducendo l'eliminazione della rappresentatività sindacale ad un mero problema di tutela del dissenso. Anche volendosi dimenticare che Marchionne si è già rivelato bugiardo e sleale, dato che appena sei mesi fa aveva presentato l'accordo di Pomigliano come dettato dall'emergenza/assenteismo in fabbrica, vale comunque ciò che aveva almeno accennato Bersani, e cioè che in questa occasione Marchionne ha scavalcato il governo e si è posto lui come nuovo gestore extra-istituzionale delle relazioni industriali.
In Parlamento giacevano due proposte di legge sulle relazioni industriali, una di Pietro Ichino, senatore del PD, e l'altra del ministro Sacconi; sia l'una che l'altra facevano a gara per compiacere le tesi di Marchionne, il quale però le ha snobbate entrambe per assumere lui il potere sulle relazioni industriali con una sorta di golpe. D'Alema non soltanto ha fatto finta di non vedere questa delegittimazione del ruolo del potere politico, ma è andato anche ad affossare uno dei principali serbatoi elettorali del PD, cioè gli iscritti alla CGIL, e ciò proprio mentre si profila la possibilità di elezioni anticipate. Il segretario generale della CGIL, Camusso, ha proposto l'espediente del sì "tecnico" all'accordo di Mirafiori, nel disperato tentativo di smussare la contrapposizione col PD, ma è chiaro che la stessa CGIL ne esce comunque con le ossa rotte e con una ulteriormente ridotta capacità di convogliare voto organizzato.
La stupidità e l'insipienza dei dirigenti della sinistra non sono in grado di spiegare tutto, e neppure le semplici compromissioni col sistema affaristico possono motivare questa suicida linea anti-partito. La pubblicistica dei giornali borghesi e gli opinionisti come Panebianco o Galli Della Loggia sono particolarmente caustici nel rilevare questo presunto deficit intellettuale del ceto politico. A parte l'inattendibilità del fatto che personaggi come Panebianco o Galli Della Loggia possano valutare l'intelligenza altrui, è anche molto dubbio che la direzione di un partito richieda particolari doti intellettuali, come se si trattasse di dipingere la Cappella Sistina. In generale tutti gli espedienti retorico-polemici dell'opportunismo si riducono al rimproverarti di non essere Dio: non sei in grado di capire la "complessità", non sei capace di guardare la storia dal piedestallo dell'onniscienza, non sei mai abbastanza creativo ed innovativo. Nel suo discorso al Meeting di Rimini invece Marchionne non solo ha rivendicato a sé queste mirabolanti qualità divine, ma ha anche precisato di riuscire a possederle senza pretendere di "avere la verità in tasca". Miracolo nel miracolo!
L'elettoralismo costituisce in realtà un'operazione elementare alla portata anche di menti molto limitate. Berlusconi, depenalizzando il falso in bilancio, ha fatto un favore a se stesso e contemporaneamente ha riscosso i voti gestiti dalla Confindustria e dalla Confcommercio; e con il condono edilizio ha salvato le sue palazzine abusive, e contemporaneamente ha rimediato i voti per vincere le elezioni regionali. La destra compra i voti distribuendo licenze di delinquere e di evadere il fisco, mentre la sinistra si dovrebbe conquistare l'elettorato difendendo le garanzie sociali.
Il Pd, che dovrebbe curare i propri orticelli elettorali, dalla GGIL alla Lega delle Cooperative, invece plaude a Marchionne che glieli scompagina entrambi distruggendo le garanzie sociali. La Lega delle Cooperative rischia infatti di essere la prossima vittima della disarticolazione del sistema delle relazioni industriali. Ciò che ha consentito sinora in Italia lo sviluppo di un solido e diffuso sistema autonomo di piccola e media impresa era proprio la garanzia costituita dalla rappresentatività sindacale, che impediva la proliferazione del sindacalismo giallo gestito dalla malavita organizzata, un fenomeno che altrove costituisce uno degli strumenti di intimidazione con cui le multinazionali riescono a vincolare la piccola e media imprenditoria al proprio carro. Distrutto il sistema delle relazioni industriali, sarà più facile per le multinazionali costringere i padroncini a delocalizzare le loro produzioni nei Paesi dell'Est Europa, come la Serbia, feudo di quella Philip Morris di cui Marchionne è "director". Si tratta di una vera e propria rapina coloniale di impianti e tecnologie.
http://www.theofficialboard.com/org-chart/philip-morris-international
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Gli-USA-al-primo-posto-negli-investimenti-in-Serbia
La connessione tra Marchionne, la Philip Morris e il business delle delocalizzazioni in Serbia è di una evidenza così sfacciata e macroscopica che, a quanto pare, stavolta la solita retorica degli slogan epocali non è stata sufficiente a coprirla, perciò Eugenio Scalfari, per sollevare altro fumo, è stato costretto ad escogitare nuove panzane come quella del Marchionne esecutore delle volontà dei sindacati della Chrysler. Che a Marchionne ed alle multinazionali non gliene freghi nulla del comparto produttivo italiano, è dimostrato proprio dal fatto che questi "accordi" stanno distruggendo il maggiore fattore di controllo del lavoro, cioè il sindacato.
Quando un dirigente di partito agisce contro il suo partito e la sua base elettorale, se ne può dedurre che egli in effetti stia affidando le sue sorti personali a ben altri lidi ed a ben altre prospettive di carriera. Ed anche qui la dietrologia non c'entra, dato che c'è il noto precedente di Giuliano Amato, che ha lasciato l'attività politica per essere accolto come alto dirigente della multinazionale Deutsche Bank.
http://www.deutsche-bank.de/medien/en/content/press_releases_2010_4871.htm
Certo, si potrà sempre dire che è una pura coincidenza il fatto che uno che quando stava al governo faceva gli interessi delle multinazionali, poi abbia trovato la sua occasione di carriera proprio nella dirigenza di una multinazionale.
La Chiesa Cattolica ha sempre condannato come eretica la tesi secondo cui la Chiesa dovrebbe essere povera, ed in effetti i preti hanno ragione, perché una Chiesa che rinunciasse alle sue ricchezze non conterebbe più nulla. Di conseguenza, anche la dottrina liberista dello Stato "leggero", cioè alleggerito dei suoi monopoli, delle sue imprese e dei suoi patrimoni immobiliari, porta inevitabilmente all'effetto-Congo, cioè ad uno Stato talmente povero che anche la più scalcagnata delle multinazionali è in grado di mettere in campo risorse maggiori e di comprarsi in blocco la classe dirigente locale. Venti anni di privatizzazioni stanno determinando in Italia la stessa situazione, per cui oggi la politica non è neppure lontanamente in grado di prospettare possibilità di carriera e arricchimento comparabili con quelle offerte dalle multinazionali. Non a caso il mito ed il falso bersaglio della politica strutturata in "casta", sono stati creati dai media come il "Corriere della Sera" proprio nel momento in cui la "casta" in quanto tale aveva cessato di esistere, diventando un'appendice delle multinazionali.
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