Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
L’emergenzialismo è come l’invasione degli ultracorpi. Magari riesci a sfuggire la prima volta, la seconda, e persino la ventisettesima, ma alla fine arriva sempre il baccellone che ti frega. Anche molti di quelli che non si erano fatti incantare dallo spread e dal Covid, si sono lasciati ipnotizzare dall’emergenza gas.
Tutti in casa hanno la prova materiale, documentale, che la guerra in Ucraina non c’entra niente con l’aumento delle bollette. La prima stangata è infatti piombata sulle teste e sulle tasche degli utenti nel mese di gennaio, ed era stata ampiamente annunciata già nel mese di dicembre, mentre la guerra è cominciata a fine febbraio. Dato che si trattava di bollette da svenimento (e non per modo di dire), la memoria dovrebbe essere ancora vivida, ma la suggestione mediatica ha annebbiato le menti e i ricordi, per cui la questione dell’aumento dei prezzi del gas è diventata una diatriba sulle sanzioni e controsanzioni sul gas russo.
Persino la proposta di sganciare le quotazioni del gas dalla trappola del TTF di Amsterdam era precedente alla guerra; come pure erano già iniziati i problemi di fornitura di gas dalla Russia; ed era ovvio, dato che i vecchi gasdotti manifestavano la loro obsolescenza, mentre il nuovo gasdotto North Stream 2 era bloccato sine die. Se Putin avesse avuto il buongusto di iniziare la guerra con tre mesi di anticipo (come del resto era plausibile, dato che proprio un anno fa la NATO aveva sbarrato la strada ad ogni accordo), nessuno si sarebbe accorto di niente.
Per le stesse suggestioni mediatiche, la proposta di porre un tetto al prezzo del gas si è trasformata in tutt’altro, cioè porre un tetto al prezzo del gas russo, come se si trattasse di una sanzione aggiuntiva. Capita spesso che uno dica una cosa e che l’interlocutore finga di capirne un’altra, ed è anche vero che il governo italiano porta avanti la proposta senza convinzione, ma solo come contentino/ansiolitico per le associazioni degli industriali. In questa circostanza però c’era poco da fraintendere, dato che la stessa Commissione Europea, anche se solo in un documento preliminare, cominciava ad ammettere che era stato un errore vincolare la fissazione del prezzo del gas ad un mercato dal volume ridotto di scambi come è la Borsa di Amsterdam, nella quale anche limitati movimenti di capitale sono in grado di creare gravi turbative. Bisogna dare atto ai consulenti che hanno stilato quel documento, targato Commissione Europea, di aver cercato di dire qualcosa di vero, pur “lubrificandone” la confezione e rendendola compatibile con la grancassa mediatica, tramite la pezza d’appoggio della magica formula del “colpa di Putin”. Insomma, si è cercato di raccontarla così: vincolarsi al prezzo stabilito ad Amsterdam non sarebbe stata in sé una cattiva idea, ma purtroppo le ristrette dimensioni degli scambi che si svolgono in quella Borsa danno modo a quei cattivoni di Gazprom di speculare. Si è cercato di metterla sul piano del “siamo stati troppo ingenui e fiduciosi”. Tutto inutile, dato che di svincolarsi dal cappio di Amsterdam, ancora una volta non se ne parla. Anzi, la cosa sta cominciando a strutturarsi in tabù, per cui, dopo quelli dell’Ascienza, occorre accettare anche i responsi di un inesistente Libero Mercato. Cosa ci sia di libero nell’obbligare a sottoporsi ai diktat di una bisca online come il TTF, ovviamente non lo spiegano, perché il popolino deve campare di slogan. Si sta creando lo stesso clima della psicopandemia, quando sembrava che la polmonite facesse visita per la prima volta al genere umano, ed anche solo pensare di derogare dal protocollo sanitario prendendosi un’aspirina, violava l’ordine dell’Universo e ti trasformava in terrapiattista.
Per “lubrificare” la verità se ne sono messi in ombra pezzi fondamentali, dato che il vero problema speculativo riguarda la finanziarizzazione del mercato delle materie prime con i famosi titoli derivati detti “future”. Questi titoli vengono narrati come un modo in cui il compratore o il venditore si garantiscono contro le variazioni di prezzo, perciò si tratterebbe di una sorta di assicurazioni. Ma ha senso un’assicurazione che finisce per costare più del bene assicurato? E ha senso contrarre un’assicurazione su un bene che non è tuo, bensì di altri con cui non hai, e non avrai, nulla a che fare? Infatti la maggior parte degli investitori in “future” non hanno alcun interesse al gas e alle altre materie prime in quanto tali, ma esclusivamente alla speculazione al rialzo o al ribasso sui titoli. Per questo motivo una piccola Borsa come Amsterdam è un vero e proprio paradiso per gli speculatori, poiché consente di puntare alla grande senza rischiare con grossi investimenti.
La finanziarizzazione massiccia dell’economia è cominciata alla fine degli anni ’70, in particolare nel Regno Unito. In Borsa si creano valori fittizi, a loro volta gonfiati artificiosamente. Ma il trucco può funzionare solo se c’è la complicità attiva dei governi, che si integrano col lobbying finanziario e si incaricano di gonfiare il valore delle società azionarie sgravandole dalle tasse e trasferendo la fiscalità sull’IVA e sulle accise sui consumi di prima necessità. Il valore delle aziende può essere gonfiato anche bloccando i salari e facilitando i licenziamenti; oppure, come nel caso attuale, favorendo aumenti di prezzi che non corrispondono per nulla ai costi di produzione ed ai volumi di domanda e di offerta. A tutto questo non c’è opposizione, e non potrà esserci finché dietro il fantasma dell’inesistente liberismo non si individuerà il nemico vero e concreto, cioè l’assistenzialismo per ricchi. Il castello di illusioni si regge sulla distrazione e diversione, sull’autoreferenzialità mediatica, per cui oggi le opinioni pubbliche devono essere condizionate a credere che le sorti del prezzo del gas siano legate agli esiti della guerra in Ucraina. In questa bolla mediatica finiscono per essere fagocitati anche commentatori tanto benintenzionati quanto malinformati.
Sembrerebbe quasi che la riconversione al gas attuata nell’ultimo trentennio fosse in funzione del gas russo, che è certamente disponibile in grande quantità ed a basso costo. Il punto è che anche togliendo dal mercato europeo l’economico gas russo, non ci sarebbero comunque le condizioni oggettive per un aumento dei prezzi di dieci o quindici volte come sta accadendo adesso. Anche la fiaba secondo cui tutto ciò ci avrebbe colto alla sprovvista e nel mezzo di un’ingenua transizione energetica dal fossile al rinnovabile, sta lì giusto per fare il solito intrattenimento recriminatorio. Non potevano mancare i soliti finti piagnistei sul nucleare, che ha costi talmente mostruosi e imprevedibili da potersi spiegare solo con due motivi: o farci le bombe, oppure usarlo come copertura per traffici di scorie radioattive. Nel caso italiano ovviamente il motivo è il secondo.
In realtà già nel 2019 un documento del dipartimento dell’energia del governo statunitense faceva sapere che si sarebbe incrementata la produzione americana di gas di scisto al nobile scopo di “liberare” e “salvare” l’Europa dalla dipendenza dal gas russo. Da più di tre anni la Commissione Europea sapeva che, volenti o nolenti, avremmo dovuto comprare il costoso gas di scisto degli USA, e che quindi i prezzi sarebbero aumentati; e non ci voleva neppure una mente superiore per capire che la contestuale finanziarizzazione forzata del mercato delle materie prime avrebbe determinato una combinazione “emergenziale”. Ma quale prospettiva poteva essere più rosea per un sistema di potere ormai drogato di emergenzialismo? Alla Von Der Leyen non sarà sembrato vero di avere l’occasione di imporre un piano di privazioni a quattrocento milioni di persone. Sarà uno spasso anche per i moralisti da strapazzo che, con l’alibi dell'ambiente, della lotta al "liberismo" e della immancabile “protezione dei fragili”, potranno scatenare i loro istinti polizieschi.
Non ci voleva un analista particolarmente acuto per collegare il voto di condanna del parlamento europeo nei confronti del primo ministro ungherese Viktor Orban, alla firma dei contratti del 31 agosto scorso per la fornitura di gas da parte della multinazionale russa Gazprom. Il parlamento europeo ha ufficialmente condannato l’Ungheria per essere uscita dallo Stato di Diritto, ma è evidente che l’oggetto vero del contendere sta nel fatto che Orban non abbia neppure finto di partecipare alla pantomima delle sanzioni contro la Russia. Non si è potuto fare a meno di notare che la Polonia era stata sottoposta ad una procedura analoga, per essere poi risparmiata grazie al suo oltranzismo anti-russo.
Orban è un personaggio complesso, un ex dipendente di George Soros che ha imparato a lavorare in proprio, barcamenandosi e facendo spesso il lavoro sporco ed il parafulmine per coprire gli interessi di altri potentati europei. L’Ungheria di Orban è infatti tornata utile nelle scorse settimane per bloccare ogni prospettiva di un tetto al prezzo del gas, da realizzare con eventuali sospensioni delle contrattazioni nella Borsa di Amsterdam, nella quale le transazioni reali della merce gas risultano piuttosto limitate, mentre la vera speculazione si indirizza verso i titoli finanziari derivati. Orban ha bloccato la de-finanziarizzazione del mercato del gas facendo finta di intendere che il blocco del prezzo fosse riservato al solo gas russo, e quindi si trattasse di una sanzione aggiuntiva.
Nei giorni scorsi la presidentessa della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, non si è fatta scrupolo di rilanciare lo stesso equivoco facendo credere che il “price cap” riguardi esclusivamente le forniture russe. La proposta sarebbe anche un nonsenso nel momento in cui si afferma che del gas russo si intende fare a meno.
L’aspetto un po’ grottesco della vicenda sta però nel fatto che il parlamento europeo abbia condannato l’Ungheria per aver violato le norme dello Stato di Diritto, e di essere diventata una sorta di “autocrazia elettorale”. Il famoso bue che diceva cornuto all’asino a questo punto sembra un dilettante, dato che l’Unione Europea ha al suo vertice una certa signora Von Der Leyen. Come qualcuno ricorderà, all’inizio di quest’anno la Von Der Leyen era pervenuta agli onori delle cronache per aver cancellato i messaggi da lei scambiati con i dirigenti della multinazionale farmaceutica Pfizer; ciò dopo aver anche segretato i contratti con la stessa multinazionale per la fornitura dei vaccini. Il problema è che la Von Der Leyen è recidiva in tali comportamenti.
Già nel 2019 il parlamento tedesco aveva constatato che l’attuale presidentessa della Commissione Europea era riuscita a far sparire i messaggi che riguardavano il periodo in cui la nostra eroina era ministro della Difesa nel governo tedesco. La Von Der Leyen era stata indagata per aver firmato contratti di consulenza con aziende private; contratti di cui non risultava trasparente né l’utilità, né il costo per l’erario. Sull’onda di questi scandali che l’avevano segnalata in patria, la Von Der Leyen è arrivata anche al comando della UE, dove ha esportato lo stesso stile di governo: faccio quello che mi pare cancellando ogni traccia delle mie azioni. Se questo è il nostro modello di Stato di Diritto, è un po’ difficile dare lezioni agli altri. Sì, ma in Russia Putin ammazza gli oppositori, mentre almeno la Von Der Leyen non lo fa. E che ne sappiamo? Magari anche in quel caso è stata tempestiva a eliminare le prove.
Lo Stato di Diritto dovrebbe essere basato sulla separazione tra pubblico e privato e, nell’ambito dei poteri pubblici, sulla separazione tra potere esecutivo e potere giudiziario. La Von Der Leyen è invece un esempio tipico di lobbista, cioè di capo di un’istituzione pubblica che intrattiene rapporti personali con aziende private a cui concede favori. Nel corso della propria attività di governo in Germania e nell’UE, la Von Der leyen ha di fatto invaso la sfera del potere giudiziario, o di ogni altro potere di controllo, rendendo non tracciabili i propri comportamenti. Per tutto ciò la Von Der Leyen è stata oggetto di critiche (peraltro episodiche e di maniera), ma nessun provvedimento può essere preso contro di lei. Nelle scienze sociali questo modo di governare ha un nome preciso: cleptocrazia. L’Enciclopedia Treccani presenta una trattazione piuttosto articolata a riguardo: la cleptocrazia è un sistema segnato da uno strutturale conflitto di interessi, per cui la distinzione tra Stato e mercato, tra pubblico e privato, tra esecutivo e giudiziario, rimane del tutto evanescente. Il potere si configura quindi come una lobby trasversale a tutte queste distinzioni fittizie e l’attività di governo si concretizza nel farsi pagare dai cittadini una protezione verso minacce che quello stesso governo ha creato in modo fraudolento. L’opinione pubblica ha una percezione molto limitata del concetto di cleptocrazia, pensando che sia una semplice questione di politicanti strapagati e bustarellari. In realtà la cleptocrazia è un massiccio trasferimento di reddito dalle classi medie e lavoratrici verso ristrette lobby di affari trasversali al pubblico ed al privato, un regime di assistenzialismo per ricchi.
Il vecchio sistema dei partiti era iper-corrotto ma comunque costretto alla mediazione sociale dalla propria stessa base di massa. Negli anni ’80 quel sistema dei partiti si illuse di poter essere esso a gestire il processo di finanziarizzazione dell’economia, cominciando così a segare il ramo su cui era appollaiato. Nel 1992 il sistema dei partiti fu definitivamente liquidato da una cleptocrazia più aggressiva attraverso una campagna di “moralizzazione”, il che consentì il saccheggio delle privatizzazioni. Il Sacro Occidente esprime attualmente la cleptocrazia nella sua fase matura e compiuta, per cui il punto di vista dei ricchi è diventato assoluto ed ogni mediazione sociale viene invece criminalizzata.
Molti credono che certe scelte siano dettate da un furore ideologico neoliberista, mentre in realtà tutto ciò che vada nel senso dell’assistenzialismo per ricchi gli va bene. Il lobbying ha anche una particolare abilità nel deformare e nello strumentalizzare a proprio vantaggio persino ogni discorso critico nei confronti dell’establishment. Ciò vale sia per le critiche “nobili” e “colte”, sia per quelle più grette e naif. Il “governo dei tecnici” è oggi l’apoteosi del conflitto di interessi, ma in origine lo slogan esprimeva gli ideali del ceto medio povero ed era stato inventato dal fondatore del qualunquismo, Guglielmo Giannini; il quale, quando parlava di “tecnici”, intendeva i ragionieri e i geometri, non certo i banchieri.
Lo Stato liberale avrebbe dovuto liberarci dai conflitti di interesse e dalla conseguente cleptocrazia, ma si è visto come la separazione dei poteri sia rimasta ovunque allo stadio enunciativo e chimerico. Neanche in Italia possiamo impartire lezioni di Stato di Diritto, dato che la nostra Costituzione, la “più bella del mondo”, assomma nella stessa persona del Presidente della Repubblica le cariche di capo delle Forze Armate e di presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Il Presidente della Repubblica conferisce l’incarico al Presidente del Consiglio e nomina i ministri su “proposta” (non indicazione) di quest’ultimo; quindi il Presidente della Repubblica può anche non nominare nessuno finché non gli si propone il nome che piace a lui; e inoltre può persino sciogliere le Camere. Davvero un bell’esempio di separazione dei poteri. Ad occultare opportunamente questo strapotere, è intervenuta la leggenda metropolitana che narra di un Presidente della Repubblica con mere funzioni cerimoniali da taglianastri.
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