Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
La gran parte del dibattito pubblico è basata su suggestioni, astrazioni ed elucubrazioni, in modo da marginalizzare le poche notizie concrete; addirittura si può determinare un fenomeno di condizionamento per il quale una parte dell’opinione pubblica diventa impermeabile a qualsiasi elemento di fatto. Un ulteriore esempio di cortina fumogena è la gestione della vicenda del disastro del panfilo Bayesian, infatti ogni giorno spunta un nuovo testimone o un nuovo video che sembrano aprire chissà quale prospettiva di indagine. In tal modo si perde di vista l’unico dato di fatto stabilito dagli “inquirenti”, e cioè che tutti gli indagati dell’equipaggio sono volati via, sono uccel di bosco, con tanto di autorizzazione della magistratura che ha concesso loro di lasciare l’Italia; perciò se ci fossero stati un crimine premeditato ed eventuali mandanti, si perderebbe ogni possibilità di farseli rivelare. Nelle fiction il poliziotto dice al sospettato di tenersi a disposizione e di non lasciare la città, ma qui siamo nella realtà e, quando ci potrebbero essere di mezzo i veri potenti, la magistratura non finge neanche di voler fare le indagini; perché anche la mera finzione potrebbe essere fraintesa e diventare rischiosa.
A scanso di equivoci, nel caso Bayesian gli “inquirenti” non hanno neppure ipotizzato il disastro doloso, nonostante il possibile movente miliardario, poiché il dolo e l’associazione a delinquere sono concetti complottisti dai quali il codice penale deve essere purgato. Se però le ipotesi di complotto vengono formulate in modo suggestivo e irrealistico, con personaggi da fumetti, allora vanno benissimo, perché sono utili a far confusione e a mettere in ombra i dettagli che contano. In tal modo si può, ad esempio, parlare di George Soros che userebbe le sue fondazioni “filantropiche” per destabilizzare e condurre le sue trame globaliste; ma la cosa essenziale è credere che lo faccia con i soldi propri; invece così non è. In risposta ad un’interrogazione del parlamentare europeo Jorge Buxadé Villalba, l’anno scorso la Commissione Europea ha ammesso di finanziare le fondazioni di George Soros. La stessa Open Society Foundation ha riconosciuto la cosa, poiché ha “minacciato” di ritirarsi dall’Unione Europea, se questa non sgancerà i fondi pubblici per sostenere le Organizzazioni Non Governative, che poi spetta appunto ai collaboratori di Soros gestire e incanalare, ovviamente per favorire la “democrazia”. Senza soldi pubblici improvvisamente si sgonfia tutta la passione di Soros per la “società aperta” (uno dei tanti “flatus vocis” messi in circolazione da Karl Popper).
Il maggiore finanziatore mondiale delle ONG è l’USAID, l’agenzia del Dipartimento di Stato americano che ha lo scopo di innaffiare di soldi la piantina del Bene in giro per il mondo. Nel 2017 si venne a sapere che tra i beneficiati dei fondi USAID c’era anche Soros; alcuni senatori repubblicani sparsero il solito fumo pseudo-ideologico e, invece di concentrarsi su come e quanto era stato versato a Soros dal governo, chiesero se l’amministrazione Obama lo avesse fatto per finanziare “agende radicali”. Del resto che Soros non sia un “privato cittadino” è dimostrato dal fatto che intrattiene rapporti ufficiali con la NATO. Nel 2000 venne ricevuto dal funzionario NATO lord Robertson per discutere l’attuazione di programmi di intervento in Europa orientale.
In questi giorni si è parlato (pochissimo) dell’ennesimo fallimento del sistema Starliner, commissionato dalla NASA alla Boeing per interrompere la dipendenza americana dalle navicelle russe Soyuz. Nel 2003 il disastro dello Shuttle aveva privato la NASA di un proprio sistema per raggiungere la stazione spaziale internazionale. Sebbene la Boeing fosse uno dei costruttori del mortifero Shuttle, fu incaricata ugualmente di concepire un nuovo sistema di trasporto tra la Terra e l’orbita bassa, lo Starliner. Come assicurazione nei confronti dell’inaffidabile Boeing, la NASA commissionò alla SpaceX di Elon Musk un sistema di trasporto alternativo nel caso l’altro non funzionasse, come in effetti è accaduto. Il dettaglio interessante sta nel fatto che la Boeing e la SpaceX ricevettero dalla NASA il finanziamento in via preventiva; e non si trattò di un semplice anticipo, ma di caricarsi l’onere della realizzazione del progetto a partire dalla ricerca. Inizialmente la Boeing ottenne 4,2 miliardi, mentre la SpaceX incassò 2,6 miliardi. Ovviamente poi i costi sono lievitati e andati fuori controllo. Fai il capitalista privato ma col denaro pubblico. In realtà Stato e capitalismo sono solo astrazioni giuridiche. “capitalismo” indica semplicemente la norma per la quale in una società (per azioni o a responsabilità limitata) comanda chi detiene la maggioranza del capitale; ma ciò non dice nulla su come funzioni sul piano economico. Tutto è avvolto nella mitologia. A sua volta lo Stato è una “persona” fittizia, mentre i soggetti reali sono quelli che fanno porta girevole tra carriere aziendali e carriere politico-istituzionali. Credere che un potere così mistificato possa avere una sua intrinseca razionalità, anche minima o inconsapevole, è puro nonsenso. La cleptocrazia militare richiede sempre maggiore spesa e quindi non può permettersi di essere efficiente.
Ciò che viene messo in ombra dal mito è la dipendenza del sedicente “capitalismo” dal denaro pubblico. Ogni tanto si viene a saperne qualcosa in più grazie ai litigi tra le multinazionali, quando il bue si mette a dare del cornuto all’altro bue. Nel 2011 la Commissione Europea aveva accusato presso il WTO la Boeing di fare concorrenza sleale alla multinazionale Airbus poiché riceveva aiuti di Stato, sia dal governo federale che dai singoli Stati americani. Dall’inchiesta venne fuori che gli aiuti di Stato li ricevevano tutte e due le multinazionali, anche se la Boeing ne otteneva effettivamente molti di più, tanto che il WTO dichiarò illegali molti contratti con la NASA; ovviamente senza effetto. In un analogo contenzioso con la multinazionale canadese Bombardier, si accertò che Boeing aveva ricevuto dal governo federale 64 miliardi in sussidi diretti, prestiti o garanzie su prestiti. Nell’arco di quindici anni la Boeing aveva anche incassato 13 miliardi dai vari Stati dell’Unione. Un assistenzialismo per ricchi così generoso potrebbe suscitare l’invidia persino dei nostrani vampiri del denaro pubblico, come gli Elkann e i Benetton.
Ci sono persone con le quali è impossibile interloquire, poiché si teme quasi di intromettersi nel loro monologo interiore o di turbare i loro flussi di coscienza. Ma il picco della capacità di cantarsela e suonarsela da soli va riconosciuto certamente alla propaganda USA/NATO, che ha toccato le vette della poesia simbolista con la storia del superamento delle presunte “linee rosse” della Russia e della altrettanto presunta incapacità di reagire da parte del Cremlino. Si trattava in realtà di “linee rosse” tracciate dallo stesso presidente Biden due anni e mezzo fa, come ad esempio l’invio dei caccia F-16 a Kiev, escluso ancora un anno fa.
C’è anche da dubitare della tesi secondo cui il controllo dell’escalation sarebbe un monopolio esclusivo degli USA e della NATO. L’attacco missilistico russo della scorsa settimana al centro di formazione militare di Poltava rappresenta oggettivamente un’escalation, poiché si è selezionato un obiettivo militare all’interno di un’area civile densamente abitata, sapendo inoltre che almeno una parte degli istruttori colpiti non sarebbero stati ucraini ma di provenienza di paesi NATO. C’è stata la “coincidenza” che immediatamente dopo l’attacco arrivassero le dimissioni del ministro degli Esteri svedese Tobias Billström, la cui opera era stata determinante nel trascinare la Svezia a tutti gli effetti nella NATO, mentre sino a tre anni fa Stoccolma, pur partecipando dal 1995 a tutte le esercitazioni militari dell’alleanza, non aveva mai chiesto di formalizzare l’adesione. Billström si è dimesso dal governo e persino dal parlamento; ovviamente lo ha fatto per motivi del tutto personali, perché innamorato oppure per l’improvvisa vocazione di diventare figlio dei fiori. Nessuno nel governo svedese però gli ha fatto notare che i tempi di quelle dimissioni avrebbero dato adito alla supposizione che vi fossero degli svedesi tra le vittime dell’attacco a Poltava. Rassegnare le dimissioni con una tempistica così inopportuna avrebbe un senso solo se la testa di Billström fosse stata reclamata da poteri interni alla Svezia, talmente infuriati con lui da non essere disposti ad accettare dilazioni. In base ad indizi si è ipotizzato che nel massacro di Poltava fossero stati coinvolti anche ingegneri della Saab, come a dire la Leonardo svedese. Un’eventualità del genere significherebbe per la Saab una prospettiva di caduta delle capacità progettuali e produttive. Gli ingegneri non sono come i papi: morto uno non è facile farne un altro. L’ipotesi del coinvolgimento di personale Saab nel massacro di Poltava è stata formulata da Giuseppe Gagliano, che è presidente dell’Istituto Studi Strategici “Carlo De Cristoforis”, nella cui dirigenza vi sono anche i generali Fernando Termentini e Carlo Jean.
Si tratta appunto di una ricostruzione indiziaria e non c’è ancora nulla di provato. Se esistessero quei mitologici giornalisti investigativi delle fiction, basterebbe prendere l’organigramma della Saab e verificare se nelle prossime settimane venissero segnalati decessi improvvisi per malattia o incidente di tecnici di alto grado dell’azienda svedese; dato che è questo il trucco con il quale la propaganda di guerra dissimula le perdite che non si vogliono ammettere. L’eventualità di un controllo del genere però ce la possiamo scordare; non per niente nei titoli dei nostri giornali e telegiornali la struttura colpita dai missili russi veniva etichettata come una “scuola”, ci si aggiungeva un ospedale e poco ci è mancato che dicessero che c’era pure un asilo nido.
La vicenda storica della Saab contiene comunque indicazioni interessanti. In passato il nome dell’azienda era legato, oltre che alla produzione di aerei, soprattutto alla produzione di automobili leggendarie per la loro robustezza. Su questa fama della Saab lo scrittore Kurt Vonnegut elaborò una sua spassosa teoria, surreale e iperbolica, sul motivo per il quale l’Accademia svedese non gli ha assegnato il premio Nobel. Si sarebbe trattato di una vendetta per le espressioni irrispettose di Vonnegut a proposito della qualità delle automobili Saab. Sta di fatto che, dopo un estenuante alternarsi di crisi e di apparenti riprese, il settore automobilistico dell’azienda fu rilevato dalla General Motors e poi definitivamente chiuso nel 2011.
Di fronte al generale declino del settore automobilistico, la reazione della Saab è stata quella di concentrarsi sulla produzione militare. Nell’attuale Occidente deindustrializzato e pauperizzato i salari sono troppo bassi e le prospettive occupazionali sono sempre più precarie, perciò non esiste più un mercato interno in grado di assorbire in grande quantità la merce-automobile. La deindustrializzazione è stata salutata dalle nostre oligarchie come la grande occasione per regolare i conti con le classi subalterne, smantellando le grandi concentrazioni operaie e finanziarizzando i rapporti sociali con la tendenza a sostituire il più possibile i salari con i prestiti. La conseguenza è che il processo industriale ad alta tecnologia ed alto valore aggiunto restringe la sua base sociale e va inevitabilmente a coincidere con il settore degli armamenti che ha come diretto finanziatore e committente il governo. Il fatto che la Leonardo sia attualmente la più importante industria italiana corrisponde a questo paradigma. Le affinità tra la Saab e la Leonardo riguardano anche la crescente integrazione di queste due aziende nel “complesso militare-industriale” statunitense, cioè la cleptocrazia militare. Il fiore all’occhiello della Leonardo è la produzione dei caccia F-35 per conto della Lockheed Martin. La deindustrializzazione non ci ha portato l’idillio ecologico ma l’aumento del militarismo e della guerra, ed anche un grado di dipendenza industriale dalla cleptocrazia militare americana a livelli impensabili persino durante la Guerra Fredda.
A rendere del tutto fumoso il discorso di Mario Draghi (ma c’è ancora chi lo prende sul serio?) sulla costruzione di un complesso militare-industriale-finanziario europeo è che la mangiatoia del business delle armi è a dimensione atlantica e coincide con la NATO, dalla quale l’Unione Europea dipende per la propria sopravvivenza. L’imperialismo è una strada a due sensi, perciò le oligarchie nostrane invocano lo scudo USA per farsi difendere non dalla Russia, bensì dalle proprie classi subalterne.
L’adesione alla NATO ed al suo giro d’affari delle armi coincide con l’unica prospettiva industriale dei Paesi europei. Non sempre si tratta davvero di alta tecnologia, ma c’è anche produzione spicciola di robaccia spacciata per chissà cosa. La Saab, in partnership con l’americana Boeing, produce delle super-bombe di piccolo diametro. Sul suo sito l’azienda svedese celebra le virtù mirabolanti di questi suoi innovativi ordigni, affermando che sarebbero in grado di rivoluzionare le tecniche di bombardamento aereo e missilistico.
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