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"Un'idea che non sia pericolosa non merita affatto di essere chiamata idea."

Oscar Wilde
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 29/08/2019 @ 00:17:02, in Commentario 2019, linkato 8940 volte)
La notizia di lunedì scorso è stata il calo di consensi a Salvini nei sondaggi. Per quello che possono valere i sondaggi, non ci sarebbe nulla di strano nella notizia, vista la goffaggine con cui Salvini ha provocato e gestito la crisi di governo.
Mentre l’esito della crisi di governo appartiene al regno dell’irrilevante, invece lo stabilire i motivi dell’apertura della crisi è di qualche interesse. Commentatori di solito incisivi hanno inquadrato la crisi di governo in una direttiva partita da Washington, in cui si intimava al vertice della Lega di disfarsi dei 5 Stelle a causa dei loro ardori filocinesi. Tutto può essere, ma anche i dati psicologici rappresentano indizi da non trascurare. Se Salvini stesse eseguendo istruzioni statunitensi, non si dimostrerebbe così insicuro e impacciato nei movimenti. Anzi, con una superpotenza a reggergli il posteriore, il suo ego avrebbe dovuto arrivare ad altezze siderali, come quello di uno studente quando sa che il preside lo protegge. Oltretutto Salvini non avrebbe avuto alcuna difficoltà a rinfacciare apertamente a Conte e Di Maio i loro eccessi filocinesi.
I segnali più significativi indicano che la crisi è partita da contrasti interni alla Lega. Purtroppo quei segnali non sono mai stati al centro della comunicazione ufficiale, che ha puntato acriticamente a presentare l’immagine di una Lega sovranista.
Prima di consegnarsi al grigiore ed all’inutilità della presidenza della RAI, Marcello Foa è stato un acuto studioso dei meccanismi della comunicazione e della disinformazione. Una delle sue teorie più interessanti sulla comunicazione mainstream è quella del “frame”, la cornice. Se una notizia non rientra in determinate coordinate, viene omessa o marginalizzata dai media, senza bisogno di censure, ma per semplici meccanismi di rassicurazione e di conformismo. È ciò che è accaduto in questi anni a tutte le notizie che potessero mettere in dubbio l’autenticità della svolta sovranista della Lega. I soggetti del frame della comunicazione dovevano essere europeismo/liberismo da una parte e sovranismo/populismo dall’altra. È così rimasto ai margini della comunicazione il fatto che in realtà la Lega Nord non è mai scomparsa e che, pur nella confusione, rimangono un tesseramento per la Lega Nord ed un altro per la Lega/Salvini-premier.

Ai margini della comunicazione ufficiale sono rimasti tutti quei pronunciamenti pubblici del vertice puro e duro della Lega Nord che riconfermavano la fede europeista dei vecchi dirigenti, come Maroni. Da un giornale locale i Varesotti hanno potuto sapere che Maroni ritiene indispensabile avviarsi verso la costruzione degli Stati Uniti d’Europa per annullare le nazionalità. Una posizione perfettamente coerente quella di Maroni, poiché solo sotto l’ombrello UE potrebbero esercitarsi il separatismo strisciante e l’integrazione tra regioni di Stati diversi, come il matrimonio tra la “Padania” e la Baviera.
Nel frattempo per il resto d’Italia i media spacciavano come linea della Lega l’antieuropeismo di Borghi, presentato come il responsabile economico del partito. È perfettamente comprensibile che la minoranza antieuropeista della Lega avalli l’equivoco, visto che sarebbe controproducente far sapere alla pubblica opinione di non contare nulla proprio nel momento in cui si cerca di coinvolgerla su obbiettivi decisivi, come il rifiuto dei vincoli dell’euro e la lotta al terrificante Fondo Monetario Europeo.
Anche l’antisalvinismo delle “sinistre” aveva trovato un comodo contenitore nell’antifascismo, nel quale convogliare temi ricchi di pathos come la lotta alla xenofobia ed al pericolo autoritario. Il dato rimasto oscurato è che l’europeismo del vertice tradizionale della Lega contiene i germi del separatismo strisciante, in vista dell’integrazione della “Padania” con la Baviera. Per Luca Zaia la Baviera non è solo una meta geografica, ma un modello ideologico, tanto che indica la Lombardia e il Veneto come la “Baviera d’Italia”. Siamo addirittura al dichiararsi orgogliosi di poter diventare una colonia della Baviera. Prendendo a pretesto la questione delle Olimpiadi Invernali, Zaia invitava i 5 Stelle “a non mettersi di traverso”. Un invito che non sembrava episodico ma programmatico, forse ritenendo che ormai ci fossero le condizioni per un governo monocolore della Lega.

L’ordine di disfarsi dei 5 Stelle è arrivato quindi a Salvini dal suo stesso partito. Se fosse stato per lui, probabilmente avrebbe deciso altrimenti. Oggi Salvini rischia di fare la figura dello sprovveduto ma, almeno sul piano della propaganda, non lo era mai stato. Mentre concedeva strumentalmente spazio mediatico alla minoranza antieuropeista, da lui stesso creata, Salvini aveva in mente il modo per salvare capra e cavoli, cioè la politica separatista e la retorica sovranista. Allo scopo Salvini aveva adottato come riferimento ideologico quel modello di pseudo-sovranismo che è l’Ungheria di Orban, quindi fiumi di retorica identitaria a vuoto, accompagnati da provvedimenti auto-coloniali come la riduzione delle tasse per attirare capitali esteri. Se l’euro si fosse liquefatto per tempo, il gioco forse gli sarebbe riuscito. O forse anche un modello pseudo-sovranista era ritenuto dal vecchio gruppo dirigente della Lega come un disturbo per la prospettiva della Macroregione Alpina insieme con la Baviera.
Per inquadrare storicamente il problema, occorre considerare che il separatismo strisciante non è solo un dato della patologia individuale dei dirigenti della Lega, bensì ha una sua oggettività.
L’unificazione italiana non è stata attuata per riunire popoli fratelli, visto che il disprezzo per le genti meridionali era connaturato alla gran parte dei più accesi unitari. Basterebbe leggere certe pagine del garibaldino veneto Ippolito Nievo per rendersene conto. Il punto è che l’indipendenza nazionale era intrinsecamente connessa alla potenza nazionale. Il controllo dei mari che circondano l’Italia, in particolare l’Adriatico, sarebbe stato impossibile senza annettere il Sud. Ma era chiaro che si sarebbe trattato di un Sud ridotto a colonia interna. Il destino del Sud Italia è segnato dal fatto di essere geograficamente isolato sul piano economico, ma geograficamente strategico sul piano militare.
Un’Italia sconfitta e irrimediabilmente ridimensionata nelle sue ambizioni di potenza, non poteva che far riemergere le tendenze separatiste. Dalla vicenda storica si potrebbe comunque trarre una lezione, ammesso che si voglia farlo. L’alternativa alla frammentazione-balcanizzazione-colonizzazione dell’Italia non sta nel ritorno al nazionalismo, visto che proprio il nazionalismo si è rivelato non solo incapace di superare il modello coloniale, ma lo ha addirittura adottato all’interno.
 
Di comidad (del 05/09/2019 @ 00:20:25, in Commentario 2019, linkato 8175 volte)
Persino per chi non si era mai bevuto le balle sulla Magna Carta e sull’Inghilterra patria della libertà e del diritto, forse una sospensione del parlamento per cinque settimane era un po’ troppo. Si può anche comprendere lo sconcerto dei Britannici, costretti a contemplare per tanto tempo solo la regina e l’acconciatura del primo ministro Boris Johnson.
Ciò che risulta invece chiaramente manipolatorio e pretestuoso è il tentativo di gran parte del mainstream di ricondurre la vicenda britannica agli schemi della consueta narrazione della eterna lotta tra gli europeisti difensori del diritto dei popoli alla loro libertà contro il cattivone autoritario di turno. Boris Johnson in tal modo non è riuscito a sfuggire alla “reductio ad Salvinum” (degna erede della “reductio ad Hitlerum”); anzi, Johnson fa ormai coppia fissa con Salvini nella rappresentazione mediatica della fiaba europeista.
Johnson ha ereditato la patata bollente della Brexit, di cui è stato un sostenitore, e si trova anche a guidare un Partito Conservatore che ricorda il PD, nel pieno di una guerra per bande e che usa la Brexit come una delle tante armi del conflitto interno. Il Regno Unito non ha una Costituzione scritta (ammesso e non concesso che anche una Carta scritta garantisca qualcosa), perciò si trova in questa circostanza a procedere a tentoni. È vero che il parlamento può accampare il grave torto ricevuto, ma anche Johnson potrebbe recriminare su un parlamento che boccia gli accordi raggiunti e pretende al tempo stesso il raggiungimento di un accordo per procedere all’uscita dalla UE. Sarebbe la tipica situazione in cui tutti hanno torto e tutti hanno ragione, per cui la proposta di Johnson di elezioni anticipate rappresenterebbe la classica decisione salomonica in grado di preservare le mitologie sulla libertà britannica.
Sennonché un torto univoco e certo c’è, e riguarda la tanto decantata “Europa”. La rivista “Limes” ha posto in evidenza come la principale motivazione della Brexit, sia stata quella di contenere il separatismo scozzese. Anche la questione irlandese avrebbe avuto il suo peso, con l’esigenza britannica di controllare i propri confini.
Le osservazioni di ”Limes” sono valide, ma vanno inquadrate appunto nel nuovo contesto determinato dalle “regole” europee. Sono secoli che l’Inghilterra si misura col separatismo delle sue colonie interne ed il tutto quindi rientra nel normale bagaglio di ogni uomo politico e di ogni oligarca inglese. Ciò che invece ha determinato il panico dell’inedito e dell’imprevisto nell’oligarchia inglese, concerne la forma strisciante e subdola che i separatismi assumono, nel contesto dell’Unione Europea. Il rischio di ritrovarsi la Scozia in qualche macroregione europea, sul modello della Macroregione Alpina, ha certamente messo in allarme l’oligarchia inglese, proprio perché si tratta di un terreno inesplorato, nel quale si ravvisa un processo di destabilizzazione degli Stati nazionali senza nessuna prospettiva di un nuovo riequilibrio. Il palese compiacimento con il quale la narrazione europeista osserva le vere o presunte difficoltà britanniche, dimostra quanta irresponsabilità si celi dietro la retorica europea; come se un Regno Unito messo alle strette non rappresentasse a sua volta una minaccia gravissima per la stabilità mondiale.

Comunque è ancora da accertare se il Regno Unito sia davvero in via di destabilizzazione, mentre in Italia l’europeismo ha già determinato effetti di balcanizzazione strisciante. Sul mainstream la Lega passa ancora per sovranista e Salvini viene assimilato a Boris Johnson, ma è la stessa Lega a promuovere invece un separatismo strisciante con l’autonomia differenziata, che prevede l’integrazione della sedicente Padania con una Regione straniera come la Baviera; il tutto sotto l’ombrello UE . La reductio ad Salvinum quindi non si potrebbe correttamente applicare neppure all’Italia.
Il regolamento di conti interno al gruppo dirigente leghista non riguarda solo il disturbo provocato dalla retorica pseudo-sovranista di Salvini, ma soprattutto la meridionalizzazione del partito che lo stesso Salvini ha maldestramente innescato. Per procacciarsi voti al Sud, Salvini ha arruolato nel suo partito esponenti politici e baroni del voto provenienti da Forza Italia. Si tratta di un personale politico di origine meridionale che rischia di “contaminare” il puro sangue nordico del partito o, addirittura, di occuparlo del tutto. La Lega è passata dal 4 al 40% ed è ovvio che chi controlla più voti finisca prima o poi per comandare.
Verrebbe quasi da compatire Salvini, che sino a qualche tempo fa si riteneva intoccabile nel suo partito per averlo condotto a risultati elettorali insperabili. Avrebbe però dovuto ricordarsi di Craxi, fatto fuori proprio nel periodo in cui cominciava a sfondare elettoralmente. Anche nel crollo di Craxi la “vendetta del Nord” non fu un fattore secondario, perché nessun oligarca lombardo era disposto a tollerare un Partito Socialista dominato da baroni del voto meridionali come Giulio Di Donato e Carmelo Conte, che pretendevano anche di adagiarsi nei salotti buoni di Milano.
Il marasma ed il conflitto etnico ingenerati dallo spregiudicato elettoralismo salviniano, rischiano oggi di indebolire la Lega nel perseguire il suo obbiettivo tradizionale e prioritario, il separatismo strisciante, altrimenti detto “autonomia differenziata”. Per fortuna dei dirigenti leghisti del nucleo puro e duro (Maroni, Zaia, Giorgetti), l’autonomia differenziata è ormai un partito trasversale. Il presidente piddino della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, appare ora come il sostenitore più “hard” dell’autonomia differenziata e non esita a dettare le sue condizioni ed a lanciare i suoi ultimatum al nuovo governo.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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