Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Che la “damnatio memoriae” del comunismo proceda di pari passo con le privatizzazioni è diventato ormai evidente. Oggi gli Italiani vengono chiamati davanti alla tv a versare lacrime sul “sangue dei vinti”, cioè sui poveri fascisti massacrati dai partigiani comunisti, così da non badare al fatto che intanto le multinazionali sono calate in Italia per vampirizzarci l’acqua. La Resistenza viene criminalizzata e diventa mera “guerra civile”, un volgare prodromo degli “anni di piombo”. Questa denuncia della “guerra civile" però non viene fatta per giungere ad una riconciliazione nazionale, bensì per creare un clima di psico-guerra civile, utile all’invasione coloniale delle multinazionali anglo-americane, che stavolta non vengono a “liberarci” dal nazifascismo, ma dagli ultimi scampoli di economia pubblica.
Mentre la propaganda ufficiale spreme le lacrime dei lettori e dei telespettatori, lo Stato si incarica di spremere il contribuente, perché le privatizzazioni costano, e non si può pretendere certo che sia il privato a pagare di tasca propria, ma è la spesa pubblica a dover finanziare, come sempre, l’affarismo privato. L'affarista privato viene protetto e vezzeggiato da uno Stato papà premuroso, che agevola ogni suo passo. La vicenda dell'avvento del digitale terrestre costituisce solo l'ultimo episodio di questa pratica di assistenzialismo per ricchi: una tecnologia rigida e farraginosa, incapace di affermarsi con le sue gambe, è stata imposta per legge attraverso l'eliminazione forzata della tecnologia alternativa, l'analogico, che era semplice, efficace, ma con il torto imperdonabile di essere meno costosa per il telespettatore, che ora dovrà invece pagare ogni passo che penserà di compiere nel nuovo territorio.
A coloro che si lamentassero di questo assistenzialismo dello Stato che va tutto a favore dei ricchi, la tv di Stato ha appena dedicato “Le vite degli altri”, un film sui crimini della STASI, la famigerata polizia segreta della Germania Est, in modo da ammonire i telespettatori su come vada a finire male il sogno utopico di un assistenzialismo a favore dei poveri. Alla fine degli anni ’70, in Gran Bretagna, il primo ministro Thatcher rilanciava in grande stile l’assistenzialismo per ricchi e, contemporaneamente, in Francia i “nuovi filosofi” Bernard Henry Levy ed Andrè Glucksmann si dedicavano a far passare nella opinione pubblica l’equazione tra comunismo e gulag, in modo da suggerire che opporsi al sedicente “liberismo” - cioè assistenzialismo statale a favore dell’affarismo privato - fosse un atto foriero di inevitabili esiti criminali e totalitari. In tal modo l’unico totalitarismo lecito è rimasto quello degli affari.
Ai nostri giorni Giampaolo Pansa se la prende con i “Gendarmi della Memoria”, in modo però che lui possa privatizzare anche la memoria. È un falso revisionismo storico che avalla una documentazione storica incerta a proposito delle vittime fasciste del dopo 25 aprile, ma sorvola su fatti accertati, come il massacro dei soldati italiani prigionieri nel 1943 a Gela, da parte delle truppe statunitensi comandate dal generale Patton. Il “peso” dei morti quindi varia a seconda della loro utilità per la causa delle privatizzazioni.
La dignità dei morti è subordinata alle esigenze dell’affarismo, perciò Guido Rossa, operaio dell’Italsider di Genova, è onorato dalla propaganda ufficiale come eroe e come vittima del terrorismo, ma solo perché il suo assassinio è stato strumentalizzato sia per la nobile causa della privatizzazione della siderurgia italiana, sia per avviare alla FIAT di Mirafiori la epurazione degli operai in grado di organizzare la resistenza alla ondata di licenziamenti programmata per il 1980.
La FIAT poté attuare il suo programma di licenziamenti grazie ai finanziamenti statali stanziati a suo favore dalla legge sulla riconversione industriale - sessantamila miliardi di lire dell’epoca -, che fu votata in parlamento anche dal Partito Comunista, sia perché questo voleva mostrarsi “maturo” per governare, sia perché la stessa legge prevedeva qualche sussidio anche per la Lega delle Cooperative. Mentre alla fine degli anni ’70 lo Stato finanziava con il denaro pubblico non i posti di lavoro, ma i futuri licenziamenti, su alcune riviste rivoluzionarie si discuteva di argomenti di sconcertante concretezza come la “sussunzione del capitale”, a dimostrazione che, tra le tanti protezioni di cui gode l'affarismo privato, c'è anche questo alone mitologico, che impedisce di notare dettagli volgari come la totale dipendenza dell'affarismo privato dal denaro pubblico.
Nel frattempo la prestigiosa redattrice del “Il Manifesto”, Rossana Rossanda, ci garantiva che l’assassinio di Rossa è stato una storia tutta italiana, sebbene sia andato a favore di multinazionali tedesche come la Thyssenkrupp. Anche il fatto che Guido Rossa si sia riadattato da operaio a sbirro per obbedire alle indicazioni di un dirigente del Partito Comunista di allora, tale Giuliano Ferrara - che si sarebbe poi confessato agente della CIA -, è tutta una pura coincidenza. Secondo la Rossanda infatti il terrorismo fa parte dell’album di famiglia del comunismo, perciò è come se Rossa l’avesse ucciso la zia.
Le vittime del presunto terrorismo rosso possono essere considerate “morti pesanti”, perché sono utili per le privatizzazioni, ma, per una sorta di proprietà transitiva, chi saccheggia il denaro pubblico per attuare privatizzazioni, può già fregiarsi del titolo di vittima del terrorismo, anche se è ancora vivo. È il caso del ministro Brunetta, che sta appaltando a ditte private tutti i servizi della Pubblica Amministrazione e, per questo motivo, si è ritenuto degno di auto-consegnarsi, come onorificenza, una busta con dentro una pallottola: vittima del terrorismo ad honorem.
Di recente anche un redattore de “Il Giornale” aveva pensato bene di spedirsi da solo una lettera di minacce brigatistiche, ma la Digos lo ha sputtanato immediatamente con una perizia calligrafica, forse perché quel redattore non aveva acquisito ancora meriti sufficienti sul campo delle privatizzazioni. Al contrario, il professor Pietro Ichino, che tanto ha fatto con i suoi articoli e i suoi libri per favorire una privatizzazione dei servizi del Pubblico Impiego, ha potuto essere nominato dai media vittima del terrorismo ad honorem senza aver dovuto spedirsi lettere di minaccia da solo, anzi, senza aver ricevuto nessuna minaccia da chicchessia. Nel caso di Ichino le minacce terroristiche sono state considerate dai media come implicite e scontate: le minacce è come se ci fossero, perché non potrebbero non esserci. Anche Giampaolo Pansa ha potuto girare scortato per mesi dalle Forze dell’Ordine in base ad un sillogismo analogo, sebbene non lo avesse minacciato nessuno, anzi, proprio perché non l'aveva minacciato nessuno, a riprova che la minaccia era più oscura e incombente che mai.
Nella recente vicenda della richiesta di estradizione del presunto lottarmatista Cesare Battisti dal Brasile, il più fermo tra i partiti di “opposizione” nel pretendere l’estradizione dal governo brasiliano, è stato l’Italia dei Valori. Anche qui sarà solo una coincidenza, ma nella scorsa legislatura fu proprio il voto contrario dell’Italia dei Valori ad impedire in parlamento lo scioglimento della società per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, gestita da una delle aziende edilizie che si sono sempre distinte nel saccheggio del pubblico denaro e nella privatizzazione dei patrimoni immobiliari pubblici, la mitica multinazionale Impregilo. In attesa della costruzione dell'improbabile ponte, la società costituita all'uopo consente intanto all'Impregilo di appropriarsi di ingenti quote di denaro pubblico e di grosse fette del patrimonio immobiliare statale e comunale della Sicilia e della Calabria. A suo tempo Antonio Di Pietro chiese pubblicamente scusa per la marachella del voto pro-Impregilo, ma il punto non è stabilire se si sia trattato di errore in buona fede o meno, poiché l'episodio rimarrebbe comunque indicativo di quali siano le reali priorità dell'Italia dei Valori. Se si fosse trattato di votare contro Battisti, una svista del genere sarebbe stata impensabile.
Il comportamento dell'IdV è del tutto analogo a quello del quotidiano "La Repubblica", il quale dedicava il titolone di prima pagina al caso Battisti, sebbene il giorno prima il parlamento avesse privatizzato l'acqua, a conferma del fatto che all'affarismo si possono rivolgere rimproveri morali, ma solo il terrorismo può suscitare orrore. Il prossimo 12 dicembre ricorrerà il quarantennale della strage di Piazza Fontana, che rappresenta un paradigma significativo dei criteri di indignazione morale del sistema mediatico. I toni di indignazione sono stati enfatizzati finché il colpevole da additare era l'anarchico Valpreda; i toni sono invece diventati più sommessi e distratti quando i colpevoli si sono rivelati come parti dell'apparato dello Stato. La strage di Piazza Fontana torna infatti all'attenzione dei media solo quando qualcuno rilancia l'ipotesi della colpevolezza di Valpreda o addirittura di Pinelli, a riscontro del principio che la indignazione per i morti ammazzati deve scattare solo se dietro la violenza si suppone un movente contrario al sistema degli affari. Infatti le stragi di mafia dell'inizio degli anni '90 sono state "storicizzate" e private di ogni pathos nella rievocazione, e la collaborazione tra Stato e mafia è oggetto di discussioni magari preoccupate, ma con toni prudenti e pacati. Ancora una volta viene da fare il confronto con la furia astiosa con cui i media e i partiti hanno trattato invece, e negli stessi giorni, il caso Battisti.
Il terrorismo è solo un fantasma mediatico, e, come opzione pratica di opposizione dal basso, risulta assolutamente inaccessibile, poiché ormai tutti sanno che qualsiasi formazione di lotta armata non può sfuggire all'infiltrazione poliziesca, sino al punto di diventarne un utile strumento di provocazione. Il demone del terrorismo è quindi solo la caricatura di qualsiasi istanza comunista o anticolonialista che possa, anche solo ipoteticamente, disturbare il sistema degli affari, autoconsacratosi e autodivinizzatosi con i suoi vari pseudonimi mitologici: Mercato, Capitalismo, Occidente, cioè la nuova Santa Trinità.
Venerdì 11 dicembre il quotidiano berlusconiano “Il Giornale” ha pubblicato un articolo redazionale di denuncia sulla questione del signoraggio bancario, “rivelando” ai propri lettori ciò che da tempo circola su internet, e cioè che il potere sulla moneta è in mani private, che le banche centrali come la Federal Reserve statunitense, e la stessa Banca d’Italia, non sono banche pubbliche, ma private. Che il quotidiano di più provata fedeltà berlusconiana affrontasse un tema del genere, ha alimentato un mito diffuso negli ultimi mesi, cioè l’immagine di un Berlusconi in lotta con i poteri forti a livello internazionale, che ne avrebbero decretato la fine anche per la sua amicizia con Putin, da cui sarebbe sortito l’accordo per la costruzione del gasdotto “South Stream”, che rompe le scatole all’analogo progetto del gasdotto “Nabucco”, voluto dagli Stati Uniti.
Questa mitologia berlusconiana è però smentita dai dati e dalle date. L’accordo per il “South Stream” era già stato siglato dal governo Prodi con due firme nel 2006 e nel 2007, mentre il Cancelliere tedesco Angela Merkel ha firmato a sua volta con Putin un accordo per un gasdotto “North Stream”, senza che nessuno favoleggiasse di morbose amicizie fra i due. La realtà è che l’accordo con Putin l’ha voluto l’ENI, e che le multinazionali anglo-americane non hanno fatto nulla per sabotarlo, semmai meditano di mettere le mani sull’ENI, strappando la sua maggioranza azionaria allo Stato italiano.
La privatizzazione dell’ENI non può effettivamente essere operata da Berlusconi, ma non perché non ne avrebbe voglia, ma semplicemente perché non è all’altezza di battersi con il gruppo dirigente dell’ente petrolifero italiano, che vanta legami affaristici storici con le forze armate e i servizi segreti sia civili che militari. Il motivo per cui Gianfranco Fini è entrato nelle simpatie delle multinazionali, è che la sua provenienza missina pone anche lui al centro di una serie di relazioni storiche con forze armate e servizi segreti, e ciò gli conferisce la possibilità di convincere i suoi interlocutori che il cambio di proprietà all’ENI salvaguarderebbe i loro interessi affaristici.
Berlusconi ha appena privatizzato l’acqua in Italia, obbedendo ad una direttiva del Fondo Monetario Internazionale, la superbanca privata che dieci anni fa ha fissato ufficialmente questo obiettivo da realizzare su scala planetaria, come sta in effetti avvenendo. Il Fondo Monetario è a sua volta una emanazione della Federal Reserve, la stessa contro la quale il quotidiano di Feltri ha lanciato tardivamente i suoi strali. Se Berlusconi avesse davvero voluto ribellarsi ai poteri forti internazionali, avrebbe potuto cominciare da lì, rifiutandosi di attuare la privatizzazione dell’acqua, invece ha obbedito.
Il mito del Berlusconi “ribelle” si nutre di una serie di falsi sillogismi, del tipo: la sinistra è ormai diventata destra, quindi è la destra oggi la vera sinistra; oppure: se la stampa internazionale attacca Berlusconi, allora è segno che questi sta dando fastidio agli assetti di potere mondiale.
In realtà, il fatto che la sinistra sia diventata un’altra destra, non comporta affatto che la destra non sia più tale, anzi, questa ha potuto spingere la sua follia privatizzatrice sino a confini che sarebbero stati impensabili: con la sedicente “riforma” Gelmini, i patrimoni immobiliari delle Università, e di gran parte del Demanio dello Stato, passano semplicemente in mani private, senza neanche la finzione di una svendita, e si tratta spesso di beni culturali di valore inestimabile.
Inoltre, quando la stampa internazionale attacca Berlusconi, umilia indirettamente l’Italia, che, secondo la voce consolidata, gli darebbe il suo consenso in maggioranza. La vicenda dello pseudo-attentato a Berlusconi sembra proprio una gag a beneficio dei media internazionali per farci ridere dietro il mondo intero: un Presidente del Consiglio, già bersaglio di un treppiede nel 2004, viene ora colpito sul naso da una statuetta souvenir del Duomo di Milano, e, invece di essere portato via dagli addetti alla sicurezza, esibisce la sua faccia insanguinata davanti alle telecamere; per di più, il giorno dopo tutti gli esponenti politici, invece di chiedere le dimissioni del ministro degli Interni e dei dirigenti dei servizi segreti per la loro figuraccia, si avviano compunti in processione ad esprimere solidarietà a Berlusconi, come se fosse stato davvero vittima di un attentato. Il confronto con le foto di Mussolini, che esibiva un cerotto sul naso dopo l'attentato ad opera di Violet Gibson nel 1926, viene naturale; e il ridicolo di questa situazione viene fatto ricadere su un intero popolo, che un giorno verrà chiamato a risponderne come se ne fosse tutto responsabile.
Ciò vorrà dire che la caduta di Berlusconi sarà seguita da un periodo di sacrifici ed espiazioni per il popolo italiano, cioè altre privatizzazioni, e quindi altre tasse per poterle finanziare, dato che i costi delle privatizzazioni non le pagano mai i privati.
La sortita di Feltri sul signoraggio bancario rappresenta perciò l’ennesima cortina fumogena, che può attingere ad un secolo di mistificazioni della propaganda della destra sul ruolo dei poteri finanziari. Beninteso, il signoraggio bancario è una realtà, e la denuncia del fenomeno non è nata affatto nell’ambito della destra, bensì della socialdemocrazia austriaca, tra la fine del ‘800 e l’inizio del ‘900. Anche Lenin, nel suo “Imperialismo, fase suprema del capitalismo” riprese le tesi del socialdemocratico austriaco Hilferding sul potere finanziario e sul ruolo egemone delle banche.
L’appropriazione di questo tema da parte della propaganda di destra è dovuta all’azione di Henry Ford, l’industriale americano dell’automobile, che pubblicò dal 1919 in poi una serie di articoli antisemiti, in cui si sosteneva l’esistenza di una cospirazione internazionale, che vedeva uniti in un’azione comune sia il capitale finanziario che il bolscevismo, entrambi monopolizzati dagli Ebrei.
Gli articoli di Ford vennero raccolti in un libro, “L’Ebreo internazionale”, che divenne un best-seller mondiale, e che ebbe anche l’onore di una recensione favorevole da parte del “Times” di Londra. È noto che Hitler si ispirò a Ford, di cui aveva un ritratto affisso nel suo studio. Negli anni ’30 il poeta statunitense Ezra Pound - che si era stabilito in Italia, dove aveva aderito al fascismo - diventò il principale diffusore di queste tesi, sintetizzate con lo slogan della “usurocrazia”.
Alcuni hanno notato che la vicenda di Ezra Pound risulta adombrata nel romanzo “Madre Notte” di Kurt Vonnegut, in cui si narra di uno scrittore americano, Howard Campbell Junior, infiltratosi nel partito nazista per conto dei servizi segreti statunitensi. Il personaggio di Campbell appariva già nel romanzo più famoso di Vonnegut, “Mattatoio n. 5”, anche se non vi si faceva ancora cenno alla sua natura di agente segreto infiltrato.
Sia Ford che Pound miravano allo stesso scopo: creare l’immagine di un capitalismo finanziario “cattivo”, separata e contrapposta rispetto a quella di un capitalismo produttivo “buono”, e inoltre screditare il comunismo, presentandolo come complice della parte malsana del capitalismo. Queste accuse astratte consentivano di far perdere di vista il fatto che intanto Hitler aveva stretto accordi economici con tutte le principali multinazionali statunitensi - dalla GM alla Ford, dalla IBM alla Coca Cola -, nonostante che queste dipendessero finanziariamente dai vari Rothschild e Goldman Sachs. Pound sosteneva che Italia e Germania combattevano per la libertà di non indebitarsi, quindi la guerra nazifascista si presentava come una crociata per opporsi allo strapotere della finanza internazionale.
Le tesi di Ford e Pound, e la politica economica di Hitler, consentivano di inserirsi nel giro affaristico internazionale, avvolgendosi nel contempo di un alone anticapitalistico. Lo stesso termine “capitalismo”, nella sua inafferrabile genericità, consente di queste mistificazioni, facendo smarrire l’evidenza che l’affarismo privato rappresenta - allora come oggi - un continuum, che va dalle grandi finanziarie mondiali sino alle piccole-medie imprese organizzate, dalla Goldman Sachs alla Compagnia delle Opere, tutte unite per un unico obiettivo: le privatizzazioni. La Compagnia delle Opere rappresenta un esempio plateale di questo nesso tra interessi privati e propaganda anticapitalistica astratta e fumogena: proprio nel periodo in cui la Compagnia delle Opere nasceva e cominciava a mettere le mani sugli appalti e sui servizi pubblici delle Regioni del Centro-Nord, la sua organizzazione politica di riferimento, Comunione e Liberazione, pubblicava "Il Sabato", una rivista che esibiva toni antagonistici ed anticonformistici, tanto che in molti all'epoca erano convinti che CL costituisse davvero una formazione terzomondista ed antimperialista. L'antimperialismo di CL di ieri vale quanto quello attuale di Feltri, cioè nulla, e costituisce solo la pallida imitazione degli schemi propagandistici di Ford e Pound, e dei loro seguaci degli anni '20 e '30, come Hitler e Mussolini.
Sia Mussolini che Hitler dovettero fare un largo ricorso anche a forme di economia pubblica, per contrastare gli effetti della crisi economica, e ciò finì per avallare con l'apparenza dei fatti la mistificazione propagandistica di un nazifascismo alternativo sia al capitalismo che al comunismo. Ma fu proprio Mussolini a liquidare questo mito, con un commento che pronunciò nel periodo della Repubblica Sociale, in presenza dello storico fascista Bruno Spampanato. Mussolini constatava amaramente che, con tutto il denaro che lo Stato italiano aveva dilapidato per tenere in piedi l’artificio dell’industria privata, sarebbe stato possibile dotarsi di una vera economia pubblica. L’intervento dello Stato fascista non aveva mai prospettato un modello economico alternativo, e del resto lo stesso Mussolini aveva preso il potere nel 1922 all’insegna di un programma ultraliberista.
C’è da considerare che il signoraggio bancario attuale è molto diverso da quello descritto da Hilferding e deformato dai Ford e dai Pound, poiché, nel frattempo, è stata abbandonata la convertibilità aurea della moneta, e quindi oggi davvero gli Stati si indebitano con le banche per avere da loro denaro che esse hanno creato dal nulla. Il punto però è che non ha senso affermare che il sistema bancario opprima l’impresa cosiddetta “produttiva”, poiché, dietro l’uno e l’altra, appare il medesimo comune denominatore: il saccheggio del denaro pubblico. Se è vero che l'opinione pubblica ignora che lo Stato ha ceduto la sovranità monetaria a banche private, è anche vero che la stessa opinione pubblica viene tenuta all'oscuro del fatto che le privatizzazioni non le pagano le imprese private, ma il contribuente.
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