Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Nell'epoca delle cosiddette "teorie del complotto", sembrerebbe che invece la "teoria dell'anti-complotto" sia diventata il collante ideologico del commentario ufficiale. Le dichiarazioni del primo ministro turco Erdogan, che ha ipotizzato la presenza delle stesse lobby finanziarie dietro i disordini in Turchia ed in Brasile, hanno suscitato i prevedibili commenti irridenti della stampa internazionale. Ancor prima Erdogan era stato bersagliato dai commentatori per aver ipotizzato che
dietro i disordini in Turchia vi fosse la mano del finanziere George Soros.
In risposta al "primitivismo" dei complottisti, è partito uno sforzo di "razionalizzazione" che ha visto l'impegno di firme autorevoli.
Loretta Napoleoni ha cercato di spiegare l'apparente paradosso per il quale Paesi in forte ascesa economica, come Brasile e Turchia, si trovano ad affrontare turbolenze di piazza, mentre l'Europa del Sud, in impoverimento crescente, ristagnerebbe nella acquiescenza sociale. La soluzione logica escogitata dalla Napoleoni è consistita nell'individuare storicamente nel ceto medio in ascesa sociale la molla delle rivoluzioni.
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In realtà la Napoleoni non considera che persino in fatto di rivolte ci sono figli e figliastri. Si tratta di un atteggiamento che ha i suoi precedenti illustri, come nel caso dello storico marxista Eric Hobsbawm, che maltrattava Babeuf per essersi permesso di fare il comunista (e pure con le idee chiare) mezzo secolo prima che Marx desse ufficialmente lo start. Oggi però ci pensano i media a decidere quali siano le rivolte buone e quelle cattive.
La sommossa londinese dell'agosto del 2011 fu descritta in modo unanime dai media come un fenomeno esclusivamente criminale, nichilistico e caotico, e ai rivoltosi non fu concessa la parola; anzi, largo spazio fu offerto alle "eroiche" mamme che denunciavano i figli coinvolti nei disordini. Se i metodi sbrigativi di polizia usati per stroncare la rivolta delle periferie londinesi fossero stati adottati da Erdogan, adesso questi si ritroverebbe già condannato dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU.
Le analisi sociologiche della Napoleoni potrebbero avere un qualche fondamento se i movimenti di piazza in Turchia e Brasile fossero rivolti contro le loro effettive controparti, cioè contro i potentati che comprimono le loro aspirazioni al benessere ed alla promozione sociale. Ma in effetti, in Turchia come in Brasile, i bersagli dei manifestanti appaiono troppo "localizzati" e banalizzati negli slogan anti-corruzione, mentre al contrario rimangono nell'ombra i loro manovratori a livello internazionale.
In un
articolo dello scorso anno, la stessa Loretta Napoleoni inneggiava al "pragmatismo" della presidentessa brasiliana Rousseff che si era decisa ad avviare un piano di privatizzazioni dei trasporti in Brasile. Dopo i contorcimenti di Lula, finalmente la Rousseff tornava ad obbedire docilmente ai dettami del Fondo Monetario Internazionale.
Quindi la Napoleoni aveva ragione: c'erano tutti i motivi per festeggiare, dato che il Brasile tornava ad essere "pragmatico", cioè una preda indifesa delle multinazionali. Loretta Napoleoni ha ritenuto di partecipare anche lei a questo clima "pragmatico", diventando una seguace di Matteo Renzi.
Come molti Paesi latino-americani, dagli anni '50 in poi il Brasile è stato praticamente una colonia del FMI, e questo dato è sempre stato presente alla coscienza di gran parte dell'opinione pubblica brasiliana. Soltanto con la presidenza Lula il Paese si è ripreso, se non un'autonomia, almeno un margine di contrattazione nei confronti delle invadenti istituzioni finanziarie internazionali; ed è stato uno dei principali motivi della relativa popolarità dello stesso Lula non solo in Brasile, ma in tutta l'America Latina.
A distanza di un anno dalla conversione della Rousseff al vangelo FMI, sembrerebbe però che la piazza brasiliana non abbia più nulla da dire sullo stesso FMI e sui suoi piani di sviluppo della finanza e del settore privato. La piazza se la prende col dissesto dei trasporti, ma non con i piani per privatizzarli. Il sospetto che possa agire un lobbismo multinazionale dietro l'uno e dietro gli altri non appare negli slogan dei manifestanti, i quali raccolgono la
solidarietà pelosa di un Brad Pitt a nome di una multinazionale come la Paramount.
Si potrebbe anche minimizzare la questione dei
massicci investimenti operati attualmente da George Soros nel settore televisivo brasiliano, osservando che sia normale che un affarista faccia ovunque i suoi affari. Certo che è così, ma si potrebbe anche notare che quando un Paese "emergente" cede un settore delicato come quello televisivo ad un investitore straniero, per di più legato alla NATO, ciò costituisce oggettivamente un grave indizio di vulnerabilità.
Il fatto che dai media mondiali sia sparita la questione dei grandi giacimenti di petrolio scoperti appena al largo della costa brasiliana nel 2007, appare un po' strano, dato che si tratta di riserve paragonabili per dimensioni a quelle del Mare del Nord. Come pure apparirebbe degno di maggiore attenzione il continuo giocare al gatto col topo da parte di
cordate di investitori guidate da Soros nei confronti della compagnia petrolifera Petrobras, che è una specie di ENI brasiliano.
Insomma, in queste condizioni soltanto in base ad un pregiudiziale dogmatismo anti-complottista si potrebbe escludere l'ipotesi che in Brasile ci si trovi di fronte all'ennesima rivoluzione colorata a fini di privatizzazione; ed oltre ai trasporti c'è parecchio petrolio da privatizzare. Tanto più che alla piazza oggi la Rousseff promette "riforme", una parola che ha assunto un suono inquietante, che non esclude affatto che si tratti proprio delle "riforme strutturali" così care al FMI ed alle altre istituzioni internazionali. A riprova che le privatizzazioni non siano affatto passate di moda, nonostante i loro costi proibitivi per le casse degli Stati, lo indica anche il fatto che Mario Draghi ha avvertito che la BCE concederà "aiuti" soltanto in cambio di "riforme strutturali", cioè altre privatizzazioni.
Sempre a proposito di "riforme strutturali", c'è un modo sicuro per il Brasile di far crollare i tassi di corruzione nelle statistiche ufficiali delle organizzazioni internazionali, cioè è sufficiente legalizzare la corruzione, come si fa negli Stati Uniti, istituzionalizzandola attraverso la forma del lobbying e del revolving door. Nei Paesi corrotti ed inferiori i funzionari accettano ancora bustarelle, mentre nei Paesi civili e democratici i funzionari pubblici possono andare ad occupare posti direttivi presso l'azienda privata che hanno appena favorito, magari piazzandoci anche i propri familiari.
Nel 2011 un Paese acquiescente come l'Italia si era dimostrato in grado di esprimere un capillare movimento di massa contro una grande "riforma strutturale", cioè la privatizzazione dell'acqua, individuando il proprio nemico nelle multinazionali nel settore, e coinvolgendo contro quel nemico un fronte vastissimo, che aveva raccolto persino parrocchie, coltivatori diretti ed artigiani. Nello stesso 2011 un referendum sfondava trionfalmente il quorum e stravinceva a favore dell'acqua pubblica. Ma ora chi se ne ricorda più? Il responso delle urne è sacrosanto soltanto se va contro gli interessi popolari; in caso contrario può essere immediatamente spazzato via da un'emergenza.
Dal giugno del 2011 infatti il coinquilino di tutti gli Italiani è stato lo "spread", a causa di un'emergenza finanziaria scatenatasi in coincidenza del risultato dei referendum. Nell'occasione il ruolo di vittima del complotto internazionale fu rivendicato ed ottenuto dal Buffone di Arcore, e non dai vincitori del referendum.
Le notizie di stampa sullo scandalo spionistico denominato "datagate", hanno determinato in Europa lo scatenarsi di ipocriti rituali di sorpresa e di indignazione. Tra le autorità europee la parola d'ordine è stata quella di cadere dalle nuvole, di dichiararsi stupefatti o "allibiti", come se l'attività spionistica a tutto campo della National Security Agency non fosse già arcinota. A Sigonella è persino in allestimento un mega-impianto di spionaggio elettronico, il MUOS, con il quale gli USA avranno il territorio europeo sotto un controllo ancora più capillare; ed è chiaro che si tratta non soltanto di spionaggio militare, ma anche nel settore industriale e finanziario, sino alla sfera dei vizi privati, utilissimo strumento di ricatto.
Ma ad indicare la serietà di queste recite in Europa, basterebbe anche solo il fatto che ci si è immediatamente dimenticati che lo
scandalo spionistico aveva coinvolto poche settimane fa un Paese europeo, cioè il Regno Unito, il cui servizio segreto, MI6, nell'aprile del 2009 aveva allestito addirittura dei falsi internet cafè per spiare i diplomatici stranieri ospitati a Londra per il G20.
Se questo è il grado di memoria degli avvenimenti, si può facilmente prevedere che tutta questa
bolla di indignazione verso gli USA svanirà molto presto, e ciò vale anche per le dure dichiarazioni di monito del commissario europeo Viviane Reding, che ha minacciato conseguenze sui negoziati tra USA e UE per il mercato transatlantico (indicato dall'acronimo TTIP) che dovrebbe andare in vigore dal 2015.
A riconferma dell'inattendibilità di certe reboanti dichiarazioni di dignità offesa, ci ha pensato anche il presidente francese Hollande, il quale, mentre chiedeva una sospensione ("temporanea", per carità!) dei negoziati per TTIP, poi si calava completamente le brache nei confronti degli USA, giungendo all'atto folle ed inaudito di negare lo scalo all'areo del presidente boliviano Morales, nell'ipotesi che questi portasse con sé il ricercato Snowden; un gesto ostile che non va solo contro ogni regola del diritto internazionale, ma anche contro il semplice buonsenso.
Le parole della Reding e di Hollande sono risultate interessanti soltanto per un motivo, e cioè che hanno segnalato l'esistenza e l'importanza di un negoziato transatlantico di cui l'opinione pubblica europea non sapeva assolutamente nulla. I primi accenni in pubblico vi sono stati all'ultimo G8 tenutosi il 17-18 giugno in Irlanda del Nord, tanto da consentire al nostro Enrico Letta di citare la questione del TTIP nella sua conferenza stampa. Un po' tardi per venircelo a dire, dato che i negoziati sul TTIP erano cominciati nel 2007, anche se il trattato finale dovrebbe essere ratificato entro il 2015.
La questione del mercato transatlantico però non era mai stata affrontata nel dibattito politico, e tantomeno nelle campagne elettorali, a conferma del fatto che la politica è il luogo del futile e dell'intrattenimento. Magari, come fa la cancelliera Merkel, il proprio elettorato può essere usato come fantoccio e come alibi per decisioni già prese altrove. Ciò non vale soltanto per gli elettorati, ma anche per i parlamenti, che hanno solo una funzione di ratifica, come ha ulteriormente dimostrato la posizione del
Consiglio di Difesa a proposito del business dell'acquisto dei caccia F35, per il quale al parlamento italiano è stata negata la facoltà di immischiarsi.
La consapevolezza che la lotta politica ufficiale costituisca un rituale vuoto, o una messinscena, ha cominciato a farsi strada persino nel ceto politico tradizionale. In una recente
intervista l'ex segretario di Rifondazione Comunista, Fausto Bertinotti, ha denunciato la scomparsa della "sinistra", ed ha proposto una sua analisi della situazione europea, secondo la quale le "costituzioni materiali" degli eurocrati starebbero soppiantando le costituzioni antifasciste dei vari Stati.
Ad indiretto sostegno delle tesi di Bertinotti è giunto un
documento della mega-banca statunitense JP Morgan, nel quale si sostiene che in un'Europa integrata sarebbe urgente liberarsi delle Costituzioni antifasciste, con la loro zavorra di garanzie sociali.
Si può comprendere che a JP Morgan dia fastidio anche solo il suono della parola "antifascismo", ma il documento dei banchieri, nel suo lamento recriminatorio, sembra volutamente ignorare che le Costituzioni antifasciste hanno già recepito al loro interno dei corpi estranei come la norma sul pareggio obbligatorio di bilancio; oppure hanno consentito ai governi accordi come quello per il Meccanismo Europeo di Stabilità, il cui trattato istitutivo garantisce addirittura alla oligarchia finanziaria del MES un'assoluta immunità giudiziaria, cioè un tale grado di impunità legalizzata che il Buffone di Arcore non avrebbe osato immaginarsela neppure nei suoi sogni più pornografici.
Si ha quindi l'impressione che la sortita di JP Morgan abbia un obiettivo di psicoguerra, cioè di indicare alle opposizioni europee una sorta di falso rifugio, che in realtà si è rivelato molto permeabile ai bombardamenti. L'analisi di Bertinotti contiene infatti un punto debole abbastanza evidente, dato che la cosiddetta "eurocrazia" non si fonda su "costituzioni materiali", bensì su istituti costituzionalmente rilevanti, come sono i trattati internazionali. Se oggi il negoziato per il trattato TTIP lo conduce Bruxelles e non Roma, non è per un abuso improvvisato, ma in virtù dei Trattati di Maastricht e di Lisbona.
La sinistra, come soggetto politico, è effettivamente scomparsa, ma come area di opinione oggi si aggrega attorno a dei feticismi come quello per la nostra "bellissima Costituzione". Non si considera che la nostra Carta Costituzionale forse nelle intenzioni sarebbe anche "antifascista", ma si riferisce strettamente ai fascismi del passato, e nulla ha da dire sul nuovo superfascismo dei trattati internazionali. Anzi, l'articolo 75 della Costituzione pone addirittura i trattati internazionali al riparo dai rischi di referendum abrogativo.
Il fatto che si sia strutturato da tempo un articolato dominio transnazionale in forma di trattati ed organismi sovranazionali, costituisce ormai un'evidenza, ma l'opinione di sinistra continua a basarsi su un internazionalismo astratto, che non riesce ad andare oltre la categoria di solidarietà. Questo è il motivo per il quale la solidarietà dell'opinione di sinistra può essere agevolmente abbindolata e fagocitata dallo spettacolo di "rivoluzioni colorate", stranamente dirette sempre e solo contro i loro poteri interni, come se il dominio transnazionale non esistesse per niente.
Le Costituzioni "antifasciste" non sono solo i bersagli di questa situazione, ma hanno dei risvolti ideologici che consentono parecchie stranezze. Una ventina di anni fa la tresca tra capitalismo privato e denaro pubblico era ancora uno di quegli orribili segreti di famiglia così ben custoditi che ad osare di svelarli si passava per farneticatori. Oggi invece è davanti agli occhi di tutti che il salvataggio delle banche private operato dalla Unione Europea costa ai contribuenti molto di più di una loro nazionalizzazione.
Allo stesso modo, le SpA una volta si giustificavano come mezzo per raccogliere risparmio da destinare agli investimenti produttivi. Attualmente non c'è più bisogno di alimentare questa mitologia, ma tutti sanno che le SpA non fanno investimenti, ma distribuiscono solo dividendi e, pur di farlo, sono prontissime a distruggere posti di lavoro. Gli "investimenti produttivi" li si pretende dai governi e dalla spesa pubblica; ma anche qui le cose non vanno lisce, poiché, ad esempio, i fondi pubblici che la UE destina alle imprese servono per finanziare le delocalizzazioni, col pretesto dello "sviluppo regionale". In anni di denunce a riguardo da parte di parlamentari europei, la Commissione Europea ha pubblicato varie
"linee guida" che avrebbero dovuto impedire le delocalizzazioni. Le ultime sono del giugno del 2013; ma il fatto che queste "gride" si ripetano, indica che il dato permane, e che non lo si vuole sostanzialmente modificare.
Il cosiddetto "capitalismo" si basa quindi non solo sullo sfruttamento del lavoro, ma anche sul saccheggio della spesa pubblica. L'operaio è spremuto due volte, non solo come lavoratore, ma anche come contribuente; e le tasse che paga, vanno a finanziare non i servizi pubblici, ma la perdita del suo posto di lavoro.
Eppure il rancore sociale viene facilmente indirizzato contro i pensionati, gli statali, i Meridionali, i "falsinvalidi", e si alimenta l'odio generazionale, narrando la fiaba di un Paese che ha vissuto al di sopra dei propri mezzi facendo debiti scaricati sulle future generazioni. La corruzione e l'evasione fiscale vengono additate come nostri vizi nazionali, perciò rappresenterebbero una vergogna da superare accedendo alle virtù della civilizzazione europea. Che poi la gran massa dell'evasione e dell'elusione fiscale sia da addebitare alle multinazionali, e che questa frode sia legalizzata da una legislazione internazionale che consente il riciclaggio tramite il no profit delle fondazioni private, tutto questo rimane un dettaglio insignificante. E c'è anche di peggio: una volta i paradisi fiscali erano loschi Paesi caraibici, mentre adesso ad offrire tassazioni privilegiate sono "irreprensibili e virtuosi"
Paesi nord-europei come l'Austria.
Nel 1947, durante i lavori della Assemblea Costituente, il filosofo Benedetto Croce affermò che il fascismo continuava nell'antifascismo, poiché questo aveva recepito il nucleo più autentico del fascismo stesso, cioè la denigrazione dell'Italia e della sua Storia. Il fascismo non rappresentava un senso esasperato di dignità nazionale, ma una forma di auto-razzismo e di auto-colonialismo, cioè l'idea che i popoli siano materia bruta da plasmare per finalità superiori. Ancora adesso per un fascista non è che Mussolini abbia fregato gli Italiani, ma sono stati gli Italiani a non dimostrarsi degni di avere un capo come Mussolini. Il Duce spinse l'Italia a scelte folli pur di renderla degna di assidersi al banchetto coloniale insieme con i popoli superiori del Nord Europa. Chissà perché, ma questo complesso d'inferiorità del Duce ricorda molto una decisione assurda come aderire alla moneta unica pur di non rimanere esclusi dal "paradiso" europeo.
Secondo il falso antifascismo recepito dalle nostre Costituzioni, invece le minacce per la libertà provengono sempre dall'interno, dal "nazionalismo" e dal "dittatore". Sono premesse dalle quali i sillogismi vengono automatici: Gheddafi era un "dittatore", quindi era il Male (un "mascalzone", secondo quella cima di Pietro Ingrao), la NATO invece è un'organizzazione internazionale, quindi è il Bene. E così via. Se la Grecia fosse così devastata da un "dittatore", allora sarebbe nostro dovere indignarci ed essere solidali; ma visto che la Grecia è sotto il dominio del Fondo Monetario Internazionale, allora si può far finta di niente.