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"L'abolizione dello Stato e del diritto giuridico avrà necessariamente per effetto l'abolizione della proprietà privata e della famiglia giuridica fondata su questa proprietà."

Programma della Federazione Slava, 1872
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 10/06/2010 @ 01:47:24, in Commentario 2010, linkato 2610 volte)
La crisi finanziaria ungherese esplosa nell’ultima settimana ha determinato i soliti prevedibili commenti degli opinionisti ufficiali, i quali hanno attribuito tutta la colpa di ciò che accade agli Ungheresi, responsabili di aver preteso di accedere al capitalismo puro e duro trascinandosi dietro anche i bassi livelli di produttività e le eccessive garanzie sociali del vecchio regime socialista. Anche la ripetizione continua del dogma propagandistico sui presunti bassi livelli di produttività del socialismo reale, serve poi ad accreditare il luogo comune secondo cui il comunismo dell'Est sarebbe crollato per inefficienza economica, invece che per le subdole aspirazioni affaristiche delle sue nomenklature; il messaggio è quindi che non ci siano alternative al sedicente e mitologico "Mercato", spacciato come giustiziere e vendicatore per i "peccati" passati, presenti e futuri. La fiaba moralistica del Paese finito male perché “pretendeva di vivere al di sopra dei suoi mezzi” funziona sempre per i media, poiché, almeno all’inizio, l’opinione pubblica risulta vulnerabile agli slogan colpevolizzanti.
D'altra parte, l’Ungheria non si trova neppure nella “zona euro”, e non perché non sia stata ritenuta degna di entrarci, ma proprio perché i suoi governi non l’hanno mai richiesto, quindi le spiegazioni ufficiali sulla crisi finanziaria ungherese si arrampicano sugli specchi e mettono in evidenza che ci deve essere dell’altro di cui non si può parlare.
Nessun commentatore ufficiale ha infatti notato il nesso esistente tra l’Ungheria e l’altro protagonista delle vicende mediatiche dell’ultima settimana, cioè Israele. Il 17 maggio ultimo scorso Budapest è stata infatti oggetto di un sorvolo illegale a bassa quota da parte di jet militari israeliani. La notizia del sorvolo illegale israeliano su Budapest, e delle conseguenti proteste diplomatiche ungheresi a riguardo, è stata rilanciata a suo tempo dalla agenzia ANSA, ma non risulta che giornali o telegiornali italiani l’abbiano mai diffusa; sebbene un sorvolo illegale non sul solito Libano o sulla solita Siria, bensì su un Paese dell'Europa Orientale, costituisse uno scoop che una "libera informazione" non avrebbe dovuto lasciarsi sfuggire.
I giornali israeliani hanno invece ammesso il fatto, affermando che si trattava di un sorvolo “di routine” su Paesi dell’Est Europa, un sorvolo senza scalo in aeroporti europei. Vista la distanza tra Israele e l’Ungheria, se ne ricava o che i jet militari israeliani possiedono un’autonomia di volo preclusa a qualsiasi altro aeroplano esistente, oppure che la circostanza del volo senza scalo sia una spudorata balla. I giornali israeliani non si sono neppure sentiti in dovere di spiegare il perché di questi voli “di routine” in zone così lontane da Israele.
Qualcuno ha sospettato che in realtà i jet militari israeliani si siano serviti di vari aeroporti militari statunitensi o NATO nell’Europa dell’Est, compreso l’aeroporto militare della città ungherese di Papa, dove una base strategica NATO si è insediata dal 2007. Finché non si trova una spiegazione tecnica alternativa, più che di un sospetto, si tratta dell’unica ipotesi possibile. Quindi Israele in questi ultimi mesi ha effettuato due azioni ostili contro due diversi Paesi appartenenti alla NATO, Ungheria e Turchia; almeno nel caso ungherese, le stesse strutture NATO sono state utilizzate contro un Paese membro della NATO.
Secondo la stampa sionista in Ungheria vi sarebbe un’insorgenza antisemita alimentata dalla psicosi provocata da alcune battute del presidente israeliano Shimon Peres, il quale si complimentava con gli agenti immobiliari israeliani per la quantità di patrimoni immobiliari che erano riusciti ad arraffare a Manhattan, in Polonia, in Romania ed in Ungheria. Il video con queste frasi di Peres circola da anni su YouTube. I sionisti hanno commentato sarcasticamente questa circostanza dicendo che chi manca d’intelligenza non può capire quelle che sono semplici battute di spirito.
Certo, Peres nella sua lunga vita ha sempre molto sofferto per questo suo eccesso di intelligenza, che spesso lo ha consegnato alla triste sorte del genio incompreso. Nel suo famoso incontro con Roberto Saviano dello scorso anno, egli affidò al giovane scrittore una di queste sue incomparabili perle di saggezza, secondo la quale il segreto per avere coraggio sarebbe quello di non avere paura. Non c’è dubbio che Saviano sia uscito molto edificato da questa lezione morale, ma è invece molto dubbio che le vere preoccupazioni degli Ungheresi derivino davvero dall’aver ascoltato le stupidaggini di Peres. Neppure l'antisemitismo ungherese può essere usato per spiegare tutto.
La realtà è infatti che truppe israeliane sono presenti già da anni sul territorio ungherese per garantire la “sicurezza” dei beni immobiliari acquisiti dalle compagnie israelo-americane, ed è questo macroscopico dettaglio a determinare in Ungheria la “psicosi” di cui parlano i sionisti. Queste truppe israeliane inoltre non potrebbero essersi insediate in Ungheria senza un appoggio logistico della NATO.
Č vero anche che l’Ungheria - che tra l'altro è il Paese di Theodore Herzl, il fondatore del sionismo - ha alle spalle una lunga storia di antisemitismo, di cui ci si era “dimenticati” per le esigenze propagandistiche della Guerra Fredda. Nel corso della seconda guerra mondiale l'Ungheria era retta da un regime parafascista alleato della Germania e dell'Italia, e le truppe ungheresi parteciparono in grande stile all'Operazione Barbarossa, cioè l'invasione dell'URSS nel 1941. In posizione spesso conflittuale con questo regime fascistoide, operava in Ungheria anche un partito neonazista paramilitare, detto delle Croci Frecciate, che nel 1935 arrivò ad ottenere il 25% dei voti, e che nel 1944 fu insediato al governo dai Tedeschi. Rispetto alla rivolta d'Ungheria del 1956, perciò non fu realistico ritenere che i nazifascisti non vi svolgessero alcun ruolo; ma la propaganda occidentale preferì, ovviamente, sorvolare sul particolare. Il corrispondente italiano dall’Ungheria più prestigioso, Indro Montanelli, si soffermò soprattutto sulla descrizione dell’opposizione “da sinistra” all’URSS, poiché ciò avrebbe contribuito maggiormente a mettere in crisi le coscienze dei comunisti italiani ed europei.
Dopo il crollo dei regimi del “Socialismo Reale”, improvvisamente la propaganda “occidentale” e sionista si è "ricordata" del nazifascismo ungherese e, a questo scopo, ha dissepolto e strumentalizzato vicende come quelle di Giorgio Perlasca. A questo punto può essere facile per la propaganda occidental-sionista liquidare i malumori ungheresi per la spoliazione del loro territorio come insorgenze antisemite, ed è strano che poche settimane prima delle elezioni politiche in Ungheria gli Israeliani abbiano sentito il bisogno di dare una mano alla propaganda antisemita del partitino neonazista ungherese con quel minaccioso sorvolo illegale su Budapest.
Sta di fatto però che il risultato più clamoroso delle recenti elezioni ungheresi sia stato l’astensionismo della metà circa dell’elettorato, perciò anche il 15% del partito neonazista si riduce alla metà del voto effettivo; ed in quale Paese non c’è un 7-8% di fascisti?
L'antisemitismo scompare e riappare nella propaganda "occidentale" a seconda delle convenienze affaristiche, infatti anche il cattolicesimo ungherese fu santificato durante la Guerra Fredda, ed il cardinale ungherese Mindszenty, imputato nel 1948 in un processo staliniano, divenne un’icona mondiale dell’anticomunismo. Adesso però, guarda caso, la propaganda occidental-sionista si va a ricordare, oltre che della pedofilia dei preti, anche delle compromissioni della Chiesa ungherese con il nazismo e l’antisemitismo; proprio ora che la Chiesa vorrebbe rientrare in possesso dei suoi antichi patrimoni immobiliari (praticamente mezza Ungheria), che erano stati nazionalizzati dal regime comunista. La “crisi finanziaria” offrirà al governo ungherese il pretesto per cedere ai privati altre quote del Demanio dello Stato, e questi privati saranno ancora una volta delle multinazionali americo-sioniste; ma, dato che la NATO funziona come una cordata affaristica, non è da escludere che al business si siano agganciate anche multinazionali tedesche e persino italiane.
La NATO non è quell'alleanza militare che sembra e che dice di essere, ma consiste in una vera multinazionale dei traffici illegali ed in un veicolo di colonizzazione dei Paesi "alleati" degli Stati Uniti. Ciò potrebbe valere anche per il sionismo. Un vecchio documento, reperito dal giornalista de "Il Messaggero" Eric Salerno, dimostra infatti che nel 1948, anno della nascita dello Stato di Israele, nella guerra contro gli Arabi, il sionismo utilizzava mercenari non ebrei. Si tratta di un rapporto dei Carabinieri di stanza presso il Consolato italiano in Palestina, da cui risulta che nel 1948 anche mercenari italiani, di religione cattolica, erano stati reclutati per combattere nel neonato esercito israeliano.
 
Di comidad (del 17/06/2010 @ 00:09:47, in Commentario 2010, linkato 1678 volte)
L'ultima settimana ci ha regalato lo spettacolo di Giulio Tremonti in un'altra delle sue tante personalità multiple, stavolta presentandocelo in versione iperglobal e ultraliberista, tanto da considerare la Costituzione come "zavorra" di cui liberarsi in epoca di globalizzazione; in particolare sarebbe necessario disfarsi dell'articolo 41, reo - a suo dire - di mortificare la libertà individuale dell'imprenditore. I commenti alla sortita di Tremonti hanno avuto facile gioco nell'osservare che in effetti l'articolo 41 non limita un bel nulla, semmai limita se stesso a lanciare dei richiami astratti e puramente di principio alla responsabilità sociale dell'iniziativa privata, rimandando il tutto alla legislazione applicativa. Il segretario del Partito Democratico, Bersani, che di "deregolamentazioni" se ne intende, ha detto che l'articolo 41 consente praticamente tutto in fatto di legislazione sull'impresa.
Non si tratta però, come è stato ipotizzato da alcune parti, di un semplice diversivo propagandistico. L'obiettivo del governo, ancora una volta, non è di riformare la Costituzione, ma semplicemente di delegittimare totalmente quella in vigore, in modo da determinare ciò che, in termini tecnici, si definisce "colpo di Stato strisciante". L'uguaglianza davanti alla legge, la responsabilità sociale dell'impresa non devono essere solo degli ideali astratti, ma addirittura considerati bestemmie.
L'ennesima uscita di Tremonti aveva l'evidente scopo di venire in soccorso di un'analoga dichiarazione di Berlusconi di qualche giorno prima, che tentava di tirare la Confindustria nelle sue pratiche di affossamento dell'attuale ordinamento costituzionale; anzi, si può dire che sia stato Berlusconi a sposare in tutto e per tutto il repertorio eversivo della associazione padronale. Anche la Confindustria può rivendicare infatti una sua antica e gloriosa tradizione di golpismo strisciante, ed alcuni ricordano ancora le dichiarazioni della buonanima di Felice Mortillaro, presidente di Federmeccanica e ideologo dell'impresa privata negli anni '80, un nemico giurato dell'uguaglianza, che propugnava la linea secondo cui in fabbrica la Costituzione non può valere. Poco prima di morire nel 1995, Mortillaro ebbe però l'onore di essere nominato manager pubblico dell'azienda di trasporti di Roma dall'allora sindaco Rutelli, a dimostrazione che il golpismo strisciante della Confindustria ha sempre avuto dei seguaci trasversali. Distratti dalle dichiarazioni di Tremonti, i commentatori non hanno però fatto caso a dove siano state pronunciate, cioè nel corso di una festa nazionale del sindacato CISL. I cronisti avevano infatti riferito anche dell'entusiasmo della platea sindacale, che si è spellata le mani dagli applausi di fronte alle tesi golpiste del ministro dell'Economia, a ulteriore conferma del dato che ormai il golpismo strisciante è divenuto una sorta di senso comune trasversale.
Nei giorni successivi Tremonti ha rincarato la dose, attribuendo al ricatto dell'Amministratore Delegato della FIAT, Marchionne, sullo stabilimento di Pomigliano d'Arco il valore di un "nuovo modello di relazioni industriali", in cui l'imprenditore si pone come gestore unico della relazione, esattamente come avviene nelle rapine: o la borsa o la vita. Stranamente, proprio dopo questa ulteriore dichiarazione golpista da parte di colui che oggi è di fatto il massimo esponente del governo, la CGIL ha aderito all'ipotesi-Marchionne isolando definitivamente la FIOM. La contraddizione della posizione del segretario della CGIL Epifani appare evidente, poiché è inutile dire che è prioritario l'obiettivo dell'occupazione quando il governo ha appena riconosciuto all'azienda un potere assoluto, che finisce di fatto per comprendere anche la possibilità di non rispettare più l'accordo con un pretesto qualsiasi.
Il ricatto è infatti un "contratto" criminale, che vincola solo uno dei due contraenti, quello che è sotto ricatto; perciò nel momento in cui si accetta che degli operai siano tenuti in ostaggio dall'azienda, si va di conseguenza ad accettare l'eventualità che vengano uccisi anche dopo il pagamento del riscatto. Dato che il governo ha abbandonato ogni residua ipocrisia di neutralità in materia di vertenze di lavoro, Marchionne ha automaticamente il via libera per ritirarsi non appena gli faccia comodo. Marchionne è diventato così un criminale autorizzato, e potrà inventarsi qualsiasi scusa, visto che ha acquisito il privilegio esclusivo di essere creduto sulla parola. Non a caso i media hanno ripreso i dati aziendali sui presunti livelli record di assenteismo allo stabilimento di Pomigliano senza preoccuparsi di verificarli nemmeno un po': basta la parola, se è quella di Marchionne. Inoltre si tratta di operai napoletani, quindi per calunniarli non sarebbe necessario comunque l'onere della prova.
In una situazione del genere, Epifani avrebbe potuto tranquillamente dire: è un ricatto, siamo in condizione di debolezza, e quindi siamo costretti a calarci le brache. Invece Epifani ha voluto continuare a fingere di fare il sindacalista anche in epoca di ricatto assoluto e di golpe istituzionalizzato, con ciò credendo forse di rabbonire il padronato, ma invece facendo solo capire che ha così tanta paura da aver persino paura di ammetterlo. E cos'altro ci vuole per eccitare ancora di più dei criminali?
Nel caso in cui il risultato di un referendum fra gli operai di Pomigliano accettasse di subire il ricatto, si può essere certi che non mancherebbero le solite retoriche reprimende antioperaie sulla incapacità di ribellarsi da parte degli oppressi, che così diventerebbero complici della loro oppressione. Oggi il mestiere dei dirigenti e degli intellettuali di sinistra si riduce ad escogitare il modo di dare sempre la colpa ai poveri. Uno come Nichi Vendola si sta costruendo un prestigio personale grazie a discorsi astratti e fumosi sulla necessità di inventare un nuovo linguaggio per la sinistra. In effetti non ci sarebbe bisogno di inventare nulla, ma basterebbe smetterla di fare propaganda a favore del padronato.
Quando il segretario della FIOM, Cremaschi, ha avuto l'occasione di parlare a Repubblica Radio-TV, non ha trovato di meglio che prendersela con la Cina; in realtà non ce l'hanno imposto la Cina o la Russia o l'Iran di abolire le garanzie dei lavoratori e il diritto di sciopero, ma fa parte delle direttive che il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato nei suoi documenti ufficiali. Nel momento in cui Berlusconi e Tremonti adottano in tutto e per tutto la propaganda eversiva e golpista della Confindustria, il segretario del PD Bersani ha rivolto un appello alle altre forze politiche per difendersi dal pericolo di una "deriva populista"; come se la colpa di Berlusconi fosse quella di andare troppo incontro al popolo.
Il prete guerrafondaio Gianni Baget Bozzo - anche lui buonanima - sosteneva che Berlusconi rappresentava il vendicatore dei "poveri di spirito", una rivalsa degli ignoranti contro i "ricchi di cultura". In soccorso degli slogan di Baget Bozzo, è arrivato il professor Tullio De Mauro pubblicando delle ricerche da cui risulterebbe che oggi i due terzi degli Italiani sarebbero analfabeti o analfabeti di ritorno. Ecco spiegato il regime berlusconiano: la colpa sarebbe degli analfabeti che si istupidiscono davanti al video.
In realtà la cultura non deve essere servita molto a Tullio De Mauro, dato che quando fu ministro della Pubblica Istruzione umiliava gli insegnanti avanzando proposte demenziali come quella di istituire una lotteria in modo da reperire i fondi per aumentarne stipendi. In effetti i "ricchi di cultura", cioè gli insegnanti, risultano davvero essere in grande maggioranza antiberlusconiani, ed oggi si ritrovano gli stipendi bloccati dal governo. Il fatto che sia gli insegnanti, sia l'istruzione pubblica, si trovino pesantemente sotto tiro, non significa però che la Scuola abbia perso la sua funzione istituzionale di riproduzione dell'ideologia dominante.
Gli insegnanti sono stati da tempo privati di fatto del diritto di sciopero, perciò potrebbero ripiegare almeno sullo sciopero rispetto alla loro funzione di propagandisti, rifiutandosi di diffondere gratuitamente l'anticomunismo ed il culto dei privilegi dei ricchi. Per un anno gli insegnanti di Inglese potrebbero evitare di far studiare la "Fattoria degli Animali" di Orwell; oppure gli insegnanti di Storia, per un anno, invece di parlare del Gulag sovietico, potrebbero dedicare il programma al gulag statunitense, che negli anni '30 già c'era, ma anche oggi è più vivo che mai. Si potrebbero sospendere anche i progetti di "Educazione alla Legalità", quindi per un anno niente articoli e conferenze di Roberto Saviano che ci narra la fiaba di come la Confindustria rappresenti la parte sana della nazione e la punta di diamante della lotta al crimine organizzato.
A sostegno degli operai di Pomigliano, ostaggi del ricatto padronale, ognuno potrebbe fare, se non proprio uno sciopero, almeno questo piccolo fioretto: astenersi per un po' dal diffondere propaganda filo-padronale.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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