Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Le dichiarazioni del Presidente Sergio Mattarella di lunedì ultimo scorso hanno dimostrato ancora una volta come si possano “guidare” le consultazioni per il nuovo governo attraverso il copione dei “mandati esplorativi”, già collaudato da Giorgio Napolitano nella scorsa legislatura. Se Mattarella avesse immediatamente attribuito l’incarico dapprima a Salvini e poi eventualmente a Di Maio, essi avrebbero potuto acquisire credibilità per quel minimo di fatto compiuto che l’incarico costituiva. Non c’era inoltre nulla di incostituzionale nel consentire a governi minoritari di presentarsi in parlamento a cercare voti; anzi, sarebbe stata questa la logica di una repubblica parlamentare.
Anche nel caso di fallimento di entrambi i presidenti incaricati, il tutto si sarebbe consumato in un lasso di tempo tale da consentire di indire le nuove elezioni entro giugno. Ma è molto improbabile che un parlamento direttamente interpellato si sarebbe messo nelle condizioni di farsi sciogliere appena insediato.
La tattica delegittimante di Mattarella, condita da perdite di tempo con il pretesto di dare tempo ai partiti, ha creato artificiosamente una situazione di emergenza, tenendo il parlamento sotto il ricatto di elezioni in estate e dell’urgenza di una legge finanziaria che debba scongiurare l’aumento automatico dell’IVA a gennaio. In tal modo la soluzione di un “governo del Presidente”, di un “governo di garanzia” rischia di incombere come ineludibile, con i soliti media maistream ad applaudire ed incensare il monarca di turno.
Per scongiurare la prospettiva di un nuovo governo “tecnico”, Salvini e Di Maio invece di contestare a Mattarella il suo extraparlamentarismo, si sono ridotti a supplicarlo di concedere ancora ventiquattro ore di tempo per affannarsi a rincorrere un accordo. Ciò conferma il dato di fatto: per tacitare e neutralizzare i feticci del “voto democratico” e della sovranità del parlamento, è ogni volta sufficiente agitare un’emergenza.
La delegittimazione è dunque la via maestra per condurre ad un colpo di mano istituzionale, peraltro ammantato di stato di necessità e di senso di responsabilità. La delegittimazione diventa la forma del dominio per giustificare la deroga sistematica dalle norme. Non è un caso che l’Italia sia vissuta per più di trenta anni sotto la presunta urgenza di una revisione costituzionale, che ha raggiunto comunque lo scopo di delegittimare la Costituzione vigente, trasformando di fatto la repubblica parlamentare in repubblica presidenziale, anzi, in monarchia: una sorta di vicereame che dispone del Paese in nome della NATO e della UE. Nell’assumere il suo secondo mandato presidenziale, Giorgio Napolitano era arrivato ad un grado tale di faccia tosta da consentirgli di giurare su una Costituzione che egli stesso, nello stesso momento, imponeva al parlamento di cambiare. Tanto valeva che Napolitano giurasse su stesso, sulla sua sacra persona, mettendosi in testa la corona da solo come Napoleone.
Mattarella ha fatto tesoro di quella lezione, con il “pregio” in più di perseguire i suoi scopi tenendo un basso profilo ed uno stile dimesso che disarma le eventuali critiche o le fa apparire come dettate da mancato rispetto delle prerogative presidenziali.
Mattarella ha paragonato se stesso ad un arbitro, ma il suo “arbitrato” è consistito soprattutto nel tagliare fuori dalle decisioni l’organo costituzionale fondamentale, cioè il parlamento. La repubblica parlamentare è stata liquidata, ma nessuno se ne accorge, mentre lo strapotere della Presidenza della Repubblica viene dato per scontato e persino spacciato per “saggezza”.
Si può certamente denunciare il dilettantismo dei partiti, la cialtroneria di Di Maio, la subordinazione di Salvini ai patti stabiliti a suo tempo da Bossi, patti che vincolavano finanziariamente la Lega al Buffone di Arcore. Ma tutto ciò rientra nelle miserie umane, non nel colpo di Stato. Del resto le miserie umane trovano spesso il loro rimedio in altre miserie umane ed invece a Salvini è stato negato ciò che era stato già impedito a Bersani nel 2013, cioè presentarsi ad un parlamento preoccupato di sopravvivere per provare a spaccare i 5 Stelle. Invece ora i voti dei 5 Stelle potrebbero ancora una volta essere confinati nel limbo della pseudo-purezza. lasciando il governo a chi sa già benissimo cosa fare.
Mattarella infatti ha praticamente dettato l’agenda del prossimo governo, quale che sia, dando per scontato che si debba arrivare ad un aggiustamento di bilancio che scongiuri l’aumento dell’IVA. In realtà l’aumento dell’IVA dovrebbe essere comunque deciso da un governo e questo potrebbe anche ritenere che sia preferibile incorrere nella procedura d’infrazione comunitaria, certamente più gestibile economicamente di un aumento dell’IVA. Le clausole di salvaguardia, inaugurate nel 2011 da un Buffone di Arcore deciso a calarsi le brache di fronte alla UE pur di salvare il proprio governo, furono decise da una legge ed un’altra legge potrebbe abolirle. (2)
Si tratterebbe di una decisione politica e non certo della violazione di un dettato divino. Il “governo di garanzia” ci garantirebbe invece un altro periodo di dittatura europea. La posta in gioco probabilmente non è neppure il salvataggio dell’euro, ma semplicemente far arrivare l’Italia all’appuntamento dell’implosione della moneta unica del tutto disarmata e pienamente disponibile a pagare il conto per Francia e Germania, come è già accaduto nel 2011.
Una delle discussioni che hanno segnato l’ultimo mese ha riguardato la violenza scolastica. In particolare hanno suscitato polemiche le affermazioni del giornalista Michele Serra, il quale ha individuato nell’incultura del “popolo” una delle cause principali delle continue aggressioni agli insegnanti. Prima di stabilire se le tesi di Serra siano classiste o razziste, di destra o di sinistra, si tratta di capire se esse abbiano o meno un fondamento nei dati di fatto; e non ce l’hanno.
L’errore di metodo sta nel delimitare l’aggressione contro gli insegnanti nello stretto ambito della violenza fisica, mentre c’è anche la violenza morale e psicologica. Una famiglia “colta” e privilegiata può infatti aggredire un docente senza ricorrere alle classiche vie di fatto ma con strumenti “civili” e “giuridici”. Vi è stato infatti anche il caso di un insegnante querelato per diffamazione per aver trascritto una nota disciplinare sul registro elettronico. Sebbene la famiglia querelante non sia riuscita ad ottenere una sentenza favorevole in tribunale, l’effetto intimidatorio nei confronti del docente è stato raggiunto ugualmente, poiché gli sono state procurate ansie, insonnie e spese legali, solo in parte compensate dalla sentenza finale. Il blog Orizzonte Scuola, che riporta la notizia, conclude seraficamente sull’opportunità per tutti i docenti italiani di assicurarsi contro questo tipo di “infortuni”, come già fanno i docenti francesi.
A parte che non è una grande consolazione sapere che anche in Francia l’istruzione pubblica è allo sbando, con l’invito ad assicurarsi arriviamo al vero scopo dell’attuale delegittimazione dell’istituzione scolastica pubblica, cioè trasformarla in una vacca da mungere, in un’occasione di business da parte di imprese private. Oggi la Scuola già versa il suo obolo non solo alle assicurazioni private, ma anche alle aziende private in nome della “alternanza Scuola-lavoro”, alle banche private in nome della “educazione finanziaria”, ad un’agenzia privata come l’Invalsi in nome della valutazione degli studenti, a multinazionali come la IBM per “formare” i Dirigenti, cioè per trasformarli in lobbisti, più o meno consapevoli dell’interesse privato. Il privato si pone come tutore di una Scuola pubblica appositamente delegittimata e, per questa tutela, ovviamente si fa pagare.
È stato trascurato anche un altro dato di fatto che avrebbe dovuto far scorgere l’entità di questa delegittimazione. Il noto episodio del docente aggredito a testate da uno studente col casco, è venuto alla luce solo perché gli stessi studenti hanno lanciato in rete dei video in cui illustravano e celebravano la propria impresa. Senza questa ingenuità da parte degli studenti, l’episodio si sarebbe consumato come tanti altri nei consueti rituali scolastici, cioè un’istruttoria del Dirigente Scolastico il quale avrebbe constatato che si trattava della parola di un unico docente contro quella di più studenti, che avrebbero buon gioco a far passare l’insegnante per pazzo. Per questo molti docenti non segnalano gli episodi di violenza che li colpiscono, in modo da non incorrere in ulteriori persecuzioni da parte del Dirigente.
Non è neppure da escludere che, persino in questo caso plateale, prima o poi si ricorra al solito mantra secondo cui è sempre il docente ad aggredire per primo, per cui le violenze studentesche diventerebbero una mera reazione. Quella del docente è una figura, per definizione e condizione, facilmente “calunniabile”. In un libro pubblicato nel 1890, “Il Romanzo di un Maestro”, lo scrittore e giornalista Edmondo De Amicis descriveva realisticamente la condizione della Scuola pubblica, in modo del tutto diverso dalla rappresentazione melensa ed oleografica dell’altro suo romanzo più noto, “Cuore”. De Amicis illustrava come i maestri fossero sistematicamente fatti bersaglio da parte di un’opinione pubblica ostile, appositamente montata e manovrata allo scopo di utilizzare la Scuola pubblica per scopi diversi da quelli istituzionali. De Amicis riferiva persino di casi di sfruttamento sessuale delle maestre, un fenomeno che la Legge 107/2015 ha rilanciato con lo strumento della chiamata diretta da parte dei Dirigenti.
Sino a venti anni fa se si chiedeva ad uno studente perché venisse a Scuola, spesso la risposta era: “Per sfottere gli insegnanti”. Oggi la risposta è cambiata e molti studenti dichiarano apertamente che il loro obbiettivo è quello di far licenziare qualche insegnante; in questo essi si trovano in oggettiva convergenza ed alleanza con Dirigenti Scolastici formati in corsi di management gestiti da multinazionali e con un’opinione pubblica che è stata nei decenni aizzata dai media contro la figura del docente.
Sul blog del solito Pietro Ichino un Dirigente afferma che la Scuola va in malora perché i Dirigenti non detengono gli strumenti normativi per licenziare i docenti fannulloni. Ecco il consueto rovesciamento propagandistico della realtà messo in campo dal lobbying del privato.
I docenti più colpiti dal mobbing dirigenziale sono infatti i più attaccati al loro lavoro e quelli che cercano di innalzare la qualità dell’istruzione, entrando ovviamente in conflitto con studenti e famiglie. Nella Scuola più si cerca di lavorare e più si rischia il peggio, perciò meno zelo nella didattica rende la vita molto più tranquilla. I Dirigenti rivendicano ancora altri poteri con il pretesto di colpire i fannulloni ma, in realtà, per mettere sulla graticola quei docenti che non si rassegnano a fare da accompagnatori per l’alternanza Scuola-lavoro o a fare da carne per il business dei corsi di formazione, ma vorrebbero semplicemente insegnare.
Purtroppo anche molti dei docenti rimasti più fedeli alla propria funzione si trovano comunque in stato confusionale, dato che hanno accolto acriticamente la nuova didattica per “competenze”, senza coglierne l’operazione ideologica retrostante, funzionale ad asservire la Scuola alle imprese.
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