Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Il tentativo di genocidio perpetrato dal governo israeliano nei confronti della popolazione di Gaza, si segnala non solo per la efferatezza con cui è compiuto, ma anche per la pretesa di interpretare la parte della vittima e di agire per legittima difesa contro presunti lanci di missili da parte di Hamas. L’esistenza di tali missili viene infatti accreditata unicamente in base ai comunicati ufficiali di Israele, dato che per legge sul territorio israeliano nessun giornalista può cercare di reperire in proprio alcuna notizia che abbia un risvolto militare; quindi nessuna notizia può essere autonomamente raccolta, neppure da personale ufficialmente autorizzato, come dimostra la vicenda degli osservatori dell’ONU uccisi nel 2006 dall’esercito israeliano, senza peraltro suscitare neppure una protesta internazionale.
Il clima mediatico e diplomatico è, come sempre, assolutamente compatto attorno alle posizioni israeliane, ma ciò non impedisce, come al solito, che una serie di commentatori filo-israeliani denuncino, con zelo inquisitorio, un atteggiamento ostile nei confronti di Israele.
Alcuni giornali non hanno esitato a contrapporre la situazione dei Palestinesi della Cisgiordania, che sarebbero grassi e felici grazie al loro presidente collaborazionista Abu Mazen, alla condizione misera dei Palestinesi di Gaza, che soffrirebbero la fame solo per la loro cattiveria che gli impedirebbe di riconoscere il diritto all’esistenza di Israele. Gli stessi giornali, appena qualche settimana fa, avevano invece riportato le rimostranze di Abu Mazen per il fatto che in Cisgiordania continuino gli insediamenti di coloni israeliani, che commettono ogni sorta di abuso e vessazione nei confronti della popolazione palestinese, con la attiva complicità dell’esercito israeliano.
In realtà Gaza - a dispetto dell’accerchiamento israeliano che impedisce i rifornimenti di cibo, acqua ed elettricità - ha rappresentato in questi anni un modello di comunità indipendente e solidale, dotata di un solido apparato di assistenza pubblica, che stride con le umiliazioni a cui sono sottoposti i Palestinesi della Cisgiordania, ed anche con quelle che devono da tempo subire gli stessi Israeliani poveri, ormai privi di ogni garanzia sociale.
Da questo punto di vista, il welfare di Hamas rappresenta un omologo di quello di Hezbollah e, come tale, costituisce una sfida ed un esempio pericoloso per il modello affaristico adottato da Israele su imitazione di quello americano. L’americanizzazione di Israele ha un suo corrispettivo in termini di occupazione territoriale statunitense, come indica la presenza di una base militare con bandiera a stelle e strisce a pochi chilometri dall’aeroporto Ben Gurion.
La situazione attuale di Gaza ha delle analogie con quella del luglio 2006, quando Israele invase per la terza volta il Libano. Anche allora le diplomazie e i media furono unanimi nell’attribuire la colpa di tutto ad Hezbollah, accusata senza prove di lanciare razzi e di rapire inermi soldati israeliani.
Rispetto al 2006, c’è però anche una differenza, e cioè che non si riscontra quel fiducioso trionfalismo che accompagnò l’invasione del Libano.
A proposito dei bombardamenti israeliani sul Libano, Condoleeza Rice parlò di “doglie del parto” per un nuovo Medio Oriente, mentre in Italia alcuni commentatori - come, ad esempio, Paolo Guzzanti - non esitarono a rendersi ridicoli lanciandosi in sperticate celebrazioni retoriche di una inesistente avanzata dell’esercito di David.
Stavolta, invece, ci sono altrettanta arroganza e altrettanta malafede, ma c’è molta meno sicumera, dato che la sconfitta del 2006 ha costituito il colpo definitivo al mito dell’onnipotenza israeliana, un mito che pure era riuscito a sopravvivere per decenni a varie smentite. I trionfalismi vanno bene finché si tratta di bombardare la popolazione civile, ma le incognite militari di una nuova occupazione israeliana di Gaza lasciano in sospeso anche i più accesi fra i commentatori filo-israeliani.
È tramontata infatti l’illusione di vincere le guerre con i soli bombardamenti, mentre è ormai acquisita la fine del primato tecnologico dei carri armati, che devono scontrarsi con una nuova generazione di missili portatili, relativamente poco costosi.
La retorica sugli “accordi di pace” che dovrebbero mettere fine al conflitto, copre una realtà ben diversa, in cui tutti gli Israeliani che avevano la possibilità economica di farlo se ne sono già andati; mentre gli Israeliani che arrivano devono essere sovvenzionati e “motivati” con cifre sempre maggiori; perciò, come nel caso dei famigerati “coloni israeliani”, si tratta di criminali comuni di origine etnica incerta, reclutati come mercenari.
È evidente che nessun “accordo di pace” sarà possibile, dato che l’esistenza di Israele si sostiene esclusivamente sulla minaccia alla sua sopravvivenza. Senza questa minaccia, senza la continua emergenza, cesserebbe anche la trasfusione di denaro che consente ad Israele di sopravvivere. Come da tempo vige un business dell’Olocausto, esiste ormai anche un business del timore del nuovo olocausto, che giustifica sempre nuovi finanziamenti ad Israele.
Non manca neppure un business della vendetta, così come ci è stato descritto da Steven Spielberg nel film “Munich”. Anche se il film voleva costituire una esercitazione di sionismo piagnone, mostrandoci degli assassini sionisti in crisi di coscienza, ha finito - forse involontariamente - per rivelare i termini del business della vendetta. Con il pretesto di dare la caccia ai componenti di Settembre Nero autori dell’attentato di Monaco durante le Olimpiadi del 1972, il servizio segreto israeliano, il Mossad, costituì dei gruppi di fuoco in Europa, fornendogli denaro per pagare le informazioni necessarie a reperire i loro bersagli.
Nel film risulta evidente che gli informatori percepivano cifre enormi solo per elargire a casaccio nomi di Palestinesi che con l’attentato non avevano nulla a che vedere; al che sorge l’ovvia deduzione che quei gruppi di fuoco venissero, a loro insaputa, usati dal Mossad per compiere una sorta di partita di giro: i soldi che il Mossad spendeva per ammazzare i terroristi - soldi che il governo israeliano aveva raccolto fra Ebrei di tutto il mondo -, ritornavano allo stesso Mossad tramite gli informatori, che non erano altro che dei loro emissari. Una truffa in piena regola, ai danni degli ingenui finanziatori della vendetta.
È chiaro che oggi in Israele l’ideologia della vendetta - di cui attualmente Gaza è vittima -, rappresenta la copertura di tutta una rete di loschi affari.
2 gennaio 2009
In questi giorni prosegue l’unanime e “spontaneo” moto di opinione pubblica per spingere alle dimissioni il sindaco di Napoli Jervolino e il suo protettore, il governatore della Campania Bassolino. Nessun commentatore ha sinora ricordato come, sino a poco più di dieci anni fa, Bassolino era il beniamino dei media, che avevano inventato a sua gloria un inesistente “rinascimento bassoliniano”; un rinascimento di cui era incaricato di cantare le lodi nel mondo anche Renzo Arbore, bravissimo e simpaticissimo uomo di spettacolo, ma anche, purtroppo, noto collaboratore di centrali statunitensi di psychological war.
Nell’ambito della guerra psicologica americana, Arbore aveva svolto parecchie operazioni importanti.
Ad esempio, a metà degli anni ’80, aveva confezionato uno spettacolo televisivo di enorme successo, “Quelli della Notte”, che costituì un contenitore non solo di propaganda anticomunista, ma anche di propaganda anti-araba ed anti-islamica. Il tutto veniva insinuato attraverso un’abile illusione di spontaneità e casualità: l’attore Maurizio Ferrini ridicolizzava in ogni puntata il personaggio di una sorta di comunista tipico - ottuso e conformista -, la cui battuta/tormentone era “non capisco ma mi adeguo”.
L’attore americano Andy Luotto si esercitava invece nella parodia di un arabo; una parodia che, a suo dire, egli fu costretto a sospendere a causa di minacce di morte da parte di alcuni sconosciuti di provenienza araba. Insomma, lo scherzo, il divertimento, la finta improvvisazione diventavano il veicolo di messaggi da fissare nella mente degli spettatori, che così si abituavano alle due equazioni: comunista uguale a stupido, arabo/islamico uguale a terrorista.
Perché negli anni ’90 un agente della psychological war statunitense come Arbore divenne il cantore delle virtù di Bassolino?
Semplicemente perché in quel periodo Bassolino, allora ancora sindaco di Napoli, stava indebitando il Comune di Napoli con fondi di investimento statunitensi, attraverso l’emissione di BOC, Buoni Ordinari del Comune. Il generoso finanziamento americano avrebbe consentito a Bassolino di rinnovare il parco autobus del Comune.
All’epoca tutta l’opinione pubblica venne convinta che questi crediti erano stati concessi per la fiducia che la personalità di Bassolino aveva saputo ispirare agli investitori statunitensi; mentre il vero motivo era un altro: la garanzia costituita dal patrimonio immobiliare di proprietà del Comune di Napoli, certamente tra i più preziosi al mondo.
Per la finanza americana i patrimoni immobiliari europei costituiscono una preda di notevole importanza, se si considera che invece negli Stati Uniti gran parte dei patrimoni immobiliari è soggetta a gravi problemi di deperimento: a causa delle tecniche di costruzione, la durata media di una casa americana è di pochi decenni, mentre anche i grattacieli diventano strutture sempre meno longeve, che richiedono periodici abbattimenti.
In questo contesto, appropriarsi dei terreni edificabili diventa l’unica solida garanzia.
Il sospetto che il crollo delle dighe di New Orleans sia stato provocato a bella posta, è motivato proprio dal fatto che grazie a quel crollo i vecchi quartieri popolari della città sono scomparsi, lasciando spazio all’arrivo delle immobiliari legate alla cosca Bush-Cheney.
Con la sua suprema saggezza, il nostro ministro dell’Economia Tremonti ha ammonito dicendo che “il denaro non può creare denaro”; cosa che in effetti non ha mai pensato nessun finanziere, in quanto ogni speculatore finanziario sa benissimo che il capitale deve sempre passare per la rendita fondiaria per diventare e rimanere tale. A questa conclusione sul carattere decisivo della rendita fondiaria, era giunto persino Marx nel libro terzo de “Il Capitale”, in cui smentiva ciò che aveva detto nei due precedenti libri.
Anche nell’epoca dell’industria e dell’alta tecnologia, i patrimoni immobiliari rimangono il fondamento della ricchezza.
Il ministro Tremonti, per conto delle finanziarie statunitensi di cui è sicario, si sta occupando di rastrellare i patrimoni immobiliari delle Università e del Demanio pubblico. È chiaro che però tutto questo non può bastare, poiché ci sono ancora i patrimoni dei Comuni su cui mettere le mani.
Il movente delle privatizzazioni è alla base di molte inchieste giudiziarie. Senza “Mani Pulite” - o “Tangentopoli”, che dir si voglia - non sarebbe stato possibile privatizzare molte aziende pubbliche. Il sistema dei partiti doveva essere assolutamente smantellato attraverso quelle inchieste, perché altrimenti non avrebbe ceduto la sua principale fonte di finanziamento.
In molti si sono chiesti cosa abbia cambiato la privatizzazione della SIP, divenuta Telecom. La differenza è che, in questo passaggio, il patrimonio immobiliare della SIP si è “volatilizzato” misteriosamente; cosa ben strana, trattandosi di “beni immobili”.
In tutte le diatribe sulle “toghe nere” e “toghe rosse”, non si è mai voluta prendere in considerazione la terza ipotesi, e cioè che le inchieste giudiziarie costituissero lo strumento di cosche affaristiche, in gran parte di provenienza statunitense, sempre affamate di patrimoni immobiliari da saccheggiare.
Alla caduta del sindaco Jervolino seguirebbe una scontata emergenza sui conti finanziari delle casse comunali, che giustificherebbe drastici provvedimenti di privatizzazione. Qui non si ricorre all’immaginazione, ma alla semplice memoria, poiché si tratta di copioni già visti e rivisti. All’inizio degli anni ’90, anche l’allora sindaco di Napoli, Polese, fu fatto fuori da un’inchiesta giudiziaria, con il risultato che il sindaco successivo, Tagliamonte, proclamò il dissesto del Comune, che servì a giustificare la privatizzazione delle aziende municipalizzate e dei relativi patrimoni immobiliari.
Dopo i patrimoni immobiliari del Banco di Napoli, dell’azienda del Risanamento, delle aziende municipalizzate napoletane, e mentre si avvia la privatizzazione dei patrimoni di quattro Università storiche napoletane (Federico II, Istituto Orientale, Politecnico, Secondo Policlinico), il patrimonio immobiliare del Comune, sarebbe l’ennesimo da saccheggiare. Non c’è male per una città che la propaganda colonialistica presenta come povera e dipendente dall’assistenza.
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