L’evidenza è che l’accettazione del prestito del MES ha il sostegno di un’agguerrita lobby interna. Mentre l’ex direttore del “Corriere della Sera”, Ferruccio De Bortoli, profetizza che alla fine i 5 Stelle “ingoieranno il rospo”, un esponente italiano di un fondo di investimento internazionale, Muzinich, già invita il governo a
“spendere bene” i fondi del MES, dando quindi per scontato che a questi prestiti si finirà per accedere.
In base alla regola logica secondo la quale per riconoscere senso ad un’affermazione, questa dovrebbe averlo anche nel suo contrario, l’esortazione dell’esponente di Muzinich risulta quantomeno superflua. Sarebbe stato infatti strano consigliare al governo di “spendere male” i fondi del MES. Il punto però è che si tratta di spaccio di banalità a scopo propagandistico, cioè di sfacciato lobbying, e i “disinteressati consigli” corrispondono agli
interessi di un fondo di investimenti come Muzinich, che avrebbe tutto il vantaggio a lucrare sul declassamento dei titoli del debito pubblico italiano che la sottomissione al MES automaticamente comporterebbe. Essere “assistiti” dal MES certifica infatti lo stato di indigenza e di bisogno di uno Stato e quindi consente ai sedicenti “Mercati” di imporre tassi di interesse più alti.
La mitica Europa non riesce a mettersi d’accordo su una nozione di Recovery Fund; neppure gli altrettanto mitici Coronabond hanno trovato un minimo di definizione accettata. Il cosiddetto “europeismo” dimostra ancora una volta di coincidere semplicemente con la lobby della deflazione, cioè con il paradiso dei creditori che possono confidare nel fatto che il valore dei loro crediti non sarà eroso dall’inflazione.
Non a caso il Trattato di Maastricht proclama come sua priorità la “stabilità dei prezzi”, cioè l’assenza di inflazione. Il tutto poi è condito di ipocrisie.
La Banca Centrale Europea dichiara, ad esempio, che il suo obbiettivo è un’inflazione al 2%, un tasso di inflazione non tale da erodere il valore dell’euro ma, nello stesso tempo, non suscettibile di scoraggiare i consumi a causa dell’attesa che i prezzi calino ancora.
Quest’inflazione che dovrebbe allo stesso tempo esserci e non esserci, sa molto di alibi propagandistico. Perseguire l’obbiettivo di un’inflazione zero o prossima allo zero, implica tenere bassa la domanda di beni di consumo quindi bassi salari. Per imporre bassi salari la via maestra è quella di creare disoccupazione, che abbatte il potere contrattuale dei lavoratori. Ma neppure questo basta.
Le maggiori consumatrici sono infatti le aziende produttive, che per produrre devono continuamente acquistare materie prime e macchinari ed anche tanti altri beni minori come il vestiario da lavoro. In parole povere, l’inflazione zero o prossima allo zero si ottiene solo con la deindustrializzazione. Dato che non tutti i Paesi vogliono o possono deindustrializzarsi, si tratta di individuare alcune colonie deflazionistiche, cioè Paesi che blocchino il proprio sviluppo economico per impedire all’euro di perdere valore.
Questo ruolo dell’Italia come colonia deflazionistica dell’Unione Europea trova da noi molti sostenitori interni, che ovviamente puntano più alla rendita finanziaria che al profitto industriale. Nella Storia italiana era stato il Meridione a svolgere il ruolo di colonia deflazionistica. A metà degli anni ’60 e poi alla metà degli anni ’70 le massicce importazioni di petrolio portarono ad un deficit della bilancia commerciale e della bilancia dei pagamenti, determinando una caduta del valore della lira. In entrambi i casi il rimedio fu trovato nel tagliare l’industria meridionale. Nell’Europa pseudo-unita questo ruolo di colonia deflazionistica da deindustrializzare si è esteso all’intera Italia. La sottomissione al MES è un decisivo tassello per formalizzare la condizione dell’Italia come Paese in via di sottosviluppo.
Il separatismo lombardo ha alimentato
la psicosi da Covid cercando di imporre un protocollo terapeutico basato sulla terapia intensiva, probabilmente ritenendo di poterlo sostenere; ciò con l’obbiettivo di rimarcare il “divario di civiltà” con le altre Regioni. Il risultato è stato invece un disastro che ha finito per “meridionalizzare” il Nord Italia agli occhi del mondo. Un bel regalo per la lobby della deflazione. Se si fossero adottati i normali criteri terapeutici seguiti per l’influenza, è probabile che non si sarebbe cascati in un’emergenza ingestibile.
A proposito di banalità, il ministro degli Interni esorta le sedicenti forze dell’ordine a
tenere alta la guardia contro il pericolo che il crimine organizzato si impadronisca a prezzi stracciati di una miriade di imprese prostrate dal lockdown giustificato con l’emergenza Covid. La cosa sembrerebbe ovvia ma si deve invece assistere allo spettacolo contrario: le sedicenti forze dell’ordine sono strenuamente impegnate nella repressione e nell’intimidazione nei confronti di attività economiche legali.
I bravi poliziotti che, secondo la vigente oleografia deamicisiana, si tasserebbero per comprare la benzina per le proprie auto di servizio, sono diventate bande di carnefici che impediscono agli onesti cittadini di lavorare, cioè bracci armati della lobby della deflazione, il che è molto poco deamicisiano. Il fenomeno della persecuzione poliziesca nei confronti di esponenti del pacifico ceto medio ha dei precedenti con la criminalizzazione operata da anni nei confronti dei dipendenti pubblici e degli insegnanti, con l’alibi politicorretto della lotta alla corruzione. Finché si colpivano i pubblici dipendenti, il plauso dell’opinione pubblica era incondizionato; ma adesso la criminalizzazione del ceto medio da proletarizzare è arrivata a colpire anche il lavoro autonomo, ricorrendo ad un altro alibi politicorretto, quello dell’emergenza sanitaria. Il fatto che per queste nuove
operazioni intimidatorie sia stata ora usata addirittura la Digos, dà la misura della determinazione di criminalizzare ciò che sino a poco tempo fa era ritenuto lecito.
La lobby della deflazione ha in antipatia il ceto medio benestante poco incline a indebitarsi, mentre non teme il crimine organizzato, perché questo rientra a pieno titolo nel circuito finanziario. Inoltre in periodi di deindustrializzazione è al crimine organizzato che si affida l’incarico di controllare il territorio, come è accaduto alla metà degli anni ’70 nel Meridione. Un ex camorrista ucciso nel 2005 in circostanze ancora non chiarite, Nunzio Giuliano, raccontava che in quel periodo i detenuti per crimine organizzato si erano trovati improvvisamente, e in modo apparentemente inspiegabile, da una condizione di totale costrizione ad un riconoscimento di un ruolo di comando nel carcere. Ciò vuol dire che il carcere viene usato come una sorta di valvola, di regolatore, per alimentare o ridimensionare, a seconda delle esigenze affaristiche e militari del momento, il potere del crimine organizzato.
Ringraziamo i compagni Mario C. “Passatempo” e Claudio Mazzolani per la collaborazione.