La minoranza antieuropeista della Lega ha cercato di presentare come
principale causa della caduta del governo Conte il dissidio che sarebbe sorto tra i partner di governo durante le trattative per la costituzione di un Fondo Monetario Europeo. La posizione dei 5 Stelle si sarebbe troppo appiattita sull’atteggiamento remissivo del ministro dell’Economia Tria.
Si tratterebbe allora di capire perché mai Salvini non lo abbia detto immediatamente e chiaramente, dato che la prospettiva di un Fondo Monetario Europeo, una volta spiegato cosa sia, spaventerebbe a morte la maggioranza degli Italiani e quindi avrebbe garantito a Salvini quella popolarità che invece sta perdendo. Al contrario, Salvini ha condotto la crisi di governo dimostrando ad ogni passo il massimo di confusione mentale, scegliendo la tattica dell’attacco personale al Presidente del Consiglio ed esponendosi troppo scoperto ai suoi contrattacchi.
È comprensibile poi che Conte sia particolarmente invelenito, visto che aveva ceduto alle pressioni della banda del buco in Val di Susa nella speranza che ciò potesse far sopravvivere il suo governo. La scelta di Salvini dello scontro personale con Conte ha avuto anche altri effetti poco favorevoli alla Lega: attenuare i contrasti che c’erano stati tra il Presidente del Consiglio ed i 5 Stelle, e predisporre la base degli stessi 5 Stelle ad accettare un accordo col PD.
È chiaro perciò che la versione messa in giro dalla sparuta, per quanto visibilissima, pattuglia antieuropeista della Lega, è solo una balla. Il presidente del Consiglio Conte nel giugno scorso aveva espresso il proprio
dissenso contro il Fondo Monetario Europeo, denunciandone il carattere di comitato di controllo da parte di Germania e Francia sulle economie di tutta l’area UE. Se la priorità della Lega fosse stata davvero di bloccare il Fondo Monetario Europeo, quella esternazione di Conte sarebbe stata l’occasione per metterlo di fronte alle sue responsabilità e indurlo a liberarsi di Tria.
Il vero terreno su cui si è consumata la rottura, è stato invece l’autonomia differenziata, cioè l’aspirazione del gruppo dirigente leghista ad integrare la sedicente “Padania” in quella sorta di svizzerona per riccastri che è la Macroregione Alpina, a trazione bavarese e sotto la tutela della UE. Per l’obbiettivo dell’autonomia differenziata il gruppo dirigente leghista ha sacrificato non solo il governo ma anche lo stesso Salvini; e si è trattato per di più di un sacrificio alla cieca, operato su ordine dei propri referenti esteri, senza neppure avere ben chiare le prospettive. Ammesso che per la Lega il percorso della crisi vada tutto liscio, con una vittoria alle elezioni anticipate, potrebbero sorgere problemi persino con i nuovi partner di Fratelli d’Italia. Per quanto sia furbacchiona e opportunista la Meloni, sarebbe molto difficile per lei far digerire l’autonomia differenziata al proprio elettorato. Per capire come Salvini abbia potuto cacciarsi in questo ginepraio, occorre considerare che attualmente
la presidenza di turno della Macroregione è della Lombardia e quindi si può immaginare che grado di euforia (e di conseguente perdita di lucidità), stia vivendo il vertice leghista.
È altrettanto chiaro che gli antieuropeisti della Lega non percepiscano la loro narrazione sulla crisi di governo come una menzogna, bensì la considerino, pirandellianamente, come un “aiutino alla verità”. Il Fondo Monetario Europeo rappresenta davvero la maggiore minaccia che oggi pesa sul destino dell’Italia. Mentre la Macroregione Alpina, per quanto destabilizzante nel suo percorso, rientra ancora nell’ambito dei “day dream”, il Fondo Monetario Europeo rappresenta invece uno di quegli incubi da cui si rischia di non svegliarsi più.
Il Fondo Monetario Europeo dovrebbe sostituire l’attuale Meccanismo Europeo di Stabilità e, nelle intenzioni della Germania, dovrebbe spazzare via quegli “azzardi morali” causati dal “quantitative easing” della BCE. Con l’istituzione del Fondo, ogni aiuto agli Stati dovrebbe essere condizionato al controllo dei conti e soprattutto al varo di “riforme strutturali”. Gli “azzardi morali” sarebbero riservati alla sola Germania che, con i soldi del Fondo, potrà salvarsi Deutsche Bank, scaricandone in gran parte l’onere sugli altri Stati europei.
Se per l’Italia l’istituzione del Fondo Monetario Europeo rappresenta una prospettiva così tragica, perché allora non si è cercato di fermare Tria, visto che Conte e i 5 Stelle non erano d’accordo con la sua sudditanza al progetto?
Questa è la classica “bella domanda” che ci rimanda alla condizione coloniale dell’Italia. Si tratta di decisioni già prese altrove, che non riguardano né il governo, né il parlamento. Magari i rapporti di forza, nella loro accezione più materiale, non sono neppure così stringenti, forse ci sarebbero i margini di un’opposizione. Purtroppo anche la potenza ideologica rientra nel rapporto di forza.
Si potrebbe persino accreditare Giovanni Tria della buona intenzione di non tradire il proprio Paese, ma Tria, come tutti gli uomini pubblici, è
un “dossierato”, un ricattabile. I rapporti ambigui e gli scambi di favori di Tria con una sua consulente, sono già di dominio pubblico e gli stessi 5 Stelle hanno espresso a riguardo le loro preoccupazioni. Quegli scambi di favori di Tria potrebbero essere la punta di un iceberg da cui rischia di sortire un domani un’inchiesta giudiziaria da parte di una magistratura opportunamente imbeccata. Un’eventualità certa nel caso che il comportamento del ministro dell’Economia non fosse consono alle aspettative franco-tedesche.
Se la selezione del personale politico avviene in base al grado di ricattabilità, una politica anticoloniale non può permettersi di attendere i tempi lunghi e gli esiti incerti di un ricambio. Cacciare via Tria non ti garantirebbe che il sostituto sarebbe meno ricattabile. Si tratta invece di stabilire delle priorità. Una politica anticoloniale dovrebbe essere in grado di uscire dalla gabbia ideologica del moralismo e di garantire al Tria di turno la necessaria protezione nel caso fosse disposto a non svendere il proprio Paese. Il cerchio della ricattabilità non è un dato strettamente materiale, bensì si sostiene in base al vincolo ideologico della questione morale. Nulla di strano quindi che a condurre la campagna allarmistica sull’emergenza-corruzione sia un organo coloniale come la Banca Mondiale, che è diventata anche il
referente ideologico della nostra magistratura.
La Lega non può diventare una forza anticoloniale a causa del separatismo strisciante del suo nocciolo duro, un separatismo troppo desideroso di protezioni e relazioni estere. Neanche i 5 Stelle però possono diventare una forza anticoloniale, a causa del loro moralismo e del loro feticismo giudiziario. In Italia l’anticolonialismo è ancora all’anno zero.