A distanza di poche settimane dal suo “trionfo” per la cattura del latitante Battisti, per una sorta di nemesi, Salvini ha dovuto assaggiare a sua volta gli esiti dell’incertezza delle categorie giuridiche. Se Battisti ha dovuto subire l’etichetta di “assassino” in base a quella dilatazione concettuale che è il “concorso morale”, la stessa dilatazione concettuale ha consentito ad una Procura di incriminare il ministro degli Interni per “sequestro di persona” nel caso della nave Diciotti.
In base alla ricostruzione dei fatti nel caso della nave della Guardia Costiera Diciotti, nel comportamento di Salvini potevano essere ravvisati gli estremi dell’omissione di soccorso, che è già di per sé un reato grave. I magistrati hanno invece optato per l’ipotesi di reato del sequestro di persona, come se i migranti raccolti dalla Diciotti fossero in possesso di un regolare passaporto con visto d’ingresso e fossero stati vittima di un atto di pirateria. In pratica un organo dello Stato ne ha delegittimato un altro.
Il “salvinismo” è una bolla che di per sé avrebbe i giorni contati. Il leader della Lega ha infatti preso per i fondelli il proprio elettorato, enfatizzando e spettacolarizzando la questione degli sbarchi, dimenticandosi che i migranti entrano anche e soprattutto per altre vie e che, a riprova di ciò, in Italia i clandestini sono già centinaia di migliaia; così tanti che non avrebbero potuto entrare solo con i barconi. Questa contraddizione nel tempo diverrebbe evidente, così come si comincerebbe a comprendere che bisogna uscire dalla psicosi dell’invasione per cominciare a gestire la questione migratoria. Il primo passo dovrebbe essere proprio la regolarizzazione dei clandestini. Non è affatto un paradosso.
La regolarizzazione avrebbe l’effetto di sottrarre i migranti clandestini al ricatto dei “datori di lavoro”, eliminando così, almeno in parte, la loro concorrenza al ribasso nei confronti dei lavoratori italiani. La regolarizzazione consentirebbe anche di identificare i migranti clandestini, quindi darebbe la possibilità di sapere quali sono le organizzazioni con cui si sono indebitati ed anche le organizzazioni che gestiscono il business delle rimesse degli stessi migranti alle loro famiglie di origine.
Coloro che parlano di invasione e di sostituzione di popolazione si contraddicono clamorosamente quando sottolineano che la stragrande maggioranza dei migranti è composta da maschi adulti, che perciò non progettano di stabilirsi definitivamente, in quanto mandano i loro risparmi alle famiglie rimaste in patria. I magri risparmi dei migranti possono diventare così in patria qualcosa di più sostanzioso grazie all’effetto del cambio da una moneta forte ad una moneta debole. Basterebbe anche questa sola osservazione per smentire la psicosi dell’invasione.
La valutazione giudiziaria del “salvinismo”, con l’imputazione di sequestro di persona, ha sortito invece l’effetto di rilanciare la figura politica dell’attuale ministro degli Interni, in quanto ha avallato la psicosi dell’invasione e della sostituzione di popolazione, convincendo ancora di più i sostenitori di Salvini che vi sia un preciso intento di garantire ai migranti più diritti dei residenti. Per quanto Salvini possa essere personalmente preoccupato di incappare nelle maglie di un processo (e avrebbe ragione di esserlo), sta di fatto che dal punto di vista politico, l’iniziativa giudiziaria contro di lui rafforza l’illusione che lo fa individuare come un politico impegnato sulla breccia della difesa del sacro suolo patrio. Al di là delle sorti personali di Salvini, in vista c’è anche di peggio, poiché l’iniziativa giudiziaria per il caso Diciotti finisce per alimentare un clima di odio e di strisciante guerra civile attorno al tema migratorio; ciò mentre i media sembrano far credere che il maggiore dei problemi attuali sia quello delle beghe interne alla maggioranza di governo per la questione dell’autorizzazione a procedere.
La “creatività” giudiziaria sta quindi contribuendo a mistificare e nascondere la vera natura del fenomeno migratorio: il business finanziario legato ai prestiti per la migrazione ed ai circa cinquecento miliardi di dollari annui di
rimesse dei migranti ai propri Paesi di origine. Il business è gestito direttamente dalla Banca Mondiale e dalle più grandi multinazionali del credito come JP Morgan, quindi l’iniziativa giudiziaria risulta in questo caso oggettivamente lobbistica: un lobbying in funzione della finanza internazionale.
La magistratura ci ha ormai abituato a certe dilatazioni concettuali. Per quanto fossero sordidi e ripugnanti i personaggi del malaffare romano, c’era poco da essere soddisfatti per la loro condanna in Appello per associazione mafiosa, poiché tale arbitraria estensione del concetto di mafia costituisce chiaramente un precedente poco rassicurante. La creatività giurisprudenziale della magistratura non ha consentito solo condanne, ma anche assoluzioni nei confronti di
multinazionali che avevano frodato alcuni Comuni italiani con prodotti finanziari derivati. In quel caso, secondo i giudici, la colpa non era di chi aveva frodato, bensì di chi si era lasciato frodare. Insomma, la colpa è sempre della “politica”.
Nessuno oserebbe affermare che la politica sia immune dalle lobby. Il problema è che, in base ad una considerazione minimamente realistica, neppure la magistratura può essere considerata immune dal lobbismo; anzi, il lobbismo ha tutto il vantaggio di servirsi meno della politica (partigiana e faziosa per eccellenza) e più di istituzioni “super partes” come la magistratura, la Banca d’Italia e la Presidenza della Repubblica. Non per niente Mattarella ha potuto commettere “imparzialmente”
l’ennesima invasione di campo, intimando ad un governo in parte riluttante di schierarsi con gli “alleati” europei contro Maduro. Per trasformare l'Italia in una repubblica presidenziale, non è stata necessaria alcuna riforma costituzionale: è bastato delegittimare la politica.