Uno dei mestieri più sopravvalutati è quello del giurista. Si tratta in fondo di tenere presenti il principio di non contraddizione e la gerarchia delle normative, per la quale una legge prevale su un regolamento ed una legge costituzionale prevale su una legge ordinaria. L’aspetto “creativo” del mestiere del giurista è trovare qualche sofisma per giustificare scelte incongruenti. L’ex giudice della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick ha cercato di spiegare la recente sentenza della Corte circa la inammissibilità del referendum sull’abrogazione delle norme che eliminavano il licenziamento per giusta causa. Flick ha affermato che la Corte ha smentito la sua precedente sentenza del 2003, che aveva invece ammesso un referendum analogo, perché stavolta sono state fatte prevalere considerazioni di carattere politico-istituzionale, in “senso alto”, piuttosto che motivazioni puramente giuridiche.
Come a dire che la sentenza ha tenuto conto non della Costituzione, bensì della stabilità del governo e della necessità di non allarmare ulteriormente le eurocrazie con la
prospettiva di un rilancio delle garanzie del lavoro.
Una sentenza tutta “europea”, appunto.
Il segretario della CGIL Susanna Camusso, di fronte al palese “europeismo” della sentenza, non ha trovato di meglio che annunciare che, per ottenere ragione, si rivolgerà alla Corte di Giustizia europea. La Camusso ha quindi riproposto un atteggiamento nei confronti dell’UE che riecheggia quello di una decina di anni fa, prima del caso Grecia, quando l’Europa non era ancora percepita come un’entità ostile e l’antieuropeismo era solo un fenomeno “di nicchia”.
Nel 2008, di fronte alle prime versioni preparatorie che circolarono sul testo del Trattato di Lisbona, vi fu qualche allarme per una possibile reintroduzione della pena di morte e della esecuzione sommaria in casi di insurrezione; una misura che poi decadde, ma che, significativamente, era stata perseguita attraverso la consueta tecnica dell’incertezza e ambiguità della normativa; un’incertezza ed un’ambiguità che contraddistinguevano tutta la costruzione europea. Ma si trattò di un allarme episodico.
Il carattere giuridicamente confuso e oscuro dell’UE, la collocazione extra-legale della banca Centrale Europea, quel simulacro di parlamento europeo, eccetera eccetera, lungi dall’allarmare l’opinione progressista ed avvertirla che si trattava di una frode, la rendevano invece euforica come davanti ad un regno del “tutto è possibile”. Si favoleggiava persino di un parlamento europeo puramente consultivo, che, come gli Stati Generali della Rivoluzione Francese, potesse trasformarsi da un momento all’altro in una nuova sala di Pallacorda, cioè in una vera costituente. Una Unione Europea meno trasparente di Cosa Nostra esercitava su gran parte dell’opinione pubblica una sorta di fascino criminale.
Oggi il clima è cambiato e il governo italiano, in un Paese con una vera e persistente emergenza sismica, vive tristemente in attesa delle rampogne della Commissione Europea, visto che il rapporto debito-PIL non ha fatto altro che aumentare dal 2011, salendo dal 120% ad oltre il 132%, ciò proprio a causa delle politiche di austerità imposte dalla stessa Commissione europea. Di fronte a queste finte emergenze di finanza pubblica,
il governo mendica alla Commissione Europea un po’ di flessibilità sul vincolo del 3% di deficit di bilancio; ma, per compiacere l’Europa, il nostro parlamento ha addirittura introdotto l’obbligo del pareggio di bilancio nella Costituzione, perciò tutte le Leggi di Stabilità Finanziaria degli ultimi anni sono rigorosamente incostituzionali. La Corte Costituzionale, ovviamente, fa finta di non accorgersene, per le solite “alte” considerazioni politico-istituzionali.
Una delle fiabe che circolano oggi con maggior fortuna è quella della “Unione Sovietica Europea”, per la quale l’UE sarebbe nata con il proposito di beneficare i cittadini, ma poi si sarebbe allontanata dalla realtà chiudendosi nel bunker della sua ideologia e nella torre d’avorio della sua burocrazia. La fiaba ha una certa fortuna anche nella ex Unione Sovietica, la quale ora potrebbe guardare con commiserazione a questi nuovi cattivi imitatori del vicino Occidente. In realtà l’UE è tutt’altro che lontana dai suoi obiettivi originari, che erano proprio quelli di creare la felicità del capitale e l’infelicità del lavoro. Ma oggi non ci si accontenta più dell’infelicità del lavoratore, bensì si persegue un più alto obiettivo, cioè l’infelicità del risparmiatore. Dato che le politiche europee hanno condotto al disastro il sistema bancario italiano, si è affacciata da parte di qualcuno anche l’ipotesi di renderlo in parte pubblico, secondo il modello delle “Landesbanken” tedesche, banche regionali a partecipazione statale.
Il quotidiano “Il Foglio” è uno di quei giornali che non legge nessuno e che hanno il solo scopo di elaborare slogan ad uso della propaganda e dei talk-show. Propugnatore della colonizzazione dell’Italia da parte dei virtuosi Tedeschi, il quotidiano fondato da Giuliano Ferrara stavolta sembrerebbe smentirsi, perché raccomanda di
non imitare il modello delle Landesbanken, semmai di far pagare la crisi bancaria italiana agli obbligazionisti. In effetti “Il Foglio” non si smentisce affatto, perché il modello tedesco va bene finché fa comodo alla Germania, non quando potrebbe aiutare i risparmiatori italiani. Un capitalismo indipendente dal denaro pubblico e dall’assistenza pubblica non esiste e non è mai esistito da nessuna parte, ma le oligarchie forti predicano le virtù del liberismo puro e duro ai deboli per poterli colonizzare meglio.
Dopo aver creato l’UE e l’euro come bastioni della NATO contro la Russia e dopo aver collocato la Germania sul trono europeo, oggi gli USA, con Trump, sembrano
prendere chiassosamente le distanze da tutto questo. Ma, dopo le fregature passate, la diffidenza è d’obbligo. Per Berlino l’epoca dei surplus commerciali in terra statunitense è certamente finita, ma ciò non significa automaticamente che sia tramontato il ruolo della Germania come gendarme economico e finanziario dell’Europa.