Ha suscitato molti commenti il fatto che Renzi sia caduto in disgrazia presso uno dei vati dell'opinionismo ufficiale, l'editorialista Eugenio Scalfari. Oltre a manifestare aspre critiche all'incapacità di Renzi di rilanciare l'economia, Scalfari arriva a dichiarare di preferire all'attuale governo Renzi un esplicito
commissariamento dell'Italia da parte della cosiddetta "Troika": la Commissione dell'Unione Europea, la Banca Centrale Europea ed il Fondo Monetario Internazionale. Scalfari non vede contraddizione tra l'obiettivo del rilancio economico ed il commissariamento, in quanto, secondo lui, la "Troika" si sarebbe ravveduta rispetto ai tempi della crisi greca, ed ora avrebbe come massimo avversario la deflazione.
I nonsensi di Scalfari sono risultati evidenti a molti commentatori. Non ha senso, ad esempio, considerare l'attuale governo Renzi come "altro" rispetto alla Troika, visto che il ministro dell'Economia ora in carica, Padoan, è un ex dirigente del FMI, cioè il principale componente della stessa Troika. Tra l'altro in Italia il Presidente del Consiglio non ha poteri da Primo Ministro, cioè non può dimissionare i propri ministri, perciò un ministro come Padoan, che assomma nelle sue mani le funzioni del Tesoro, delle Finanze e del Bilancio, si può considerare lui il vero capo del governo. Se Renzi avesse voluto contare qualcosa, avrebbe dovuto per prima cosa separare Tesoro, Bilancio e Finanze, come avveniva ai tempi della Prima Repubblica, in modo da assicurarsi almeno un ruolo di mediazione nelle beghe tra ministri; e poi non avrebbe mai dovuto accettare la nomina di uno con il curriculum di Padoan. Infatti Padoan, nella propria esperienza di dirigente del FMI prima e dell'OCSE poi, ha potuto conoscere e frequentare tutti quelli che contano nel giro internazionale, perciò può permettersi di parlare familiarmente con loro, tagliando fuori Renzi, che infatti sta lì per fare un po' di colore.
Scalfari è un professionista della mistificazione, e non ha mai esitato ad esporsi a figure miserevoli pur di raggiungere uno scopo. In definitiva l'attacco di Scalfari a Renzi si è risolto in una sorta di "operazione simpatia" a favore dello stesso Renzi, spacciato come ultima spiaggia per scongiurare un commissariamento, che è invece già avvenuto sia ufficialmente che di fatto, dal 2011, con il Buffone di Arcore ancora regnante, sotto la dizione di
"monitoraggio" dell'Italia da parte del FMI.
Il dominio del FMI in Italia non è solo pratico, ma anche ideologico, come risulta dall'ossessione politica e mediatica per le pensioni, usate sistematicamente dal FMI come depistaggio per nascondere le vere cause dell'aggravio della spesa pubblica e del debito pubblico (ad esempio: i centoventicinque miliardi che l'Italia sta versando al Meccanismo Europeo di Stabilità, la più recente creatura del FMI). In molti si atteggiano a nemici acerrimi delle banche, ma poi si rivelano pronti ad abboccare all'emergenza-debito ed all'emergenza previdenziale.
Il fondomonetarismo è infatti un'ideologia subdola e trasversale, che coinvolge anche molti oppositori, perciò le manipolazioni ed i raggiri raramente trovano l'ostacolo del senso critico. Con la questione della finestra pensionistica denominata "quota 96", il governo Renzi ha allestito una pantomima a scopi di psicoguerra interna, prima illudendo migliaia di insegnanti ed aizzando le invidie ed i rancori dell'opinione pubblica verso di loro, poi rimangiandosi la promessa. In tal modo Renzi si è potuto ancora una volta atteggiare a vendicatore del popolo contro la "casta" degli insegnanti, incassando anche il fattore-distrazione rispetto alle altre porcherie che il governo sta varando.
Suggerire all'opinione pubblica che Renzi possa vantare un po' di autonomia, costituisce non solo un nonsenso, ma anche un falso spudorato. D'altra parte questo falso è alla base dell'attuale circo mediatico che circonda l'ex sindaco di Firenze. Il dominio colonialistico sull'Italia e sull'Europa si fonda su due facce della stessa medaglia: il FMI e la NATO, ed anche da quest'altro aspetto Renzi risulta del tutto conforme.
Il viaggio "trionfale" di Renzi in Egitto ed il suo nuovo "asse" con il presidente egiziano Al Sisi, sono stati infatti narrati dai media come esempi di iniziativa autonoma in politica estera. Al Sisi era considerato dal cosiddetto Occidente come un golpista e come un "paria" internazionale, uno degno di parlare soltanto con altri paria come Putin; ed ora andrebbe a Renzi il merito di averlo "sdoganato" (secondo il termine che proprio Scalfari rese popolare venti anni fa, applicandolo a Gianfranco Fini, "sdoganato" appunto dal Buffone di Arcore).
In realtà, consultando un po' la stampa internazionale e soprattutto araba, le cose starebbero un po' diversamente. In Egitto si comincia a prospettare seriamente la possibilità di un
intervento militare egiziano in Libia, e soprattutto nella regione confinante, la Cirenaica, la più ricca di petrolio. Si penserebbe così di cogliere due piccioni con una fava: far fuori il jihadismo ed annettersi la parte della Libia più araba ed etnicamente affine, con il gratificante corollario dei pozzi di petrolio, toccasana per l'economia egiziana. Ci sono vari segnali che un tale scenario sia fomentato dagli stessi Stati Uniti, che fanno capire che non porrebbero ostacoli ad un'iniziativa militare del genere, presentata come utile a sedare il caos suscitato in Libia dalla eliminazione di Gheddafi.
In questo quadro, l'aver mandato avanti il piccolo Renzi come esca, può servire ad illudere Al Sisi che si tratti di un passo per poter riallacciare buoni rapporti con l'Occidente e con la NATO. Come spesso capita alle esche, questo ruolo rischia di essere tutt'altro che indolore per l'Italia, dato che comporterebbe una certa esposizione sul piano militare, in modo da potersi rendere credibili con l'interlocutore egiziano. In questo senso andrebbe letta la scelta di
rafforzare il contingente italiano in Libia, con il pretesto ufficiale della protezione dei residenti italiani. Renzi dice di voler coinvolgere l'Unione Europea, ma rischia di infognarsi senza ricevere alcun aiuto, come già sta accadendo per l'immigrazione clandestina.
Ma soprattutto per Al Sisi si tratterebbe di una vera trappola, ed a riguardo c'è il precedente di Saddam Hussein, che nel 1990 aveva creduto anche lui di aver ricevuto un tacito assenso degli USA ad invadere il Kuwait. Un intervento egiziano in Libia non riuscirebbe nemmeno a sedare la Libia, visto che i jihadisti dispongono di ogni genere di armi provenienti, guarda caso, da alleati della NATO come il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti e l'Arabia Saudita. Un tale intervento potrebbe facilmente rischiare persino di espandere l'instabilità all'Egitto; e forse proprio per favorire uno scenario del genere, l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti stanno
finanziando il riarmo e le illusioni dell'esercito egiziano.
Ciò confermerebbe l'ipotesi che dietro l'apparente "understatement" di Obama e Kerry, il basso profilo statunitense in politica estera, vi sia al contrario il consueto schema colonialistico della destabilizzazione permanente, applicato a tutta l'area del Mediterraneo e del Mar Nero.