IL PIANO MARCHIONNE: PRENDI I SOLDI E SCAPPA
La rappresentazione mediatica del cosiddetto “Piano FIAT” procede sulla linea del “Marchionne santo subito”. Nessuna sorpresa è risultata dall’atteggiamento dei quotidiani “di opposizione”, come “La Repubblica”, che sono stati i più solerti ed entusiasti nel prosternarsi al nuovo culto della personalità in voga, cioè quello nei confronti dell’attuale Amministratore Delegato della FIAT. Qualcuno ricorderà che, due anni fa, proprio “La Repubblica” si incaricò di dirigere un’analoga fanfara mediatica di santificazione nei confronti di Guido Bertolaso, da un po' precipitato dagli altari, anche se non dalle sue ormai scoperte posizioni di potere affaristico-criminale.
Dato che adesso si pretende da più parti di poter fare opposizione conformandosi alle verità ufficiali, non desta nessuna sorpresa neppure il fatto che anche un intellettuale in odore di dissenso ed eresia, come il politologo Marco Revelli, non abbia voluto mancare alla celebrazione del santo del momento, e sia andato a “Repubblica-Radio TV” ad esprimere prono ammirati commenti sul “nuovo linguaggio” di Marchionne e sull’audacia imprenditoriale dei suoi piani quinquennali.
Tra un inno di lode e l’altro, la fiaba mediatica non manca però di dettagli toccanti, su cui gli stessi giornalisti/narratori si commuovono sino alle lacrime: il povero Marchionne vorrebbe trasferire a Pomigliano D’Arco la produzione della Panda, e investirci pure settecento milioni di euro, ma la cattivissima FIOM gli nega quel po’ di “flessibilità” di cui avrebbe bisogno; e pensare che in Polonia il diciottesimo turno per gli operai FIAT è da tempo una pratica abituale, ma meno male che ci sono la CISL e la UIL, che già si sono dichiarate pronte all’accordo.
Fortunatamente Marchionne è sì un dio giusto e buono, ma anche vendicativo quel tanto che occorre, e infatti annuncia che, in caso di mancato accordo, sarebbe pronto a sbaraccare tutto e trasferire la produzione interamente all’estero. E come si farebbe a dargli torto, poverino, dopo tutti i dispetti che ha dovuto subire? Quindi ben venga un Dies Irae a far giustizia degli operai retrogradi e sfaticati, che si dimostrano recalcitranti a versare la loro elemosina ai ricchi bisognosi.
Nelle “Democrazie Occidentali” l’assistenzialismo per ricchi costituisce il vangelo economico unico ed esclusivo, perciò il punto di vista operaio non esiste, e la posizione dei lavoratori non viene ritenuta degna di ascolto, se non nei casi in cui i media riescano a scovare l’operaio che davanti alle telecamere dia ragione al padrone. La resistenza operaia non può mai avere delle ragioni basate su valutazioni realistiche, ma viene immancabilmente catalogata come ottusa e meschina resistenza al “progresso”, cioè all’interesse dei ricchi.
Gli spettatori dei telegiornali e i lettori dei quotidiani non devono perciò essere neppure minimamente sfiorati dal dubbio che si stia ripetendo quanto più volte visto in passato, e cioè che il maggiore sfruttamento della manodopera di Pomigliano sia proprio ciò che serve a Marchionne per accumulare quel po’ di scorte che gli permetta di chiudere lo stabilimento ancora più alla svelta. Tanto la colpa non sarebbe mai sua, ma del ”Mercato”, che è la divinità superiore che presiede a queste cose, e che potrebbe sempre imporre a Marchionne di recedere dalle sue buone intenzioni in nome dello “stato di necessità”. In fondo anche gli dei dell’Olimpo dovevano inchinarsi ai voleri del Fato.
Dubitare delle buone intenzioni dei ricchi una volta era considerato come lotta di classe, mentre oggi viene etichettato con disprezzo come “teoria del complotto”. Ma, una volta tanto, il cambio non è sfavorevole, poiché la lotta di classe raramente si presenta come uno scontro sociale frontale, ma molto più frequentemente consiste in un complotto dei ricchi contro i poveri.
Che il complotto dei ricchi stavolta ci sia, eccome, è indicato proprio dalla sospetta unanimità mediatica nel cantare le lodi di Marchionne. È realistico che nessuno sia sfiorato dal sospetto che il Piano Marchionne possa essere il solito cumulo di panzane per giustificare la riscossione dei soliti finanziamenti statali e l’imposizione di ritmi di lavoro ancora più serrati?
Nessuno si domanda come faccia Marchionne a stabilire con tanta precisione il numero di auto che il dio Mercato vorrà assorbire nei prossimi cinque anni? Glielo ha detto il dio Mercato in persona?
Anni fa, quando la FIAT era vicina al disastro e tentava di vendersi al miglior offerente, le altre case automobilistiche non ne volevano sapere, ma erano interessate esclusivamente al settore dei camion (Iveco) ed a quello dei trattori (New Holland), che erano i soli a risultare appetibili. Guarda caso, nel Piano Marchionne l'unica indicazione concreta riguarda proprio lo scorporo del settore-camion. Ma questi spezzatini di solito non preludono ad acquisizioni da parte di altre multinazionali, come sta avvenendo con Alitalia?
Se nessun commentatore si fa di queste domande, è perché non è né previsto, né consentito, dal copione mediatico. È chiaro che i panegirici e le fiabe su San Marchionne servono a coprire le consuete pratiche di saccheggio del denaro pubblico e di asservimento del lavoro. La storia della FIAT dimostra che questa multinazionale non ha mai avuto nulla da farsi insegnare da nessuno sull'arte di mungere il denaro pubblico senza dare contropartite sociali. Dato che questa sordida storia aziendale potrebbe rendere diffidente una parte della pubblica opinione, ciò spiega perché i media insistano tanto sul carattere nuovo ed inedito della personalità di Marchionne e del suo piano, i quali, nell'attuale fiaba mediatica, rappresenterebbero una rottura radicale con il losco passato della FIAT.
Il fatto poi che la FIOM oggi sia iscritta senza remissione dai media nell’albo dei cattivi, non deve comunque illudere sulle effettive intenzioni del suo gruppo dirigente. Rispetto ai sindacati metalmeccanici della CISL e della UIL, la federazione dei metalmeccanici della CGIL è la sola a dover fare i conti con una reale base operaia, quindi non può, per il momento, ignorare le diffidenze ed i malumori dei lavoratori nei confronti di un piano aziendale che si presenta come la ennesima presa in giro. C’è però da esprimere dubbi sulla prospettiva che la FIOM lanci una controffensiva di informazione rispetto alla subdola vacuità del Piano Marchionne, e lanci sul piatto l’unica proposta seria, cioè di usare le risorse finanziarie pubbliche non a beneficio della proprietà della FIAT, ma per una nazionalizzazione dei suoi stabilimenti italiani. Anche nella lontana ipotesi che qualcuno all’interno del gruppo dirigente della FIOM ne avesse davvero l’intenzione, non appena si indicasse questa strada, ci si troverebbe a far da bersaglio a provocazioni e ricatti di ogni genere, a partire dalle ovvie e prevedibili accuse di connivenza con il terrorismo. Un po’ troppo per dei burocrati che concepiscono il sindacato soltanto come un trampolino per carriere personali.
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