LA SCHIZOFRENIA DEI RAPPORTI ITALIA-LIBIA
La recente visita d’affari di Gheddafi in Italia è stata accompagnata da una campagna razzistica contro l’ospite libico da parte dei media vicini al governo, che lo hanno bollato come il “beduino”. Il presidente della Camera Fini ha persino trovato il pretesto per una delle sue solite isteriche esibizioni, allorché ha annullato un incontro di Gheddafi con i parlamentari, per un presunto ritardo dell’ospite.
Può apparire schizofrenico il fatto che questo sia lo stesso governo che ha presentato questa visita di affari come un proprio successo, grazie al quale Berlusconi si è potuto, almeno per un momento, sottrarre ai giudizi che lo ritraggono inerte e inetto di fronte alla crisi economica.
In realtà Berlusconi non ha avuto nessuna parte - se non per riscuotere tangenti - negli attuali accordi d’affari tra la Libia e l’ENI, alla cui cordata si sono unite anche l’Enel, la Pirelli e altre aziende italiane. Gli adulatori di Berlusconi avevano già presentato gli accordi del mese scorso tra ENI e l’azienda di Stato russa Gazprom, come un suo successo personale dovuto all’amicizia che lo legherebbe a Putin.
La proverbiale cattiva memoria dei giornalisti ha perciò rimosso i viaggi di affari di Prodi in Libia nel settembre 2006 per incontrare Gheddafi, e a Mosca nel novembre del 2007 per incontrare Putin, ricambiando una analoga visita di affari del presidente russo a Roma nel marzo dello stesso anno. Gli accordi di questi giorni non rappresentano altro che la formalizzazione di una politica che l’ENI porta avanti da anni, e che i Presidenti del Consiglio di turno si limitano ad avallare.
Come la cattiva memoria dei giornalisti, anche la capacità di “persuasione” dell’ENI è divenuta proverbiale, dato che questo ente è notoriamente il maggior distributore di tangenti del mondo, anzi è riuscito ad aprire nuove frontiere e orizzonti illimitati in questa arte. Il trucco, già escogitato e sperimentato a suo tempo da Enrico Mattei, è quello di elargire la tangente a tutti, amici e nemici, pagando a chiunque ogni possibile pedaggio. Ciò spiega anche perché Gheddafi sia potuto sbarcare in Italia con il consenso degli USA e della NATO.
Su questo aspetto delle tangenti, Gheddafi si è concesso, nel corso della visita in Italia, una serie di ironie e provocazioni, specialmente quando ha “ammonito” l’Italia a non adoperare metodi di corruzione nei rapporti con i Libici, come se gli affari in corso avessero potuto materializzarsi senza l’ausilio di questo lubrificante. La “forza” dell’ENI nei confronti dei Paesi del cosiddetto terzo mondo, è comunque sempre stata quella di non costituire negli affari una controparte troppo forte, in grado cioè di imporre le sue condizioni.
La storia dei rapporti tra Gheddafi e l’Italia è significativa a riguardo. Nel 1969 Gheddafi ed altri ufficiali presero il potere con un colpo di Stato sicuramente favorito - e forse direttamente organizzato - dalla British Petroleum per rovesciare il re Idris, considerato troppo filo-italiano. Nel 1970 Gheddafi costrinse persino gli Italiani residenti in Libia ad andarsene lasciando i propri possedimenti.
Sta di fatto che alla metà degli anni ’70 l’Eni, e le altre aziende pubbliche italiane, costituivano di nuovo il principale interlocutore d’affari della Libia, a condizioni molto migliori di quanto non avvenisse ai tempi di re Idris. Con la mediazione dell’ENI, Gheddafi entrò a partecipare anche alla proprietà della FIAT, che era allora - come sempre - in difficoltà finanziarie.
Ciò che aveva spinto in poco tempo il nuovo gruppo dirigente libico a cambiare posizione, era appunto la constatazione dello svantaggio che comporta il dover fare contratti con contraenti troppo forti, come appunto una multinazionale della potenza della British Petroleum. Anche per l’ENI, alla fine, si rivelò un vantaggio l’aver cambiato interlocutore d’affari ed il non dover passare più per gli Italiani di Libia. Il fatto è che re Idris era sì filo-italiano, ma debole ed esitante quando si trattava di irritare la British Petroleum; ed inoltre era circondato da quegli Italiani di Libia, che erano - non tutti, ma in gran parte - dei massoni che facevano il doppio gioco in favore della Gran Bretagna.
L’ironia di Gheddafi nei confronti dell’Italia nasce perciò dalla consapevolezza di avere a che fare con un interlocutore che subisce anch’esso una condizione di subordinazione coloniale, con tutte le ambiguità e le schizofrenie che ciò comporta. Nel 1986 Tripoli fu bombardata per ordine del presidente USA Reagan, ma Gheddafi era stato avvertito dal governo italiano dell’imminente attacco. Dopo quel bombardamento, dalla Libia venne fatto partire un missile che esplose accanto alla base militare statunitense di Lampedusa che era stata utilizzata per preparare l’attacco americano contro la stessa Libia. In quella occasione i media italiani non fecero il minimo cenno all’esistenza di quella base americana, e parlarono tutti di un attacco contro l’Italia da parte del “pazzo” Gheddafi.
Gheddafi ha quindi a che fare con un interlocutore “schizzato”, che non riesce ad ammettere la sua condizione di Paese colonizzato, e risulta dissociato a livello comportamentale tra la fame di affari e il servilismo verso la NATO. Ma alla fine, secondo la propaganda ufficiale, il “pazzo” sarebbe Gheddafi.
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