Il crollo delle borse americane prima e di quelle europee poi, è stato presentato dai media come uno shock paragonabile all’11 settembre. Indirettamente, questo paragone indica che anche in questo crollo simultaneo della finanza internazionale, vi sono aspetti poco chiari.
L’11 settembre si rivelò immediatamente un falso non tanto per gli aspetti tecnici relativi al crollo delle torri gemelle, ma per la reazione del governo americano, che non si preoccupò minimamente di chiedere conto ai servizi di sicurezza della loro debacle, né, tanto meno, di assicurarsi che altri attentatori non fossero pronti ad entrare in azione. L’amministrazione Bush si concentrò sull’invasione dell’Afghanistan e sul saccheggio del denaro pubblico, dando per scontato che non si sarebbero verificati altri attentati sul suolo statunitense. Le leggi eccezionali riunite sotto la sigla del “Patriot Act” hanno giustificato degli indiscriminati ed ingiustificati sequestri di persona, ma soprattutto sono serviti a giustificare spese per la sicurezza andate a vantaggio di ditte private legate all’amministrazione Bush-Cheney.
Nell’invasione dell’Iraq, Bush inoltre non esitò ad utilizzare la Guardia Nazionale statunitense, vista l’insufficienza numerica dell’esercito e dei marines, dimostrando che nessuna emergenza interna di ordine pubblico era davvero temuta. Il terrorismo diventava il pretesto universale, ma, al tempo stesso, ci si comportava come se il terrorismo non esistesse, o, quantomeno fosse sotto il proprio controllo.
Lo stesso discorso vale per l’attuale crisi finanziaria, che non è affatto posticcia in sé, poiché l’indebitamento e le insolvenze costituiscono un dato di fatto; ciò che risulta sospetto è invece la simultaneità del crollo ed anche il carattere emergenziale che la situazione ha assunto, come se, ancora una volta, l’obiettivo da raggiungere fosse quello di creare uno stato di eccezionalità tale da rimuovere ogni resistenza per provvedimenti decisi da tempo.
Era chiaro già da qualche anno che l’indebitamento degli speculatori finanziari privati avrebbe dovuto essere pagato dal denaro pubblico, ed il salvataggio dei conti correnti dei poveri risparmiatori diventa il veicolo e la copertura propagandistica per un’operazione di socializzazione delle perdite delle aziende finanziarie private.
In base alla propaganda ufficiale, oggi gli Stati Uniti sarebbero divenuti un Paese socialista per aver operato delle massicce nazionalizzazioni; ma queste nazionalizzazioni riguardano solo le perdite, e, d’altro canto, nulla assicura che non si ricorra nuovamente alle privatizzazioni non appena le condizioni utili si ripresentassero.
In Italia, ad esempio, la crisi finanziaria non ha bloccato le privatizzazioni, dato che rimane il federalismo fiscale (cioè la privatizzazione della esazione locale), mentre il decreto Gelmini sulla Scuola appare come uno specchietto per le allodole, che allontana lo sguardo dall’obiettivo che viene perseguito per altre vie, cioè la privatizzazione di Scuola e Università attraverso lo strumento delle fondazioni, che servono a drenare denaro pubblico verso cosche private.
Da parte di molti commentatori insofferenti verso il colonialismo statunitense, si avverte una certa euforia per quello che sembrerebbe essere un segnale dell’irreversibile declino americano. Alcuni auspicano che la crisi finanziaria comporti un ritiro della presenza militare USA nel mondo, data l’impossibilità di sostenerne i costi. Una posizione del genere indica ancora una sudditanza verso le formule della propaganda statunitense, che vogliono far credere che siano gli Stati Uniti a pagarsi le loro basi militari nel mondo.
In realtà le cose non stanno così, poiché sono i Paesi ospitanti a pagare la presenza militare statunitense sul loro territorio, sia tramite contributi ufficiali, sia facendo da colonia commerciale per il traffico illegale di merci che avviene attraverso le basi. Tutti gli Stati-fantoccio creati dalla NATO in questi ultimi anni nell’Est Europa, sono dei sacrari della criminalità organizzata; in particolare, gli Stati creature della NATO, come Macedonia, Kosovo e Montenegro costituiscono la principale arteria del traffico di oppio proveniente dall’Afghanistan, che, guarda caso, è occupato dalla stessa NATO. Ma il traffico di droga è solo un aspetto del problema, dato che la NATO funziona come una cordata affaristica delle multinazionali, che sono organizzate ad un doppio livello, quello ufficiale e “legale”, e quello clandestino e illegale, che, d’altra parte, opera al riparo del segreto militare e del segreto di Stato.
Tutti questi problemi non vengono analizzati, piuttosto viene psicanalizzato chi li pone. Una delle “diagnosi” più ricorrenti, afferma che vedere manovre e messe in scena in determinate emergenze, diventerebbe un modo rassicurante per immaginarsi un potere mondiale onnisciente ed ancora in grado di controllare tutto. In realtà il fatto che l’11 settembre ed il crollo delle borse costituiscano delle “emergenze” fittizie e pilotate, non implica in sé nessuna capacità di controllo dei fenomeni mondiali in genere, ma solo di controllo dell’opinione pubblica.
Tra l’altro l’industria del consenso è diventata business del consenso, dato che le multinazionali e la CIA - che è una vera holding dei media e dello spettacolo - vendono al pubblico le loro pseudo-emergenze criminali o finanziarie, trasformandole in merci come libri, film e documentari. Oggi la produzione di best-seller dettati dalle varie emergenze determina anche un messaggio collaterale molto insidioso.
Per usare uno di quei chiasmi che erano molto cari ai Situazionisti, si può notare che il business del consenso è diventato consenso al business; cioè chi compra questi prodotti viene conquistato anche dal messaggio di successo e carriera che essi trasmettono. Dopo “Gomorra”, è chiaro per ogni napoletano che teorizzare e praticare l’autorazzismo, discettare sui miti della camorra e del degrado, rappresenta un modo sicuro per farsi strada nel mondo dell’editoria e dei media.
16 ottobre 2008
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