SÌ AL PRECARIATO, PURCHÈ IN MODO EDUCATO
Il sindaco di Roma, Walter Veltroni, il diessino "dal volto umano", si è fatto carico di avviare la riabilitazione delle legge Biagi, che istituzionalizza il precariato. Sacrificato dal sistema di dominio per santificare il precariato, oggi Marco Biagi ha a Roma una strada intitolatagli da Veltroni.
Gli slogan adoperati da Veltroni ricalcano quelli che ha usato l'ex governo durante la campagna elettorale appena trascorsa: sarebbe grazie alla legge Biagi che centinaia di migliaia di giovani avrebbero potuto uscire dalla disoccupazione e dal lavoro nero per accedere ad un rapporto di lavoro legalizzato, anche se a tempo determinato.
Una cinquantina di anni fa, durante la repressione francese in Algeria, Don Lorenzo Milani così descriveva l'atteggiamento della gerarchia cattolica nei confronti delle torture: dire coglione è un peccato, metterci un elettrodo no. Per quelli come Veltroni è la stessa cosa: tutto è ammissibile - precariato, apartheid, servitù della gleba, schiavismo -, basta non dire volgarità come Berlusconi e Calderoli. La differenza tra destra e sinistra è ormai questione di toni e non di contenuti.
In realtà le cosiddette argomentazioni a favore della legge che porta il nome di Biagi - che ne sia poi effettivamente lui l'autore, è tutto da dimostrare -, si basano su evidenti forzature. È vero infatti che l'entrata in vigore delle legge ha sbloccato le assunzioni, ma quelle stesse assunzioni erano rimaste in sospeso proprio perché agli imprenditori era stato detto di attendere finché non fosse stata approvata la legge.
Perché mai gli imprenditori avrebbero dovuto assumere lavoratori alle vecchie condizioni, quando gliene erano state promesse delle nuove, molto più vantaggiose? La realtà, che nemmeno le statistiche sono riuscite ad occultare, è che la propaganda sulla "flessibilità" e le aspettative che ne sono derivate, hanno avuto degli effetti di rallentamento sull'economia, scoraggiando gli investimenti.
Ancora una volta è accaduto ciò che gli schemi marxistici non sono in grado di vedere, e cioè che la logica del profitto è inserita in un contesto di gerarchizzazione sociale, perciò, come già diceva Montaigne, le leggi possono avere come movente il semplice odio contro l'uguaglianza.
Ratzinger ha detto che i poveri, per essere graditi a Dio, devono vivere la loro condizione senza rancore e senza invidia, altrimenti rischiano pure di andare all'Inferno. Anche Marx, nei "Manoscritti economico-filosofici", ha avallato questo luogo comune secondo cui esisterebbe un socialismo dettato dall'invidia dei poveri verso i ricchi.
Ma per essere oggetto di invidia non è affatto necessario avere qualcosa, basta che gli altri pensino che tu possa averlo. Nella società e nell'economia, le aspettative fanno realtà.
Comidad, 18 maggio 2006
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