Dal Cremlino ci si è preoccupati di precisare che
nell’incontro di San Pietroburgo dell’11 aprile tra Putin ed il mediatore americano Witkoff non si è parlato del dossier Iran. Ce n’è quindi abbastanza per supporre che la verità sia il contrario. Del resto non ci sarebbe nulla di strano se Trump e Witkoff coltivassero il sogno nel cassetto di accontentare l’AIPAC ma senza sobbarcarsi le terribili incognite di una guerra nel Golfo Persico. Si tratterebbe di ottenere una rinuncia dell’Iran alle sue capacità missilistiche e nucleari, quindi esponendosi inerme ai bombardamenti da parte di Israele, ed affidando in toto la propria sicurezza ad un “garante”, che dovrebbe essere Putin. Tra l’altro sarebbe lo stesso Putin che non ha mai concesso ai siriani l’uso della contraerea di fabbricazione russa contro gli attacchi israeliani.
Lo schema dell’accordo desiderato da Washington dovrebbe ricalcare quello del 2013 tra Obama e Putin sullo
smantellamento dell’arsenale chimico siriano. Obama non aveva nessuna voglia di intervenire militarmente in Siria, ma purtroppo aveva incautamente imposto ad Assad la linea rossa del non usare armi chimiche nel conflitto con le milizie sunnite che cercavano di rovesciare il regime. Con una dichiarazione così ingenua era pressoché inevitabile che arrivasse un “false flag” con cui accusare Assad di aver varcato la linea rossa.
D’altra parte l’Iran dovrebbe già sapere che
come “garante” Putin è in grado di offrirti una sola garanzia, cioè che, prima o poi, ti rifilerà il bidone, esattamente come ha fatto lo scorso anno con Assad e, prima ancora, con Saddam Hussein e Gheddafi. Nella guerra nel deserto i proiettili di artiglieria chimici sono efficaci per bloccare le avanzate nemiche. Nel dicembre dello scorso anno le truppe governative siriane si sono trovate per la prima volta in grave inferiorità tecnica di fronte agli attacchi dei droni di fabbricazione turca e, senza più avere a disposizione proiettili chimici, si sono dovute interamente affidare ad un appoggio aereo russo, che sembrava “garantito” dal 2015 e che invece è venuto a mancare.
L’inaffidabilità dimostrata dalla Russia come “garante” e “alleato” non è dovuta soltanto a motivi soggettivi, ma anche oggettivi, nel senso che non ci sono più le condizioni materiali per le grandi potenze di assicurarsi delle precise zone di influenza in cui far valere la propria volontà. Il passo indietro della Russia in Siria infatti ha immediatamente innescato
una lite condominiale tra Israele e Turchia, che si trovano per la prima volta ad essere confinanti. Per decenni Erdogan ha pronunciato vuote chiacchiere contro i massacri compiuti da Israele, mentre ora l’espansionismo sionista viene a pestargli direttamente i piedi. Se reagisse, Erdogan andrebbe in rotta di collisione con gli USA; se invece non reagisse, si dimostrerebbe debole e vulnerabile nei confronti dei suoi oppositori interni. Forse ad Erdogan sta sorgendo il dubbio di aver fatto il passo più lungo della gamba.
Putin e soci, con la loro politica della Russietta bottegaia, magari pensavano di star facendo il passo più corto della gamba; in realtà era un azzardo anche puntare sulla strategia commerciale dei gasdotti in territori militarmente occupati dagli USA, come appunto la Germania. Era quindi scontato che la propaganda della NATO sovvertisse l’evidenza e spacciasse il bottegaio Putin come un nuovo Hitler o un nuovo Gengis Khan. Da bravi bottegai, i dirigenti di Mosca continuano a vendere troppo facilmente gli alleati in base alla valutazione che gli costi troppo sostenerli; ma la coperta è corta, ed il non correre rischi spesso li aumenta. L’Iran confina con la Russia e, mentre in Ucraina Putin e soci stanno ancora tappando la falla che gli si è aperta ad ovest, adesso con la loro ambiguità nei confronti delle minacce sioniste e statunitensi contro Teheran, rischiano di ritrovarsi una falla ancora più larga a sud.
Tutte le potenze sono tendenzialmente imperialiste, ma stabilire un’area di influenza comporta un livello di superiorità militare ed economica che sembra non essere più alla portata di nessuno. L’insicurezza dei propri mezzi rende sempre più inaffidabili e imprevedibili. Mentre Putin vende i propri alleati, Trump li umilia inutilmente. Ciò che rende ridicole e velleitarie le sortite di Trump su Groenlandia, Canada e Panama, è che questi territori già fanno parte da svariati decenni dell’orticello coloniale degli USA e non manifestano alcuna intenzione di uscirne. Gli apologeti di Trump si fanno incantare dalle dichiarazioni roboanti contro l’invadenza cinese e non vedono che il problema riguarda l’incapacità degli Stati Uniti di investire in quei paesi e di farsi carico delle loro infrastrutture; anzi, gli USA hanno dimostrato di non essere più in grado di mantenere neanche le proprie infrastrutture, dato che rete elettrica, strade, ponti, ferrovie e porti sono tutti in stato di grave obsolescenza.
La Cina ha cominciato ad entrare a Panama ed in Groenlandia con propri investimenti perché c’era un vuoto in cui inserirsi. Se Trump annettesse formalmente quei paesi dovrebbe affrontare i costi amministrativi della loro gestione e quindi non farebbe altro che mettere in evidenza ulteriormente l’incapacità americana di sostenere le spese di un’annessione.
Ma i maggiori specialisti degli assegni senza copertura si trovano da questo lato dell'Atlantico. Nel 2011, con l’aggressione alla Libia, abbiamo visto
una riedizione dell’imperialismo franco-britannico, che sembrava sepolto dopo la figuraccia del 1956 a Suez. Dopo pochi giorni dall’attacco Sarkozy e Cameron finirono le munizioni e dovettero rivolgersi ad Obama; infatti questi in un’intervista di qualche anno dopo si lamentò di essere stato turlupinato, in quanto francesi e britannici gli avevano fatto credere di essere in grado di sostenere i rischi e gli oneri del dopo Gheddafi; ovviamente erano tutte fanfaronate. L’11 settembre del 2012 a Bengasi una milizia islamica assalì il consolato americano uccidendo l’ambasciatore Christopher Stevens, ed inducendo anche gli USA a sloggiare. Dato che la natura aborre il vuoto, oggi la Libia è lottizzata da due colonialismi a fichi secchi, quello turco e quello russo.
Con lo stesso velleitarismo e con la stessa cialtroneria del 2011, oggi i franco-britannici vorrebbero persino lanciare una nuova cordata imperialistica contro la Russia, in una specie di rievocazione amatoriale della guerra di Crimea del 1853-1856. Nel grottesco ci sono risvolti ancora più grotteschi, come il seguito di follower che il cialtro-imperialismo di Francia e Regno Unito si è conquistato tra giornalisti e accademici di “area progressista” sin dall’epoca dell’attacco alla Libia. Nel 2011 contro Gheddafi, come adesso contro Putin, uno dei più entusiasti nell’accodarsi alla cordata franco- britannica è Aldo Giannuli. Il professore infatti ripresenta sempre
lo stesso schema comunicativo, con innumerevoli distinguo e intricate contorsioni dialettiche, il cui scontato risultato però è semplicissimo; cioè che, quando si tratta di eliminare il “dittatore” di turno, al Sacro Occidente tutto è permesso.