La magistratura è venuta ancora una volta in soccorso del governo Meloni, riproponendo al pubblico dei follower il consueto psicodramma delle “toghe rosse” che boicotterebbero la presunta “difesa dei confini”. In realtà la politica migratoria non è nelle effettive disponibilità di un governo, di qualsiasi colore esso sia; ed a provarlo c’è lo stesso oggetto del contendere in questa circostanza, dato che il trasferimento di migranti al mitico “hub” in Albania riguardava una dozzina di persone. Il governo Meloni può comunque rivestire i panni della vittima nella pantomima dello scontro tra “destra” e “sinistra”. Il vittimismo è la vera ideologia del potere, per cui anche dei potenti di infimo grado come Meloni e soci si adeguano.
Purtroppo anche nei rituali della fintocrazia ogni tanto s’infila qualche guaio vero da cui districarsi, ed allora tocca di discernere nello scemenzaio quelli che sono gli slogan del puro intrattenimento da quelli che servono invece a distrarre e prender tempo in attesa di capire cosa fare. Sul sito web dell’aedo governativo Nicola Porro c’è la plastica rappresentazione della dicotomia tra il riposo mentale all’ombra del tutto finto (come il copione annoso dello scontro tra politici e magistrati), ed un caso in cui invece la finzione copre scenari di reale incertezza, neppure prospettati alla pubblica opinione.
In due articoli, uno accanto all’altro, il governo Meloni viene difeso ed elogiato nella fittizia vicenda dello scontro con le “toghe rosse”, ed invece rampognato per non aver ancora obbedito agli ordini di Israele e sgomberato le truppe italiane dal Libano.
La questione della fuoriuscita o meno delle truppe UNIFIL dal Libano non riguarda la credibilità dell’ONU, poiché quest’organizzazione non vive assolutamente di credibilità, bensì esclusivamente di se stessa, in quanto è una macchina burocratica di prebende e stipendi, che ha ormai ramificato e sedimentato una rete di privilegi. Per questo motivo l’ONU può essere chiamata a fare ogni tanto il lavoro sporco a favore di USA e Israele, per poi ritirarsi dalle responsabilità con l’alibi della propria impotenza. Il fatto però che l’ONU come struttura passi indenne ogni figuraccia, non vuol dire affatto che se la passino sempre liscia i funzionari ONU lasciati sul campo. I sionisti che scrivono sul sito di Nicola Porro guardano esclusivamente agli interessi di Israele, sono pronti ad infangare l’UNIFIL accusandola di complicità con Hezbollah e se ne fregano del problema dell’incolumità dei soldati italiani in Libano; anzi, fingono spudoratamente che quell’incolumità sarebbe tutelata se i nostri soldati si ritirassero alla svelta, prima di trovarsi “tra due fuochi”. La cosa sconcertante è che altrettanta subdola superficialità la si riscontri nelle
posizioni di un giornale online come “Analisi Difesa”, di solito considerato una fonte equilibrata. Certo, “Analisi Difesa” riconosce che le spiegazioni israeliane sugli spari contro le basi UNIFIL, spacciati come “incidenti”, sono tutte balle; ma poi si rimprovera all’UNIFIL di non aver adempiuto al suo mandato di disarmare le milizie come Hezbollah e quindi si avalla il vittimismo israeliano, come se non fossero state manifestate più volte le pretese sioniste sul fiume libanese Litani.
L’aspetto più grave è però che anche “Analisi Difesa” lascia credere che l’eventuale fuoriuscita dei militari italiani dal Libano costituisca una decisione puramente amministrativa, come aprire la porta e andarsene. In realtà, “estrarre” incolumi le truppe UNIFIL dal Libano non è affatto facile dal punto di vista tecnico-militare, poiché si tratta di evacuare delle basi con dei bunker, cioè pezzi di territorio libanese che, in base al diritto internazionale, dovrebbero essere riconsegnati al governo libanese, ma che invece l’esercito israeliano cercherebbe immediatamente di occupare dalla sua attuale posizione di vantaggio, dato che già circonda e bersaglia le basi UNIFIL, persino con proiettili al fosforo. A questo punto subentrerebbero tutte le incognite, poiché non c’è nessuna garanzia che i militari israeliani aspettino che la smobilitazione delle truppe UNIFIL si compia pacificamente; anzi, è scontato che gli israeliani entrerebbero a smobilitazione in corso col solito alibi degli scudi umani. Non c’è inoltre nessuna garanzia neanche del fatto che Hezbollah non cerchi di contrastare con lanci di razzi e droni la presa delle basi UNIFIL da parte degli israeliani. Il rischio di trovarsi tra due fuochi per l’UNIFIL sarebbe perciò molto più concreto durante una smobilitazione dalle proprie basi che a rimanerci dentro, al riparo nei bunker, come adesso. C’è di mezzo Israele ed i suoi precedenti storici parlano chiaro. Nel giugno del 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni,
trentaquattro marinai della nave della Marina statunitense USS Liberty furono uccisi dalle forze armate israeliane con ripetuti attacchi aerei e navali. Gli israeliani la fecero franca anche allora, e gli USA, grazie al controllo dei media, sottraggono al grande pubblico questa imbarazzante notizia da quasi sessant’anni. Come un adolescente psicopatico, Israele mette continuamente alla prova il proprio grado di impunità e, visto che ha potuto ammazzare senza problemi trentaquattro militari americani, figuriamoci che scrupoli si farebbe con i nostri soldati. Comunque a quei trentaquattro marinai americani è andata di lusso, perché gli sono toccati la morte e l’oblio ma non il disonore; infatti nel 1967 Nicola Porro e Claudio Cerasa non erano ancora in attività e quindi non hanno potuto accusarli di fare da complici e scudi umani al terrorismo.
Il governo Meloni può rimanere tranquillamente indifferente al genocidio di centinaia di migliaia di arabi, ma non reggerebbe politicamente alla perdita di soldati italiani. Il povero Crosetto deve quindi prendere tempo. Bisogna dare atto a Crosetto di non aver voluto scadere nel sadomaso come
Tajani, che è andato a chiedere “rassicurazioni” a Netanyahu di non spararci più addosso; e purtroppo le ha ottenute, il che rappresenta una garanzia che l’UNIFIL è un bersaglio peggio di prima.
Sarebbe stato però molto più conveniente per Crosetto dire direttamente la verità, spiegando ai faciloni che smobilitare delle truppe di interposizione durante una guerra guerreggiata non è affatto una formalità, perché si rischia di prendere mazzate da ogni lato. Non era neppure necessario dire tutta la verità, e cioè che le speranze di salvezza dell’UNIFIL sono affidate alla prospettiva che Hezbollah riesca a spingere l’esercito israeliano fuori dal Libano. Crosetto ha invece preferito rendersi ridicolo propinando all’opinione pubblica la gradassata del
cambiare le “regole d’ingaggio” consentendo ai nostri soldati di rispondere al fuoco; pur sapendo che l’armamento dell’UNIFIL è troppo “leggerino” per rendere praticabile una scelta simile. D’altra parte bisogna scusare Crosetto, perché, a furia di frequentare cattive compagnie nel suo governo, nella NATO, nel G7 e nell’Unione Europea, si è convinto che parlare equivalga a vendere fumo.