Per fortuna non tutti gli osservatori si sono lasciati distrarre dal demenziale discorso pronunciato il 24 luglio dal primo ministro israeliano Netanyahu di fronte al Congresso USA; anzi buona parte dell’attenzione si è rivolta al vero evento, cioè alla rappresentazione coreografica della cleptocrazia offerta dai congressmen, i quali si sono mossi all’unisono per far scattare gli applausi e le standing ovation sotto
la sorveglianza dei loro “baby sitters” dell’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee). La condizione di assoluta dipendenza psico-finanziaria dei deputati statunitensi nei confronti della lobby israeliana è stata rivelata nei dettagli un mese fa proprio da un parlamentare, il repubblicano Thomas Massie.
Il fatto strano non è che esista un’organizzazione che si occupa per conto di Israele di pubbliche relazioni negli USA, bensì che questa operazione a favore di uno stato straniero avvenga raccogliendo contributi esentasse, sotto l’ombrello della legislazione che assicura
vantaggi fiscali alle organizzazioni “non profit”. Il contribuente americano (il contribuente vero, quello che paga le imposte indirette sui consumi e non può rivalersi su nessuno) però è
fregato due volte, poiché l’azione dell’AIPAC è mirata a convogliare denaro pubblico americano per finanziare Israele, costantemente sotto minaccia da parte dei suoi vicini.
Il lobbying non è uno strumento neutro, non potrebbe essere usato con efficacia a favore di politiche di pace, poiché soltanto le minacce incombenti possono smuovere grandi masse di denaro pubblico in brevi lassi di tempo. Per un lobbista essere bellicista ed emergenzialista è una questione di sopravvivenza; così come la corruzione è inevitabilmente a fondamento del sistema del lobbying; perciò l’esito politico del lobbying non può essere che la cleptocrazia. D’altra parte “emergenzialismo”, “lobbying”, “cleptocrazia” sono nomi, mentre la cosa consiste in un flusso di denaro pubblico che attraversa ed anima la politica, le agenzie governative, le corporation e le società non profit. Le persone prive di fantasia sono quindi una grave minaccia per il lobbying: invece di discettare sulla questione ebraica, guardano l’AIPAC che raccoglie denaro tramite l’evasione fiscale legalizzata, ed usa quel denaro per influenzare le scelte di spesa del Congresso; poi
un’affiliata dell’AIPAC, l’AIEF, organizza viaggi “educativi” di congressmen in Israele. La persona senza fantasia si limita a fare due più due e si figura che l’AIPAC sia un’organizzazione di riciclaggio di denaro (“money laundering” come dicono gli anglofoni), quindi pensa che quei viaggi in Israele servano per dare modo ai congressmen di riscuotere la tangente lontano dai possibili controlli. Negli USA le agenzie abilitate ad operare intercettazioni sono decine, quindi ogni tangente rischia di essere decurtata per tacitare altri funzionari che volessero partecipare all’affare. In Israele questi inconvenienti non avvengono e si può andare tranquillamente a prendere valigie di contanti, oppure trasferire la tangente in conti numerati in banche estere, o anche acquistare immobili alle Maldive.
Israele è una proiezione della cleptocrazia americana, la sponda estera che permette all’AIPAC di giustificare la sua esistenza e la sua funzione di riciclaggio per la quale una gran parte dei finanziamenti che Israele riceve dagli USA ritorna a casa sotto forma di tangenti. Come è noto Israele non ha una forma giuridica precisa, non si autodefinisce una repubblica, ma genericamente uno Stato.
Israele non ha neppure una vera Costituzione ma un insieme di leggi fondamentali privo di una gerarchia delle fonti, perciò è costretto a vivere in una revisione costituzionale perenne in cui sono le emergenze e le minacce esterne a dettare i comportamenti. Questo stato di grazia Israele lo può vantare sin dalle sue origini, mentre da noi è un risultato che si è raggiunto attraverso un lavoro lungo e faticoso.
Lo Stato di Diritto è una chimera, però c’è sempre il rischio che in un regime di legislazione stabile e perennemente uguale a se stessa si finisca per conformarsi al dettato della legge per abitudine e pigrizia. Il lobbying spinge automaticamente nella direzione opposta, quella dell’incertezza del Diritto, quindi delle continue “riforme” e della revisione costituzionale permanente.
In una delle prime stesure della Costituzione italiana ipotizzate nel 1947, si prevedeva all’articolo 54 addirittura il diritto dei cittadini a resistere e a ribellarsi ai poteri pubblici in caso di violazione dei principi costituzionali. Avvenne invece che la “Costituzione nata dalla Resistenza” non riconoscesse il diritto alla resistenza, quindi l’ANPI sarebbe incostituzionale. D’altra parte la prudenza dei padri costituenti aveva un senso, dato che i testi costituzionali proclamano principi spesso opposti, perciò si rischierebbe di legittimare una ribellione permanente. Ciò era vero già nel 1948, figuriamoci dopo che ci sono stati la riforma del Titolo V e l’inserimento dell’obbligo di pareggio di bilancio.
Le Costituzioni hanno completamente mancato alla loro promessa storica di garantire ai cittadini un quadro di regole chiare che vincolasse il potere al rispetto della legalità. L’effetto pratico del costituzionalismo è stato invece di creare una nuova categoria accademico/antropologica di ciarlatani professionisti, la categoria dei “costituzionalisti”, che sono dei missionari dell’incertezza del Diritto. L’argomentazione dei costituzionalisti è quasi sempre all’insegna della superficialità e dell’estemporaneità, ma soprattutto della faccia tosta.
Giuliano Amato e Sabino Cassese nel 2016 presero posizione a favore della conferma referendaria della revisione costituzionale promossa dal governo Renzi. Secondo Amato era da considerarsi positivo il semplice fatto che ci fosse una riforma costituzionale approvata e da discutere nel merito. Secondo Cassese, le Costituzioni non vanno considerate immutabili, il che di per sé dimostra che bisogna cambiarle. Amato e Cassese considerano entrambi come un valore in sé il cambiamento della legge fondamentale dello Stato.
Negli Stati Uniti non vi sono mai stati veri progetti di revisione costituzionale, per cui il “lavoro sporco” è stato fatto dalla giurisprudenza della Corte Suprema, che, con “motivazioni” molto approssimative, ha esteso alle corporation, ed anche alle società non profit, tutti i diritti costituzionali riconosciuti all’individuo, rendendole però immuni dalle responsabilità. Secondo la valutazione di giuristi accademici, questa
giurisprudenza considerata “pro business” in realtà non ha affatto favorito l’economia ma soltanto l’incertezza e l’abuso. Infatti anche da noi oggi le vere revisioni costituzionali le fanno i costituzionalisti, cioè le Corti Costituzionali, che svolgono un ruolo “creativo”. Nel 2017 la Consulta, in una sentenza in cui apparentemente si limitava a dichiarare incostituzionali alcuni contenuti della
legge elettorale detta giornalisticamente “Italicum”, in realtà elevava a principi di “rango costituzionale” la stabilità dei governi e la rapidità dei processi decisionali, tutta roba che nella Costituzione non c’è. Il cambiamento perciò è positivo se riguarda le Costituzioni, ma non lo è per i governi, che invece dovrebbero essere stabili, poiché solo un governo stabile può rendere più rapido il cambiamento. Non soddisfatti di questa esibizione dialettica da cinepanettone, i giudici costituzionali in quella sentenza del 2017 riformarono persino l’aritmetica, stabilendo che la maggioranza non si raggiunge più col 50% più uno, bensì col 40%.
L’Italietta è comunque “fortunata”, poiché in questo generale spappolamento costituzionale a livello internazionale, rimane pur sempre da noi il punto fermo dell’onnipresenza del Presidente della Repubblica ogni volta che si tratta di nominare ministri, giudici costituzionali e governatori della Banca d’Italia; ed anche quando ci sia da presiedere il Consiglio Superiore della Magistratura ed il Consiglio Supremo di Difesa. I nostri padri costituenti sono stati quindi i soli a dimostrarsi davvero previdenti, preveggenti e sgamati nei confronti di una possibile deriva emergenzialista, tracciando
una Costituzione repubblicana con un sistema monarchico latente. Si è fatto quindi in modo che, anche quando fosse saltato tutto, comunque un re non ce lo si facesse mancare. Solo gli incontentabili potrebbero obiettare che questo re starebbe sempre a parlarci di emergenze.
Ringraziamo Cassandre