Quando ti hanno già sfondato il culo a calci, ma che senso ha chiederti di calarti pure le brache? I media nostrani purtroppo non dimostrano nessuna empatia e nessuna comprensione per quel difficile mestiere che è il fingere di governare. Come al solito
il più spietato è il “Corriere della Sera”, che, dopo tutte le vessazioni, umiliazioni ed esclusioni che hanno sopportato Giorgia e Giorgetti in sede europea, ora pretende persino da loro che ratifichino la riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità. Il Corriere punta sui reprobi il dito accusatore: per colpa vostra gli altri paesi europei non potranno “godere” (sic!) dei vantaggi del MES in nuova versione. Ma come? Questo governo ha tagliato tutto quello che si poteva tagliare, ha ratificato una riformulazione del Patto di Stabilità che fa sembrare la stesura precedente il quarto d’ora di ricreazione; ora da Bruxelles è partita addirittura una procedura d’infrazione per eccesso di spesa e Giorgetti sarà costretto a rientrare nei parametri. E allora lasciate al governicchio Meloni almeno il contentino, un osso da lanciare ai propri follower.
Tra l’altro questa ossessione del MES non ha riscontro in altri paesi europei, in quanto nessuno all’estero ha intenzione di ricorrervi, mentre da noi invece lo scopo è proprio quello. Soltanto da noi sembra che il MES sia una questione di vita o di morte, ciò a causa della passione nostrana per il “vincolo esterno” e del proposito di rafforzarlo ulteriormente. Riguardo al “vincolo esterno”, si fronteggiano due narrazioni, che sono solo apparentemente opposte, in realtà complementari. Da una parte ci sono quelli che lo presentano come un’imposizione di potenze straniere intenzionate ad impedire all’Italia di esprimere le sue potenzialità; mentre dall’altra ci sono quelli che individuano i veri problemi dell’Italia nelle sue storiche arretratezze che non si ha il coraggio di affrontare, quindi il vincolo esterno deve essere il benvenuto, perché almeno ci costringe a fare qualche riforma. In quest’ultima narrazione si distinguono
alcuni “economisti”, come ad esempio Michele Boldrin. Costui è un vero personaggio, ha una comunicativa da attore delle fiction, ed esibisce un aspetto da energumeno perennemente incazzato, che ricorda un esattore del pizzo. In questo senso Boldrin ha un’affinità antropologica anche con altri cantori/esattori del vincolo esterno, come Luigi Marattin.
Il cosiddetto “economista” è una specie di elfo o folletto, cioè egli stesso è un personaggio delle fiabe che racconta. Nel racconto dell’economista astrazioni giuridiche come “Stato” e “Mercato” diventano personaggi di una rappresentazione: “Stato” si decide a fare un “passo indietro” per dar modo a “Mercato” di esibire le sue mirabilie; ma immediatamente c’è un intoppo e “Mercato” va a frignare da “Stato”, dicendo che dei tipi brutti e cattivi, chiamati “Arretratezze Storiche” e “Resistenze Corporative” lo hanno bullizzato. “Mercato” chiama “Economista” a dargli man forte, e questi si presenta aggressivo, digrignante e assetato del sangue dei nemici del progresso; quindi “Stato” è costretto a ritornare in campo per dar man forte a “Mercato”. La realtà è infatti più cruda e violenta, quindi la storia della formazione di un “vincolo esterno” è spesso una scia di sangue. Nel settembre del 1955 ci fu in Argentina il colpo di Stato che rovesciò il regime di Juan Domingo Perón; ma
i fatti più gravi erano avvenuti nel giugno precedente, quando aerei della Marina e dell’Aviazione argentine avevano bombardato la Plaza de Majo e il palazzo presidenziale. Il bombardamento causò centinaia di morti e si accanì particolarmente sulla manifestazione sindacale indetta dalla CGT. D’altra parte i militari stavano sparando sugli operai, cioè su “Arretratezze Storiche” e “Resistenze Corporative”, quindi erano spari di progresso. Non per niente tra i golpisti argentini c’era anche quell’altra forza di progresso che è la Chiesa Cattolica.
Il primo atto politico rilevante dei militari golpisti avvenne nel 1956, quando
l’Argentina aderì al Fondo Monetario Internazionale. Così si formano i vincoli esterni; sono il risultato di una guerra civile, di una guerra di classe in cui l’oligarchia ha scatenato la violenza per stroncare le istanze del lavoro e le garanzie sindacali, e cerca poi di consolidare l’oppressione di classe ponendosi sotto un ombrello imperialistico. L’auto-colonialismo diventa il garante dell’esclusione degli interessi dei lavoratori e dei poveri in genere. Il FMI in Argentina è diventato la sponda estera, il vincolo esterno con cui giustificare l’oppressione interna.
Il vero bersaglio del golpe del’55 e dei tanti altri golpe successivi non era il peronismo, ma i sindacati. Una certa propaganda tenta di presentare l’elezione dell’attuale presidente argentino Xavier Milei come una naturale reazione agli sperperi ed alle dissolutezze dei governi peronisti. Fortunatamente lo stesso Milei si è incaricato di smentire questa narrativa demenziale, quando ha rivendicato la propria continuità con un altro presidente, cioè il peronista Carlos Menem, in carica dal 1989 al 1999.
Milei ha celebrato Menem come “il miglior presidente degli ultimi quarant’anni”. In Argentina, come ovunque, i partiti sono solo cartelli elettorali, gusci vuoti da riempire come si vuole.
Anche Menem fu acclamato dal FMI e dai media mondiali per le sue riforme “liberiste”, cioè le privatizzazioni e
lo spostamento della tassazione dai ricchi sui poveri attraverso l’aumento delle imposte indirette sui consumi di prima necessità; carburanti in primis. Sfrondando le fiabe e le fesserie sul “libero mercato” (però a “sinistra” c’è ancora chi se le beve), a questo si riduce il sedicente liberismo: tagliare l’assistenzialismo per i poveri e stra-finanziare l’assistenzialismo per i ricchi. La “mano invisibile del mercato” di Adam Smith è il mitico fantasma con il quale distrarre dalla mano visibile che deruba i contribuenti poveri. I campioni del liberismo, da Reagan a Menem, hanno sempre lasciato le finanze pubbliche peggio di come le hanno trovate. Ma il cosiddetto “economista” ha sempre la rispostina pronta, e ci spiega che purtroppo i liberisti non sono stati “abbastanza” liberisti. Il “giochetto del mai abbastanza” ormai si è capito: le liberalizzazioni non liberalizzano mai abbastanza, le riforme strutturali non sono mai abbastanza strutturali, e così via.