Le parole dovrebbero essere annoverate nell’elenco delle droghe pesanti, e purtroppo a chiunque può capitare di farsi ogni tanto una “pera” eccessiva.
Il quotidiano neocon “il Foglio” si è approfittato del “trip” di uno dei padri costituenti, Umberto Terracini, per fargli fare una figuraccia postuma mettendo in evidenza alcune sue frasi poco felici in sostegno di Israele. Dopo averci ammonito sul fatto che anche Terracini considerava l’antisionismo una forma di antisemitismo, ci viene proposta una citazione nella quale il vecchio comunista contestava ai governi dei paesi arabi “il rifiuto testardo al riconoscimento di Israele, vero oppio per quelle masse immiserite e incolte”. Ma, con tutta la buona volontà, riconoscere cosa? Le masse arabe saranno anche “immiserite e incolte”, però si sono accorte del fatto che Israele non ha mai chiarito quali siano i suoi confini territoriali, cioè dove intende fermarsi e neppure se intende fermarsi.
Le diatribe pretestuose su antisionismo ed antisemitismo sono a loro volta nuvole di una fumeria d’oppio, mentre la domanda concreta su quelli che Israele considera i propri confini definitivi non se la fanno soltanto i palestinesi, ma soprattutto i libanesi e i siriani, visto che sono in gioco le loro fonti idriche. Il contenzioso riguarda infatti
il controllo dei fiumi, quindi non soltanto la terra ma anche l’acqua. La questione palestinese è l‘aspetto più grave, plateale e sanguinoso del conflitto arabo-israeliano, ma non è l’unico.
L’oppio delle masse arabe sarebbe il testardo rifiuto di riconoscere Israele, mentre invece
la cocaina nostrana è la “democrazia liberale”. Secondo la vulgata occorre difendere Israele perché è un’isola di democrazia liberale in quel mare di paesi retrogradi e autoritari che è il mondo arabo-islamico. La “democrazia” è quindi uno status antropologico (ovvero una condizione di superiorità razziale), un rango internazionale così elevato da consentire di trattare gli altri paesi da inferiori. Si tratta ovviamente di propaganda, ma le gerarchie antropologiche hanno comunque un effetto pratico molto preciso, cioè che una parte si riserva il diritto di mantenere illimitate le proprie pretese e di non attenersi alle regole che valgono per gli altri. Potrebbe darsi però che il termine “democrazia” sia solo uno pseudonimo di qualcos’altro.
Le coppie semantiche sono infatti molto “freudiane” e rivelatorie del pensiero profondo, per cui accostare la parola “immiserito” alla parola “incolto” è un modo di evocare inconsciamente il primato antropologico della ricchezza nei confronti della massa degradata dei poveri. Sebbene si faccia chiamare in altro modo ed interpreti vari personaggi, spesso il vero attore protagonista è il denaro, per cui anche alla cerimonia degli Oscar non si sa mai se si sta premiando il film considerato migliore, oppure quello che ha avuto il budget più alto. Secondo un articolo del 2013 del quotidiano israeliano “Haaretz”, in sessanta anni gli Stati Uniti avevano già versato ad Israele
aiuti finanziari per 234 (duecentotrentaquattro) miliardi di dollari al netto dell’inflazione. Sempre secondo “Haaretz” tali finanziamenti non erano dovuti a pressioni lobbistiche, bensì ad una profonda affinità strategica e politica; cioè una corrispondenza d’amorosi sensi tra due “democrazie”, come a dire nozze tra aristocratici. Ma al di là delle nobili motivazioni e dei gossip, le centinaia di miliardi di dollari possono vantare una “vita propria”, creano una bolla finanziaria e una “massa d’urto” in grado di orientare e condizionare gli eventi. Se parole come “sionismo”, “antisemitismo”, “democrazia” eccetera, possono drogare la comunicazione, tanto più gli avvenimenti possono essere drogati e gonfiati da iniezioni finanziarie di quella portata. Il denaro ha carisma, crea euforia, suggestioni, narrazioni, aspettative e, soprattutto, dipendenza, quindi ci sarà bisogno di dosi crescenti, tanto da mettere in conto genocidi e guerre mondiali pur di scongiurare le crisi d’astinenza.
Prima di diventare il figlio viziato, tossicodipendente e scapestrato degli USA (una specie di Hunter Biden collettivo), l’Israele del 1948 aveva trovato
il suo mallevadore e fornitore di armi nell’Unione Sovietica di Stalin. Ma trent’anni prima, nel novembre del 1917, il riconoscimento del movimento sionista e la legittimazione di una patria ebraica in Palestina avvennero tramite una letterina privata del conte di Balfour, all’epoca ministro degli Esteri inglese, al barone Rothschild, il noto super-banchiere; quindi il massimo della “democrazia”. A dare retta a quello che riporta l’archivio web della famiglia Rothschild, la vicenda della Dichiarazione Balfour ha dei risvolti persino più inquietanti. Pare infatti che il “do ut des” sottostante alla Dichiarazione Balfour fosse stato l’impegno che Rothschild e soci avevano profuso (distribuendo mazzette?) per far entrare gli Stati Uniti in guerra contro la Germania, cosa che era avvenuta nell’aprile precedente. Nella
ricostruzione degli eventi legati alla Dichiarazione Balfour viene sottolineato il ruolo svolto dal sionismo cristiano, che era molto diffuso nell’aristocrazia inglese; circostanza che conferma che nel sionismo reale il fattore etnico ebraico appare piuttosto labile. Si può speculare sull’ipotesi se vi sia stato dolo, ma secondo la loro stessa autobiografia familiare i Rothschild hanno oggettivamente presentato gli ebrei come una minaccia esistenziale per il popolo tedesco, mettendo quindi a rischio l’incolumità delle comunità ebraiche in Germania e nell’Europa dell’est. Intenzionalmente o meno, ciò ha di fatto favorito il sionismo.
Non si può attribuire il successo del sionismo al suo presunto potenziale identitario, in quanto durante la prima guerra mondiale l’identificazione degli ebrei askenaziti con la nazione tedesca fu assoluta; infatti “askenazita” significa “tedesco” e la lingua Yiddish è un dialetto germanico. L’esercito tedesco della guerra del 1914-1918 era notoriamente
pieno di ufficiali ebrei; meno noto è che la presenza ebraica fu rilevante anche nella Wehrmacht e nelle Waffen SS della seconda guerra mondiale, il che indica la persistenza di un sentimento nazionale tedesco negli ebrei, oltre che un notevole opportunismo dei nazisti allorché si trattava di preservare le capacità belliche.
Nel corso della prima guerra mondiale era stato enorme l’impegno bellico degli scienziati ebrei, come dimostra il caso di
Fritz Haber, insignito del premio Nobel per la chimica e, grazie al quale, l’esercito del kaiser fu il primo a dotarsi di armi chimiche. Il denaro aveva però drogato gli eventi e li aveva ri-narrati; perciò, nonostante il suo nazionalismo tedesco e i suoi “meriti” patriottici, Haber non sfuggì alla persecuzione nazista, ma per sua fortuna era abbastanza ricco e ammanigliato da riuscire a riparare in Svizzera.