Il Sacro Occidente non ha mai preteso di essere perfetto e immune da critiche; si accontenta più modestamente di stabilire di essere meglio dei regimi dittatoriali che lo circondano e lo minacciano. Non è vero che noi pretendiamo di essere i buoni, è solo che gli altri sono cattivi e ci dobbiamo difendere, quindi siamo costretti a spendere per le armi. Andando al sodo, a questo si riduce l’essere occidentali: comprare armi. Potevano dirlo subito senza tanti preamboli inutili. Chissà quante armi ci siamo fatti sfuggire con queste perdite di tempo. Il governo tedesco finalmente si è svegliato accorgendosi della minaccia russa; perciò si è dato una mossa: prima si è comprato tanti caccia F-35 dagli Stati Uniti, poi nel novembre scorso ha concluso
un contratto con Israele per acquistare il sistema di difesa antimissile “Arrow 3”, che le Industrie Aerospaziali Israeliane (IAI) producono insieme con la statunitense Boeing. La consegna del sistema antimissile è per il 2025, quindi giusto in tempo per fermare la prossima invasione russa. Il sistema “Arrow 3” ha funzionato benissimo contro un missilino balistico lanciato dallo Yemen, quindi è certo che funzionerà alla grande anche contro i missili ipersonici russi.
Nel 2021
un saggio di Or Rabinowitz cercava di sfatare tutti i falsi miti che si erano creati dal 1986 attorno all’accordo tra l’amministrazione Reagan ed il governo israeliano per costruire e finanziare il sistema “Arrow”. Secondo voci malevole era stata la Israel Lobby AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) a persuadere Reagan di finanziare il progetto; al contrario, secondo Rabinowitz, il presidente Reagan avrebbe agito così per motivi interni, sia strategici, sia giuridici. Sulle motivazioni di Reagan si può discettare, ma rimane il fatto che è stato il governo americano a mettere i soldi ed a mandarli in Israele. Che le motivazioni fossero interne renderebbe la cosa persino meno trasparente. Qualcuno potrebbe persino sospettare che questi invii di denaro all’estero da parte delle amministrazioni americane siano dei “money laundering”, cioè delle operazioni di riciclaggio di denaro: finanzi un soggetto estero con denaro pubblico ed una parte ti ritorna come denaro privato.
Con il sistema “Arrow” forse l’AIPAC non c’entrava, però pare che si sia inserita nel giro una filiazione della stessa AIPAC, cioè l’ELNET (European Leadership Network). Si tratta di una ONG fondata circa quindici anni fa, che si incarica di stabilire solide relazioni “culturali” tra Israele e l’Europa.
Un articolo celebrativo sul “Jerusalem Post” ci spiega tutto: a causa della guerra in Ucraina l’Europa è in piena rivoluzione, deve cambiare praticamente tutto; ma provvida è arrivata la lobby israeliana ELNET a dare la leadership. L’ELNET stessa ci racconta come ha salvato la Germania, che aveva smarrita la diritta via e annaspava nel buio; finché non le si è fatta intravedere la luce della rivelazione, che consisteva nel comprarsi il sistema “Arrow 3”.
L’ELNET quindi non ha nessuna remora nel riconoscere che la “cultura” (quella vera, quella seria) consiste nel trafficare in armi. C’erano sedi dell’ELNET in tutta Europa e solo in Italia no. Meno male che la ferita è stata sanata. Una notizia ANSA ci fa sapere che il 7 febbraio scorso
finalmente anche in Italia l’ELNET ha colmato il vuoto di leadership aprendo un ufficio a Roma. Ricordiamocene con gratitudine la prossima volta che il nostro ministero della Difesa farà la lista della spesa.
Ad onta dei paranoici che potrebbero fissarsi soltanto con l’AIPAC e l’ELNET, occorre rilevare che la guerra in Ucraina ha determinato negli USA un’espansione notevole del lobbying delle armi, con risvolti inattesi.
Molte agenzie di lobbying hanno adottato la causa ucraina “pro bono”, cioè senza percepire alcun compenso dal committente. Anche agenzie che erano pagate dalla Russia per svolgere attività di lobbying, hanno abbandonato il loro vecchio committente per correre a lavorare “gratis” per l’Ucraina. Per fortuna questi lobbisti così generosi non finiranno sul lastrico a causa del loro idealismo, poiché stanno ricevendo i compensi dalle industrie delle armi, che fanno affari d’oro grazie alla “resistenza” ucraina. I lobbisti hanno fatto davvero un buon lavoro, poiché la torta di denaro pubblico da spartirsi è di oltre cento miliardi di dollari, dei quali solo una minima parte va effettivamente in Ucraina, mentre la maggiore porzione rimane negli USA, riservata alle industrie delle armi ed ai lobbisti altruisti. Lobbying e cleptocrazia militare sembrano fatti apposta l’uno per l’altro.
Il lobbying delle armi tende quindi a prevalere non per un piano prestabilito, ma per un’intrinseca dinamica interna al lobbying stesso, il quale si indirizza dove sono i maggiori flussi potenziali di denaro pubblico. Il pacifismo non ha speranze proprio perché non comporta e non prevede spesa e prelievo sul denaro pubblico. Hanno quindi ragione quelli del ”Foglio” a dire che i pacifisti sono prosaici e non hanno ideali. La cosa strana è che il sistema della rappresentanza (quello che oggi viene chiamato pomposamente “liberaldemocrazia") era nato proprio con le finalità “grette e meschine” di arginare i sogni di gloria dei re, impedendo loro di imporre nuove tasse per finanziare le guerre. Già ai primi dell’800 invece il parlamentarismo aveva disatteso il metodo della prudenza e del riequilibrio, e si era riconvertito in senso bellicistico e colonialistico. John Stuart Mill fu il cantore di questo liberalismo santificato e funzionale ad evangelizzare con la guerra i “popoli minorenni”. I parlamenti erano stati un freno per le spese dei re; ma erano poi diventati un’autostrada per le spese a favore delle industrie delle armi e dei loro investitori. Si costituiva così il complesso militare-industriale-parlamentare, il cui collante è il lobbying.
Il pacifismo non avrebbe “fascino” neanche se venisse “gonfiato” con un lobbying pagato da un paese straniero che fosse interessato alla neutralità di altri paesi. Basterebbe infatti una minima prospettiva di guerra perché il lobbying abbandoni immediatamente qualsiasi committente pacifista o neutralista e corra invece ad alimentare le tensioni internazionali. Il lobbying, analogamente alla polizia, non è affatto uno strumento neutro e ugualmente valido per qualsiasi finalità.
Il lobbying infatti tende a seguire la corrente di denaro più promettente in termini di massa e velocità, quindi è guerrafondaio ed emergenzialista per intrinseca costituzione. Israele non ha bisogno di allevare i suoi lobbisti; anzi, è il lobbista che si innamora spontaneamente di Israele poiché lo riconosce come un catalizzatore di instabilità. La sociologia del denaro non è riducibile al semplice rapporto di compravendita, poiché ogni movimento di denaro determina aspettative, quindi comporta suggestioni ed euforie. Si apre così uno spazio infinito per la manipolazione politico-mediatica da parte dei lobbisti. L’affabulazione pubblicitaria delle armi divora e ricicla slogan di ogni provenienza, senza preoccupazione di contraddirsi; al punto che le lobby delle armi finiscono per mimetizzarsi tanto da apparire correnti ideologiche, come nel caso dei Neocon americani.