Sul sito del Ministero degli Interni si trova uno studio da cui risulta che, tra microcredito e rimesse, i migranti rappresentano la punta di diamante della cosiddetta
“inclusione finanziaria”, cioè della finanziarizzazione di massa, con movimenti internazionali di denaro dell’ordine di centinaia di miliardi di dollari all’anno. Prestare soldi a dei poveracci per farli emigrare, e poi prendersi la tangente quando spediscono soldi a casa, possono apparire dei business miserrimi, ma solo perché siamo suggestionati dalle gerarchie antropologiche e dal culto dei miliardari benefattori, perdendo di vista che alla base della ricchezza c’è lo sfruttamento del lavoro umano.
La massa di straccioni che vaga per il pianeta si rivela così una gallina dalle uova d’oro per la finanza globale, il che implicitamente smentisce la retorica ufficiale e i suoi ipocriti lamenti sul crescere delle “disuguaglianze”. Ciò spiega anche il motivo per cui Salvini, da ministro degli Interni, ha messo su risse ludiche ad uso mediatico con le ONG che si occupano di migranti, ma non ne ha mai toccato le connessioni finanziarie. I poveri erano e rimangono la fondamentale materia prima del sistema capitalistico; e ciò spiega la crescente ostilità dei media e della politica contro qualsiasi provvedimento che possa rendere i poveri un po’ meno ricattabili e un po’ meno bisognosi di lavorare a qualsiasi condizione.
La coalizione elettorale di destra propone l’abolizione del cosiddetto reddito di cittadinanza poiché disincentiva al lavoro, e il reindirizzo delle risorse finanziarie alla diminuzione delle tasse per gli imprenditori. La destra infatti ha ancora le sue icone, i suoi eroi leggendari della rivolta anti-fiscale, come Reagan e la Thatcher. Peccato che queste mitologie non reggano ad un minimo di riscontro.
Sul sito della roccaforte dei liberisti puri e duri,
l’Istituto Bruno Leoni, viene ricostruita la vicenda del presidente Reagan, per concludere sconsolatamente che dapprima questi ha finanziato i suoi sgravi fiscali dilatando a dismisura il debito pubblico; poi, accortosi che la diminuzione delle tasse non aveva determinato la crescita economica sperata, ha nuovamente aumentato il carico fiscale. Insomma, anche se non lo ammetterebbero in pubblico, i liberisti puri e duri tra di loro se lo dicono che quelle politiche economiche soprannominate “reaganomics” sono state una solenne presa per i fondelli.
Neppure
la leggenda della Thatcher regge ad un minimo di vaglio dei fatti. La presunta “Iron Lady” ha diminuito le imposte dirette sulle persone fisiche e sulle imprese, ma ha dirottato il carico sulle imposte indirette, come l’IVA e le accise sulla benzina. La fiscalità sulla benzina si configura come una vera e propria tassa sul lavoro, poiché spesso si è costretti a spostarsi con l’automobile. Tra l’altro i lavoratori, a differenza degli “imprenditori”, non possono neppure intestare la proprietà dell’automobile alla propria società scaricandone i costi dalle tasse. Nel complesso la Thatcher ha aumentato il carico fiscale spostandone il peso dai ricchi sui poveri. La vera storia del fisco dimostra che esso non è uno strumento di redistribuzione del reddito, bensì è il contrario, un modo per favorire la concentrazione dei capitali in poche mani.
Vista l’inconsistenza ideologica della destra, per la sinistra dovrebbe essere una passeggiata. Invece no, la sinistra “post-ideologica” non va mai a smentire le scemenze della destra, al massimo finge di contraddirle con puerili bastiancontrarismi, come “pagare le tasse è bello” (e perché non dovrebbe esserlo, visto che le pagano i poveri?). E questo non è neanche il peggio, dato che oggi gli amministratori regionali del PD sono ancora più zelanti della Lega nel propugnare quell’evasione fiscale di massa che va sotto l’appellativo eufemistico di “autonomia differenziata”.
Come ci ha insegnato il mitico Tony Blair, per una sinistra che abbandona la zavorra dell’ideologia si aprono i cieli incantati del lobbying. L’impresa capitalistica è un meccanismo complesso: c’è l’aspetto produttivo, la fabbrica, ma ci sono anche l’aspetto finanziario e quello promozionale, cioè la pubblicità e il lobbying. Le merci si caricano così di valore morale oltre che materiale, si distaccano dalle loro origini e diventano “altro”. Se ti ricordi che i vaccini sono merci, ti mantieni un tantino più critico; invece te ne devi dimenticare, devi cedere al feticismo della merce. Un bell’esempio di feticismo ce lo ha offerto il segretario del PD Enrico Letta, quando ci ha spiegato che
i vaccini e le app sanitarie sono la “libertà”. Slogan pubblicitari, ma non a caso.
Prima di diventare segretario del PD, Letta si era dato da fare per dimostrare a tutti di cosa è capace; e infatti è diventato consigliere di amministrazione di varie società straniere. Una di queste società è
la francese Publicis Groupe, un’azienda che, manco a dirlo, si occupa proprio di pubblicità. Con queste premesse, dopo i vaccini e le app sanitarie, Letta probabilmente farà da testimonial anche a qualche altro prodotto, ovviamente anch’esso mirabolante e salvifico, perché, come diceva quel geniale cantautore degli anni ’60 e ’70: “Cerco con ansia un prodotto sbagliato, scopro che ancora non l’hanno inventato”.
Prima di diventare segretario del PD, Letta ha abbandonato i suoi vari incarichi; e, secondo lui, ciò lo renderebbe immune da conflitti di interessi, come se in quei consigli di amministrazione non ci potesse ritornare non appena lasciata la politica attiva. E qui si riscontra
la dottrina Blair, secondo la quale non può esserci niente di sbagliato in sé nei rapporti tra politica e lobbying. Laddove infatti manca l’ideologia consapevole, subentra l’ideologia inconsapevole, in questo caso quel razzismo sottotraccia che è il culto dei cosiddetti “competenti”, quella specie di Olimpo che sovrasta e illumina la massa amorfa degli esseri umani ignoranti. Chi vuole dimostrare a se stesso e agli altri di non essere un fesso qualsiasi, deve muoversi e tenere le mani in pasta nel giro delle grandi aziende a livello internazionale. Si riscontra perciò il paradosso per cui il conflitto di interessi da un lato viene fatto oggetto di critiche (peraltro innocue e senza conseguenze); dall’altro lato però è proprio il conflitto di interessi a conferire lo status e l'alone di credibilità del “competente”.
La vicenda di Luc Montagnier ci ha svelato quale sia il vero sottostante del mito della competenza. All’epoca dell’AIDS Montagnier aveva le mani in pasta e stava nel giro dei miliardi, quindi era un “competente”; quando, in epoca Covid, stava fuori dal giro dei soldi, tutti i suoi titoli non gli sono serviti per evitare la taccia di rincoglionito. La “competenza” non è altro che la suggestione collettiva determinata dai movimenti di denaro, dall’effetto di sponda delle bolle finanziarie con le bolle mediatiche; ed è sempre l’illusionismo del denaro a creare quella falsa coscienza che fa dividere l’umanità in esseri superiori e inferiori.