In
un articolo dello scorso anno pubblicato dalla Cambridge University Press, si osservava che Paesi scandinavi come la Norvegia e la Svezia stavano riposizionando la loro immagine di Paesi pacifici, partecipando attivamente alla guerra in Afghanistan. La Norvegia risulta tra i soci fondatori della NATO, perciò quell’immagine di Paese pacifico era sicuramente usurpata. L’aspetto più strano riguarda però la Svezia, che, all’ombra di un presunto status di neutralità, ha sviluppato una partnership con la NATO, partecipando a missioni militari in Kosovo e Libia, oltre che in Afghanistan. Nell’articolo si avviava una riflessione sull’ambiguità di nozioni come “guerra umanitaria” e “peace keeping”, che hanno consentito a piccoli Stati di riciclarsi in chiave militarista.
A questo punto la questione è se esistano davvero in Europa Paesi neutrali. Svezia e Finlandia sono partner della NATO dal 1994, ma si trovano coinvolti in quel tipo di partnership anche Paesi del tutto insospettabili, come ad esempio l’Austria, il cui status di assoluta neutralità sarebbe sancito addirittura dagli accordi presi alla fine della seconda guerra mondiale. Ma l’anno scorso l’Austria ha rinnovato un accordo per precisare i suoi già pluridecennali rapporti di partnership con la NATO. La fonte della notizia non è Sputnik News ma
l’insospettabile sito della NATO. La partnership con la NATO non è membership, ma, al di là della distinzione più o meno cavillosa, ha senso parlare ancora di un’Austria neutrale?
Le cose non vanno molto meglio se si va ad osservare la situazione di un altro Paese che sarebbe ufficialmente neutrale: l’Irlanda. Sebbene il suo grado di coinvolgimento in operazioni militari congiunte sia minore rispetto a quello della Svezia e dell’Austria, neppure Dublino è sfuggita alla stipula di accordi di partnership con la NATO, la quale peraltro proclama di rispettare lo status di neutralità dell’Irlanda. Sei neutrale, ma intanto collabora con noi. Ancora una volta
la fonte è il sito della NATO, quello che nessuno consulta prima di lanciarsi in digressioni storico-strategiche del tutto infondate.
Qualcuno potrebbe pensare che, meno male, però di neutrale c’è rimasta la Svizzera, il Paese neutrale per antonomasia. Magari uno si aspetta di trovare i soldati svizzeri solo in Vaticano. Macché! Persino la Svizzera è un partner della NATO dalla fine degli anni ’90. Troviamo infatti la Svizzera in cooperazione con la NATO in Kosovo. Ma nei Balcani ci poteva ancora essere la foglia di fico dell’ONU, mentre le vergogne si rivelano tutte allorché
il sito della NATO ci informa che la Svizzera ha candidamente partecipato persino ad operazioni militari in Afghanistan. Gli Svizzeri non combattono ancora con le alabarde, anzi, possono vantare un esercito iper-tecnologico ed efficiente, per cui evidentemente il loro contributo deve essere stato decisivo nella “vittoria” del Sacro Occidente sull’oscurantismo talebano. O no?
La fine della guerra fredda e la dissoluzione dell’equilibrio di potenza tra USA e URSS hanno di fatto distrutto tutte le condizioni per le quali alcuni Paesi potevano mantenere lo status di neutralità. Quando la NATO è diventata l’unico padrone del campo, tutti gli staterelli neutrali si sono adattati al nuovo ruolo di vassalli, cercando di ricavarne il massimo in termini di affari, dato che la NATO è soprattutto una cordata di business e di lobby. C’è da dubitare che dietro l’espansione della NATO e della sua macchina di affari ci sia qualcosa di simile ad una direzione strategica, per cui è più realistico ritenere che i governi si siano semplicemente adattati alla corrente. Probabilmente non ci si è mai neppure posti il problema di credere o meno al NATO-telling, dato che negli anni ’90 certi flirt atlantisti sembravano innocui e senza conseguenze. Ma già nel 1999, con l’aggressione della NATO alla Serbia, si sarebbe dovuto capire che non si trattava di semplici marchette, bensì di un’attrazione fatale. D’altra parte occorre pur ricordare che, proprio con la guerra del ’99, si manifestarono le prime pulsioni interventiste anche in parte della cosiddetta sinistra antagonista.
La Svizzera però ci tiene a farci sapere che collabora con la NATO, ma da Paese neutrale. Si cerca persino di farci credere che la neutralità della Svizzera rifulga maggiormente proprio in virtù della collaborazione con la NATO. Si potrebbe raccontarci che la partnership è una forma di alleanza limitata a certe condizioni particolari, ma spacciarla per neutralità è veramente grossa. Mal comune, mezzo gaudio. Non sono soltanto i governi italiani a prendere sistematicamente per i fondelli i propri cittadini, ma lo fanno anche i governi svizzeri, che da decenni continuano a far credere ai propri ignari cittadini di preservare la storica neutralità svizzera.
Gli schemi narratologici del Sacro Occidente sono allestiti in modo da fagocitare spesso anche coloro che vorrebbero tenere una posizione critica. Ci si rappresenta uno scenario di azioni e reazioni, come in un gioco da tavolo, per cui, di fronte ai soprusi del dittatore di turno, il Sacro Occidente dapprima si mostra confuso, perché si sa che la guerra gli ripugna, ma poi si compatta per difendere i propri valori. Questo falso scenario crea l’illusione di un “dibattito” e quindi anche la chimerica prospettiva di poter incidere in qualche misura nelle decisioni da prendere. In realtà più spesso la quotidianità è composta di automatismi, e ciò che ci viene presentato come novità, può essere solo la manifestazione evidente di quanto accaduto vari decenni prima, come nel caso della rinuncia alla “neutralità” di Svezia e Finlandia già nel 1994. Per questo motivo anche eventuali uscite di altri Paesi dalla “neutralità”, che potrebbero esserci rappresentate in futuro dal mainstream come sconvolgenti novità, o come eventi epocali, dovranno essere invece drasticamente ridimensionate nella loro effettiva importanza. D’altra parte il mainstream è potente proprio perché è il mainstream, perciò ci si adatta al sentito dire non perché ci si creda, ma solo per non rimanere tagliati fuori.