Perché il presidente USA non perde mai occasione per “bruciarsi” come interlocutore delle altre grandi potenze?
Le dichiarazioni di Joe Biden in Polonia hanno sconcertato molti commentatori, alcuni dei quali hanno parlato di “chiacchiere da bar”.
Collocando però quelle dichiarazioni nel loro contesto, si può forse capire qualcosa di più. Nello stesso periodo in cui Biden era in corsa per l’elezione, nel settembre 2020, una commissione del senato statunitense stilava un rapporto sui conflitti di interesse e sui casi di corruzione legati all’attività del figlio di Biden Hunter in Ucraina, soffermandosi sui suoi rapporti con Burisma, una società privata cipriota, che è anche la principale azienda energetica che opera in Ucraina. Il testo, disponibile in PDF, è impressionante per i dettagli.
La relazione della commissione senatoriale non venne ritenuta sufficientemente attendibile e non determinò ostacoli all’elezione di Biden. La quantità di fatti elencati nel rapporto era comunque tale da tenere sulla corda Biden, e infatti in questi giorni i due maggiori quotidiani statunitensi stanno riportando all’attenzione il caso di Hunter Biden. Sembrerebbe proprio che il fatto che Biden fosse il personaggio più ricattabile sulla piazza, sia stato determinante per spianargli la strada alla presidenza. La ricattabilità è il viatico per assurgere alle maggiori cariche.
Il principale collaboratore di Biden, il segretario di Stato Antony Blinken, aveva già fatto parte dell’amministrazione Obama e, una volta cessato il servizio, ha fondato nel 2017
una società privata di servizi diplomatici in funzione del business, la WestExec Advisors. Si tratta di uno dei tantissimi casi di porta girevole tra pubblico e privato dell’amministrazione Biden, un dato che è stato messo in evidenza da molte testate giornalistiche americane. Ovviamente Blinken è considerato un “falco” ed è anche un esportatore di democrazia e, visto quanto gli rende finanziariamente il business bellico dell’esportazione di democrazia, non c’è da dargli torto.
Mescolare affari e ideali funziona, perché le armi sono il business ideale, dato che a pagare è il contribuente, quindi non c’è rischio d’impresa. Nel loro piccolo anche i piddini si sono trasformati in “falchi” per allestire la loro lobby delle armi in stile Blinken. L’ex ministro Marco Minniti è diventato presidente della Med-Or, una fondazione del gruppo della ex Finmeccanica, che oggi si fa chiamare Leonardo; forse perché il più grande dei pittori era anche il più grande dei bidonisti come ingegnere militare. Ma il modello del lobbying militare sta prendendo piede e, chissà, vedremo anche Luigi Di Maio CEO di Leonardo.
Al ruolo di segretario alla Difesa era candidata la principale collaboratrice di Blinken, Michèle Flournoy, che è anche cofondatrice della WestExec Advisors. Purtroppo la Flournoy non ce l’ha fatta, ed al suo posto è stato nominato
Lloyd Austin, il supergenerale che ha condotto la guerra in Afghanistan fino al 2016. Come i suoi predecessori anche Austin nel periodo successivo al pensionamento è entrato nel gruppo dirigente di un’industria di armamenti. Austin ha scelto (o è stato scelto?) Raytheon Technologies, che, manco a dirlo, è uno dei maggiori fornitori della Difesa.
La biografia del
vicesegretario alla Difesa, Kathleen Hicks, sembrerebbe più immacolata, infatti il suo impegno privato riguarderebbe solo una apparentemente innocua associazione non profit, il prestigioso Center for Strategic and International Studies.
Sennonché si può notare che
uno dei principali finanziatori del CSIS è un’industria di armamenti, la Northrop Grumman Corporation. Come la Raitheon Technologies, anche la Northrop Grumman è uno dei principali fornitori privati della Difesa USA. Le fondazioni non profit rientrano infatti nel lobbying occulto.
L’attuale vicesegretario di Stato, Wendy Sherman, proviene dal gruppo dirigente di un’altra società di consulenza di affari internazionali, l’Albright Stonebridge Group, fondato da Madeleine Albright, da poco scomparsa, che era stata segretario di Stato durante la seconda presidenza Clinton. Dalla stessa associazione privata proviene anche un’altra esponente del Dipartimento di Stato, Victoria Nuland, che ha svolto un ruolo decisivo nella vicenda ucraina a partire dal colpo di Stato del 2014. Il trionfo della porta girevole in funzione del business della guerra infinita.
Tutto questo elenco rappresenta solo un piccolo assaggio della rete del lobbying nell’apparato governativo statunitense, e per descrivere nei dettagli questa rete non basterebbe un’enciclopedia. La questione, ovvia, che si pone a questo punto è quale senso abbia parlare ancora di interesse nazionale o di interesse imperiale americano. Per le lobby d'affari il problema è di individuare il business e gli slogan pubblicitari atti a veicolarlo. Una lobbycrazia non può permettersi un presidente che interloquisca con le potenze rivali e prenda accordi con loro, poiché ciò disturberebbe il business della guerra infinita. Una lobbycrazia non si regge su leadership o strategie ma sull’automatismo delle complicità affaristiche.
Per imperialismi tradizionali come la Russia o la Cina la prospettiva sarebbe invece di trovare negli USA un interlocutore e una controparte per negoziare gli equilibri di potenza e le rispettive sfere di influenza. Ma come si può pensare a nuove Yalta quando gli USA non sono più un soggetto statuale tradizionale ma una rete di imbonitori affaristi?