L’IMPOSIZIONE COLONIALE DI UN NUOVO ‘29
Per fine anno sono ufficialmente attesi gli effetti della crisi finanziaria statunitense sull’economia europea, ed una parte dei commentatori paventa il pericolo di un “nuovo ‘29”, una depressione analoga a quella degli anni ’30. Posta così, la questione appare viziata da un falso storico.
Gli anni ’30, in Europa, costituirono il primo decennio della storia del capitalismo in cui lo sviluppo economico si espresse anche in un effettivo aumento del benessere sociale. In particolare furono estesi a gran parte della popolazione i vantaggi della elettrificazione, ma vi fu anche una politica delle infrastrutture e delle case popolari, molte delle quali sopravvissero alle devastazioni della seconda guerra mondiale. Ciò accadde in tutta Europa: in Germania, in Francia, in Gran Bretagna, in Italia, in Cecoslovacchia, ecc., quindi aldilà delle connotazioni ideologiche dei regimi.
La politica economica di intervento pubblico attuata dal fascismo negli anni ’30 viene spesso considerata una caratteristica specifica di quel regime, ma anche questo è un falso. Mussolini prese il potere nel 1922 all’insegna della parola d’ordine del liberismo, e infatti uno dei suoi primi provvedimenti fu quello di abolire il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita, assegnato per legge all’Istituto Nazionale delle Assicurazioni. Il monopolio delle assicurazioni sulla vita era stato istituito da un governo Giolitti antecedente alla prima guerra mondiale, ma voluto e messo in atto dal ministro della Agricoltura e dell’Industria di quel governo, Francesco Saverio Nitti.
Non a caso, per attuare la politica economica di intervento statale, Mussolini negli anni ’30 si rivolse proprio ad un ex-collaboratore di Nitti, cioè Alberto Beneduce, di posizioni social-riformiste (quindi più a sinistra di quelle dello stesso Nitti), ed ex dirigente dell’INA. Nitti, che negli anni ’30 era in esilio, non perdonò Beneduce per la sua collaborazione con il fascismo e non rispose mai alle sue lettere; ma sta di fatto che Beneduce, con l’istituzione dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) e con la nuova legge bancaria del 1936, applicò principi e metodi di intervento pubblico in economia che erano stati teorizzati dallo stesso Nitti, e che avevano fatto diventare quest’ultimo una bestia nera della borghesia italiana, che nel 1922 decise di puntare tutte le sue carte su Mussolini, allora alfiere del liberismo.
D’altro canto, l’offensiva liberistica di Mussolini negli anni ’20 non ebbe a disposizione il tempo materiale per bruciarsi tutti i ponti alle spalle - come invece sta accadendo ora -, perciò alla scoppio della crisi del ’29 vi erano ancora forze sufficienti per fare pressioni sul regime fascista ed indurlo a cambiare politica economica. Negli anni ’30, in Italia, e nel resto d’Europa, la grande crisi del ‘29 costituì perciò la grande occasione per sganciarsi dalla dipendenza finanziaria dagli Stati Uniti. Le Corporation statunitensi continuarono ad investire i loro capitali in Europa, e soprattutto nella Germania nazista, ma il precedente stato di dipendenza dell’economia europea sembrava ormai cessato.
I movimenti che si stanno verificando non solo oggi, ma da molti anni indicano che il colonialismo statunitense vuole evitare che la crisi americana divenga un’altra occasione di sganciamento da parte dell’Europa. Il sistema di potere economico creato da Beneduce in Italia sopravvisse a lui stesso, alla seconda guerra mondiale ed alla caduta del fascismo, ma fu smantellato da Romano Prodi, presidente dell’IRI negli anni ’80, famoso per aver letteralmente regalato l’Alfa Romeo alla FIAT. Il sistema pubblico però aveva già subito colpi decisivi ad opera di colui che era considerato in origine il delfino di Beneduce, il suo genero Enrico Cuccia.
Cuccia aveva sposato la figlia di Beneduce, che si chiamava Idea Socialista, così che all’epoca si disse maliziosamente che ”Cuccia aveva avuto una buona idea”. Cuccia fu l’uomo che, dall’interno dell’apparato dell’economia pubblica, operò come agente del colonialismo statunitense e della ri-privatizzazione dell’economia e della finanza. A questo scopo creò e diresse una istituzione finanziaria che funzionasse da protezione delle grandi famiglie del capitalismo privato: Mediobanca.
Lo smantellamento dell’economia pubblica in Italia non è stato quindi effetto di esplicite scelte politiche di governo, ma è avvenuto dall’interno.
Questo è il modo in cui agisce il colonialismo, perciò ci si ritrova di colpo in realtà già cambiate, che la propaganda ufficiale si incarica di celebrare.
Anche la privatizzazione della Pubblica Amministrazione non viene oggi annunciata in quanto tale, ma introdotta dal governo in modo subdolo, attraverso il ricorso a categorie astratte e fumose come il “merito”.
Condizionare gli aumenti di stipendio al merito ed alla produttività viene fatto apparire come un toccasana per stanare le aree di parassitismo interne alla Pubblica Amministrazione, ma ciò non ha senso se si considera che ogni posizione di privilegio non si costituisce spontaneamente, ma per impulso dall’alto. Non a caso, il massimo accusatore dei “nullafacenti” del Pubblico Impiego, l’ex sindacalista della CGIL Pietro Ichino, è un nullafacente autorizzato dallo Stato, un professore universitario che non mette mai piede in aula, perché utilizzato per fare propaganda privatistica nei media.
Di fronte all’ipotesi del “merito” i sindacati confederali mettono su la solita messinscena, accettando di recitare nei media la consueta parte dei “cattivi” che vogliono impedire il progresso ed il risanamento. In realtà, i dirigenti dei sindacati confederali stanno da tempo contrattando - in cambio di vantaggi personali - con i governi di destra e di “sinistra” i termini del prossimo ingresso delle aziende private nella Pubblica Amministrazione, dapprima come agenzie di controllo della produttività, poi come ditte appaltatrici e subappaltatrici. Se l’affarismo privato, attraverso il trucco del “federalismo fiscale” previsto dalla prossima Legge Finanziaria, riuscirà a coinvolgere anche l’esazione fiscale regionale, è ovvio che non rimarrà più nessuno strumento per poter fare marcia indietro e tornare ad una gestione pubblica dell’economia.
Non era scritto in nessun destino ed in nessuna ineluttabilità economica che la crisi statunitense dovesse coinvolgere e travolgere l’economia europea in generale e italiana in particolare, ma tutto ciò è l’effetto di una politica coloniale, che ha mirato alla meticolosa distruzione a tappeto di qualsiasi possibile strumento di gestione autonoma dell’economia da parte dei governi nazionali.
24 luglio 2008
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