Difficilmente una linea politica realistica può diventare egemonica, in quanto, proprio perché realistica tenderà a mediare. Al contrario, una linea politica irrealistica può avvalersi di effetti di “rimbalzo” sociale che possono potenziarne a dismisura la portata, sino a renderla egemonica.
In molti hanno notato che il lockdown ha i suoi “tifosi” nell’opinione pubblica. Si tratta di coloro che vedono nelle chiusure e nelle restrizioni una preziosa occasione educativa di riscatto morale e di riaffermazione di valori essenziali. Ad esempio, secondo alcuni con il lockdown il diritto alla salute stabilirebbe la sua priorità nei confronti del profitto.
Peccato che ad essere sacrificato sia solo il profitto dei baristi e dei ristoratori e non quello delle multinazionali del digitale che, grazie al lockdown, hanno visto lievitare i guadagni ed il valore dei propri titoli azionari. Si tratta di un caso esemplare in cui il moralismo ha fatto involontariamente da sponda al business. Mentre l’economia sprofonda e milioni di persone finiscono sul lastrico, gli affari di alcune lobby affaristiche prosperano. Che l’economia e gli affari siano cose diverse, e spesso opposte, dovrebbe essere una nozione elementare; ma c’è appunto un diaframma moralistico ad impedirne la comprensione.
Ogni società ha un residuo arcaico ed ancestrale di concezioni punitive e sacrificali che costituiscono un ottimo contesto su cui innescare emergenzialismi nei quali si insediano cordate affaristiche. Moralisti ed affaristi non rappresentano la maggioranza della società, ma hanno il vantaggio di essere partiti trasversali e pre-ideologici in possesso di precisi obbiettivi pregiudiziali e che perciò sono in grado di scavalcare la lentezza della riflessione. Educazionisti e predatori hanno motivazioni diverse, e addirittura opposte, ma condividono l’euforia del “tanto peggio tanto meglio”, in quanto la catastrofe al tempo stesso è redentrice e favorisce il saccheggio. I fautori della palingenesi e i fautori del business agiscono di fatto in sinergia pur senza alcun accordo preventivo, rendendo superflua ogni cospirazione e conquistando il resto della pubblica opinione, abituandola a colpi di fatti compiuti.
La campagna vaccinale presenta lo stesso effetto-sponda tra moralismo e business. La vaccinazione di massa è vista come una palingenesi morale, un grande rituale di purificazione collettiva, un nuovo battesimo, a cui però alcuni asociali intenderebbero sottrarsi. Una linea politica egemonica non accetta interlocutori ma solo capri espiatori; e quanto più una linea politica egemonica sarà irrealistica, tanto più avrà bisogno di capri espiatori per giustificare i propri fallimenti. Per questo motivo il voler interloquire a tutti i costi con una linea politica egemonica è un po’ ingenuo, poiché non significa cercare il confronto, bensì la gogna ed il patibolo.
Ci si è quindi creati un’opposizione di comodo: gli antivaccinisti, che sono un capro espiatorio dalla doppia utilità. I no-vax sono infatti un alibi preventivo per ogni fallimento della campagna vaccinale. Per accreditare la montante minaccia antivaccinista per la salute pubblica, su Wikipedia non si esita ad arruolare al fronte no-vax i personaggi più improbabili, da Red Ronnie ad Eleonora Brigliadori. L’enfatizzazione pretestuosa della minaccia “no-vax” ha anche consentito di spostare l'attenzione sulla falsa questione della validità o meno dei vaccini come strumento medico, avviando le tipiche discussioni a vuoto: i vaccini sono pericolosi; sì, ma anche attraversare la strada è pericoloso, eccetera. Ma se milioni di persone attraversano la stessa strada nello stesso momento, il discorso è completamente diverso. La presa per i fondelli sta nel non tener conto dei numeri di una campagna vaccinale. Gli antibiotici e gli analgesici sono forse più tossici dei vaccini, però non tutti prendono l'antibiotico o l'analgesico nello stesso momento. Se invece di un milione di vaccini se ne produce un miliardo, anche gli standard di sicurezza cambiano completamente ed i costi del controllo aumenteranno in modo imprevedibile.
La validità o meno dei vaccini è una questione medico-scientifica; ma una campagna vaccinale è una questione di politica sanitaria, quindi implica risvolti finanziari e sociali che possono cambiare completamente lo scenario. Qualsiasi obiezione realistica nei confronti dei paradossi della campagna vaccinale di massa è stata invece oggetto di intimidazione attraverso la riduzione all’antivaccinismo.
Vaccinare centinaia di milioni di persone in un breve lasso di tempo comporta infatti problemi logistici ampiamente sottovalutati. Lo stoccaggio dei vaccini implica costi esorbitanti, per di più in un'epoca in cui la scarsità delle risorse finanziarie è il mantra indiscutibile. Il fatto che il governo precedente non sia riuscito ad allestire le necessarie strutture per immagazzinare i vaccini, ha comportato
l'affidamento dell’intera logistica sui vaccini ai militari, presentati dai media come il deus ex machina. In realtà la militarizzazione della campagna vaccinale non può risolvere i problemi, anzi è una spinta al caos, poiché le strutture militari hanno, per definizione, altre finalità e altre funzionalità.
Il governo precedente ha ritenuti necessari
per la campagna vaccinale 157 milioni di siringhe, per le quali non è adeguata la produzione nazionale. Il ricorso alle importazioni delle siringhe rischia di innescare altri conflitti sia tra gli Stati, sia tra le lobby affaristiche, come sta già avvenendo per i vaccini. Si crea così un’ulteriore occasione per determinare situazioni di scarsità. Sulla categoria di scarsità si possono scatenare altre emergenze, altre produzioni di gerarchie morali ed altre occasioni di business. Una politica sanitaria realistica sarebbe quella che limita le incognite e le possibilità di errore e di confusione; qui invece si va a cercarle, fornendo persino l’alibi preconfezionato dell’emergenza per ogni inadempienza ed ogni abuso.
Nell’epoca del progresso tecnologico non si tiene in adeguata considerazione la questione della logistica, delle strutture di conservazione.
L'incendio del database di Strasburgo ha nuovamente posto in evidenza la fragilità delle infrastrutture di conservazione della crescente massa di dati informatici. I numeri non sono mai soltanto numeri, ed ogni dilatazione delle cifre comporta un drastico cambiamento del contesto. C'è infatti chi non si preoccupa delle possibili ingerenze nella privacy dovute alla accumulazione dei dati personali, poiché non esiste sicurezza al 100% nella conservazione dei dati, ed ogni frazione oltre il 90% comporta una progressione geometrica dei costi.
Ringraziamo Claudio Mazzolani per la collaborazione.