Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Nel 1925, in un discorso alla Camera, il “fascista critico” Massimo Rocca ammonì Mussolini circa i rischi dell’instaurazione in Italia di una dittatura formale, che sarebbe stata vista all’estero come una sfida ideologica. Poi le cose andarono come andarono e Rocca fu costretto all’esilio, salvo poi aderire nel 1943 alla Repubblica Sociale. L’analisi di Rocca aveva comunque un fondamento: sino al 1925 il fascismo era stato interpretato dalle cancellerie straniere come un regolamento di conti interno, quindi considerato con occhio benevolo. Il tentativo fascista di irreggimentare la popolazione avrebbe invece ben presto messo in allarme i governi stranieri, che avrebbero compreso che l’oligarchia italiana si stava preparando ad una competizione imperialistica più accentuata. Le aspirazioni imperialistiche delle oligarchie comportano infatti un inasprimento dell’oppressione di classe.
In questa fase c’è, pur nella diversità del contesto, qualche analogia col passato. Il tentativo dell’oligarchia italiana di formalizzare il regime emergenzialista in un nuovo modello di “governance”, pare stia cominciando a suscitare sospetti all’estero. Dopo la visita in Germania ed il discorso tenuto a Berlino il 29 agosto del 2020, Robert Kennedy Jr. è venuto anche in Italia il 13 novembre scorso a parlare alla folla dei No-Green Pass di Milano. Per comprendere appieno il senso di una tale visita, occorre considerare come avrebbe reagito il governo italiano se ad essere invitato a parlare in Italia non fosse stato un esponente, per quanto atipico, dell’oligarchia americana come Robert Kennedy Jr., ma, ad esempio, un personaggio come l’ex presidente boliviano Evo Morales, magari ad esporre le sue tesi sui propositi del Fondo Monetario Internazionale di ridurre il numero dei poveri, ma non aumentando il loro reddito, bensì facendoli fuori con armi biologiche. Difficilmente a Morales sarebbe stato consentito di parlare e sobillare le folle, e probabilmente gli sarebbe stato inflitto ben altro che un DASPO.
Come già in Germania, la venuta di Kennedy in Italia è servita perciò a ribadire le gerarchie internazionali. Un esponente dell’oligarchia americana può permettersi da noi cose che non sarebbero concesse a persone di altri Paesi. In definitiva conta relativamente la sincerità o meno del personaggio Kennedy; anzi, non c’è incompatibilità tra il tenere alla salute dei bambini ed essere convinti che siano gli USA a dover guidare il mondo. Conta invece il messaggio implicito nella sua visita, come a dire ai nostri oligarchi: voi state facendo i vostri giochi, ma oltre Atlantico vi teniamo d’occhio, non pensate di usare il vostro emergenzialismo per progetti di grandeur e non vi illudete di continuare a nascondere le vostre velleità riparandovi dietro la Germania. Sarà un caso, ma dopo il discorso di Kennedy a Berlino, il governo tedesco aveva man mano rinunciato a spingere sull’acceleratore emergenziale. C’è invece da dubitare che nell’attuale stato di euforia l’oligarchia italiana colga il senso del messaggio e diventi più prudente, tanto più che adesso c’è l’Austria che rischia di strapparci la palma di primo laboratorio delle multinazionali. Persino la Germania ora appare nuovamente intenzionata a rimettersi in gara ed ad usare anch’essa l’emergenzialismo per imporre la digitalizzazione di massa.
Può darsi che anche nelle folle che hanno acclamato Kennedy vi fosse la recondita speranza che il tutore americano si decida finalmente a ridimensionare la nostra oligarchia, inducendola a rinunciare ai suoi folli progetti di primato nella corsa al controllo digitale di massa. Questa ovviamente non è una critica al movimento no-Green Pass, dato che in momenti di disperazione è umano affidarsi a chiunque. Il punto vero è che la questione delle gerarchie internazionali, dell’assetto imperialistico e della competizione per ridefinirlo, in definitiva pesa molto di più di quanto comunemente si creda. Al di là delle fumisterie distopiche dei vari lobbisti come Schwab e Attali, il controllo digitale globale non è un mero progetto di dominio di presunte élite ma un campo di scontro imperialistico ancora aperto. Si tratta di un conflitto imperialistico ibrido, di “una guerra a bassa intensità” che comporta comunque vittime vere nella popolazione.
Occorrerà vedere se lo stato di euforia dell’oligarchia italiana possiede delle basi reali o risulterà velleitario. L’attuale fascismo digital-sanitario appare infatti un po’ troppo costruito a tavolino, probabilmente da esperti di management che si illudono che l’esperimento di Stanford possa essere dilatato nel tempo, ignorando che la società è una dinamica e non un semplice laboratorio. Il fascismo digital-sanitario trova una sponda di opinione pubblica nei soliti tifosi della punizione, ma, a differenza del fascismo storico, non ha a disposizione una vera base sociale che lo sostenga e lo spinga. Il Partito Nazionale Fascista rappresentò un ascensore sociale per il ceto medio, mentre oggi il ceto medio sprofonda sotto il peso degli impedimenti emergenziali, che però non impediscono affatto l’arrivo delle cartelle esattoriali.
Quel grande “falso ideologico” che è il neoliberismo si è ormai disvelato ed il ceto medio si sta accorgendo di essere la vittima sacrificale della mobilità globale dei capitali. La libera circolazione internazionale dei capitali può infatti attuarsi in pieno solo se le libertà economiche vengono compresse all’interno dei vari Paesi, tanto è vero che il Dio Vaccino non ha consentito che si producesse un vaccino italiano. Il Dio Vaccino è anche un po’ razzista dato che i vaccini russi, cinesi o cubani non sono degni di essere presi in considerazione.
Anche il Diritto diventa una esibizione spudorata di doppiopesismo, infatti i “costituzionalisti”, sempre pronti a giustificare le vessazioni verso i deboli, non hanno trovato argomenti per imporre una supertassa, almeno una tantum, per far pagare alle multinazionali del digitale la rendita di posizione acquisita durante i lockdown. Anche nel caso Whirlpool i giudici hanno sentenziato che la Costituzione è dalla parte delle multinazionali. C’era da giurarci.
La guerra di classe del capitale può esprimersi solo se non viene pienamente percepita da parte di chi ne è il bersaglio, mentre invece l’attivismo avventuristico degli oligarchi nostrani non riesce più a dissimulare la realtà.
L'emergenza è il doping del potere, ma anche l’emergenzialismo permanente ha i suoi inconvenienti. I “costituzionalisti” come Cassese e Zagrebelsky ci hanno fatto sapere che tutte le garanzie legali possono essere azzerate in base ad espedienti retorici come il richiamo alla “solidarietà” o al “giuridico indifferenziato”, perciò non ci sono più regole a cui riferirsi, solo arbitrio dispotico. Ma se si dichiara che non ci sono più regole da violare caso per caso, allora quello che chiamiamo “Stato” non può neanche più barare: è infatti la legalità a determinare la possibilità di quella rendita di posizione che è l’illegalità, principalmente l’illegalità di Stato. Se scompare il miraggio della legalità, il baro per antonomasia, lo Stato, non può più ingannare nessuno.
Con candore estremo la commissione parlamentare antimafia ci ha comunicato che i lockdown hanno determinato una concentrazione forzosa di capitali a favore del crimine organizzato; e quindi anche della finanza globale, dato che i proventi della criminalità mafiosa, per potersi “lavare”, devono rientrare nei circuiti finanziari internazionali. Lo Stato ha quindi usato le forze dell'ordine (?) per impedire alle persone per bene di lavorare e produrre reddito, consegnandole ai ricatti del crimine organizzato. Adesso con il Green Pass migliaia di piccole imprese sono costrette per sopravvivere a stare fuori della legge, e persino i vecchietti che non controllano la certificazione verde alle loro badanti, diventano dei criminali. Oggi risulta difficile per lo Stato evitare di essere percepito da gran parte della popolazione come un'astrazione giuridica che fa da alibi e paravento ad un'associazione a delinquere.
Per confondere le acque, i media dovrebbero propinarci la solita solfa sui governi incompetenti e incapaci; invece sono ancora impegnati a narrarci del migliore dei governi possibili. Ma fino a quando la narrazione entusiastica ed il culto della personalità potranno reggere, e Draghi sfuggire alla graticola del ludibrio? Nel frattempo ci hanno raccontato che Mario Draghi avrebbe scoperto l'acqua calda, e cioè che quello di Presidente del Consiglio è un mestiere da sfigato, perciò nel caso che non fosse eletto Presidente della Repubblica, pianterebbe baracca e burattini.
In realtà Draghi già lo sapeva, solo che Mattarella lo ha incastrato assegnandogli l'incarico di formare il governo: se Draghi avesse rifiutato o avesse fallito nel formare il governo, si sarebbe screditato per la corsa al Quirinale, dove risiede il vero monarca assoluto. Analizzare la questione della corsa al Quirinale secondo i canoni di venti o trent'anni fa, è pura finzione, poiché oggi in Italia il Presidente della Repubblica domina il governo e il parlamento.
Ora Draghi rischia di rimanere prigioniero a Palazzo Chigi, dove, ci narrano ancora i media, sarebbe insostituibile. La prospettiva della rielezione di Mattarella è favorita da candidature terroristiche come quella del Buffone di Arcore. Di fronte al timore di vedere il Quirinale trasformato in un puttanaio, sarebbe non solo ragionevole, ma doveroso, affidarsi di nuovo alla morigerata e sperimentata “saggezza” di Mattarella; e questi, secondo la narrazione, non potrebbe negarsi alla rielezione nonostante la sua naturale ritrosia agli onori.
La sovraesposizione mediatica di Draghi è finora servita a dissimulare i veri traffici che hanno dato vita all'attuale governo. La Lega è entrata nel governo, ma non perché soggiogata dalla personalità magnetica dell'ex presidente della BCE. I media accusano la Lega di strizzare l'occhio ai no-vax, mentre in realtà la Lega sta fornendo la sua omertà alla narrazione ufficiale, avallando le fiabe dell’emergenza pandemica e della presunta pioggia di miliardi del Recovery Fund. Lo fa però in cambio dell’autonomia differenziata, che infatti il governo Draghi ha rilanciato con l'ultima manovra finanziaria. Tradotta in termini accessibili, la locuzione “autonomia differenziata” significa più soldi ai Presidenti delle Regioni del Nord per gestire i propri affari.
Abbiamo assistito al gioco delle parti tra l’eurofilo Giorgetti e il “sovranista” Salvini, ma il finale della commedia ha dimostrato che era una messinscena. I sonni dell'opinione pubblica politicorretta sono agitati dall'asse del male tra Salvini, Bolsonaro e Orban. Ma, se si segue il filo dei soldi e degli affari, anche la mitologia dello scontro epico tra “europeisti” e “sovranisti” si dilegua. Infatti il PD è totalmente schierato a favore dell'autonomia differenziata, come dimostra il feeling tra il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, con i presidenti leghisti Fontana e Zaia. Bonaccini è parecchio irritato dal rischio che lo scontro per il Quirinale faccia cadere il governo e blocchi la legge di bilancio, che contiene l’agognata autonomia differenziata.
Le Regioni già controllano il business della Sanità, ma ora c’è in vista anche quello della Scuola. La regionalizzazione dell’istruzione pubblica rappresenta il grande oggetto del desiderio; un desiderio trasversale alla Lega ed al PD.
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