Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, ha proclamato lo stato di emergenza idrica, le altre Regioni del Nord si sono accodate, mentre il governo vara a riguardo l’ennesimo decreto emergenziale. Una volta le emergenze idriche, e le emergenze in genere, erano roba da “Terroni”, da Regioni sottosviluppate del Sud. L’Italia si “meridionalizza”, cioè sempre più aree svolgono il ruolo di colonia deflazionista, quindi vengono pauperizzate per tenere bassa la domanda di beni e l’inflazione in Europa. Ciò non vuol dire affatto che le gerarchie interne all’Italia, tra Regioni di serie A e Regioni di serie B, non vengano preservate.
Dal 2020 la Lombardia, la “Regione modello”, si è appropriata della bandiera dell’emergenzialismo, imponendo a tutto il Paese un’emergenza sanitaria basata sull’impedire le cure ordinarie. Se l’emergenza pandemica fosse nata in qualche parte del Sud, sarebbe rimasta una vergogna locale; invece nel marzo del 2020 il governo impose il lockdown a tutta Italia in ossequio alla Regione leader. Da quando Milano è diventata la capitale delle emergenze, queste non sono più considerate un marchio di infamia o una prova di arretratezza civile, bensì uno status symbol, un’occasione per dimostrare determinazione ed efficienza. I servizi televisivi ci mostrano la popolazione lombarda che si sottopone responsabilmente alla disciplina emergenziale dando prova del proprio grado di civiltà. La siccità non è più roba da sottosviluppati meridionali perché ora c’è il riscaldamento globale, il nuovo mantra del politicamente corretto, e quindi il razionamento idrico rientra tra i luminosi destini dell’Umanità, perciò Fontana (proprio il nome adatto) è un pioniere. Non che il politicamente corretto sia un ombrello molto affidabile: i Curdi erano i beniamini del politicamente corretto, ma questo non li ha salvati dalle grinfie di Erdogan. Quando un giornalista ha chiesto conto a Draghi del mercimonio della NATO sulla pelle dei Curdi, il nostro mirabolante Presidente del Consiglio ha farfugliato qualcosa, cavandosela con un: chiedetelo a Svezia e Finlandia. Finissimo, come sempre.
Non si può dire che la questione dell’approvvigionamento idrico al Nord si sia affacciata di colpo. Dopo le grandi secche del Po del 2017, anche nel 2019, già in pieno inverno, la situazione appariva compromessa e la necessità di un riassetto idrogeologico appariva un impegno ineludibile per la giunta di Attilio Fontana. Gli anni invece sono passati ed in questo mese di giugno l’emergenza idrica è stata annunciata con toni trionfali. Il dio Po, tanto celebrato dall’Umberto Bossi in versione para-nazista degli anni ’90, nei fatti è stato bistrattato dagli amministratori leghisti. Mentre il buco in Val di Susa ci veniva spacciato come indispensabile per non essere costretti a superare le Alpi a dorso di mulo, ci si è invece “dimenticati” della vera priorità per il Nord, il riassetto idrogeologico del bacino del Po. Anni di incuria nella gestione ordinaria del territorio ora vengono premiati con lo strapotere assicurato dalla gestione emergenziale; uno strapotere che non assicura affatto prestazioni migliori rispetto a una gestione ordinaria, ma solo minore trasparenza e maggior margine di abuso.
La Lombardia è una Regione a guida leghista, e sin dagli anni ’90 la Lega era presentata dai media mainstream come “l’erede della buona amministrazione austro-ungarica”. Per anni il gioco delle parti interno alla Lega ha consentito di far leva elettorale sia sul “sovranismo”, sia sul nostalgismo austriacante. Mentre il Matteo Salvini “sovranista” era regolarmente crocifisso dai media, gli amministratori leghisti si sono quasi sempre giovati di un trattamento di favore da parte degli opinionisti che contano. Ovviamente la “buona amministrazione austro-ungarica” non è mai esistita; neppure però vi sono riscontri storici per affermare che quell’amministrazione fosse una forma di gangsterismo come quella praticata da Attilio Fontana e soci. Nel 2011 Fontana si dichiarava difensore dell’acqua pubblica e invitava a votare il sì al referendum, mentre oggi con l’emergenzialismo pone le condizioni per una gestione arbitraria delle risorse idriche. Come ha insegnato la mafia, l’acqua è strumento di ricatto per prendere per la gola un territorio.
In un articolo sul “Manifesto” del 25 giugno scorso, si denuncia la riproposizione del tema dell’autonomia differenziata, indicata come esempio di egoismo dei ricchi e di negazione dei diritti di eguaglianza. Tutto giusto, ma la critica rischia di rimanere sul piano dell’astrazione dei “diritti”, con il classico tira e molla che si conclude ogni volta col solito “costituzionalista” pronto a spiegarci che il nostro unico diritto è di non avere diritti. Anche negli USA la Corte Suprema ha avviato lo stesso gioco, palleggiandosi la questione se l’aborto sia un diritto o meno. Il vero problema in realtà è il potere materiale che si esercita sui corpi delle persone. Per questo potere i pretesti possono cambiare: le destre invocano i tabù religiosi, mentre le finto-sinistre politicorrette strumentalizzano la “solidarietà”. Il politicorretto si indignerà per un Green Pass religioso o etnico (a meno che non si tratti di discriminare i Russi), mentre andrà in brodo di giuggiole per un Green Pass solidal-sanitario. Anche l’autonomia differenziata potrà avere un uso trasversale, col PD che ce la farà digerire vestendola in una versione solidaristica.
Anche quando si fustiga l’egoismo dei ricchi, bisogna capire dove si va effettivamente a parare, perché alla fine i ricchi se la cavano sempre, mentre ad essere colpito è solo l’egoismo dei poveri, perché a volte, si sa, i poveri sono un po’ riluttanti a sacrificarsi per il bene dei ricchi. Il vero pericolo dell’autonomia differenziata sta nella modificazione dei rapporti di potere, nella proliferazione di dispotismi locali in gara tra loro con l’arma del mettere tutti ogni volta di fronte al fatto compiuto. Le emergenze diventano le vere prove tecniche dell’autonomia differenziata. Anche le Regioni del Sud, per ora escluse dall’emergenza idrica, probabilmente vorranno partecipare alla festa.
L’emergenzialismo è uno schema di potere che riscuote un successo incontrastato, poiché non necessità di particolari attività cospirative per funzionare; anzi, si basa sull’emulazione, sulla competizione, sullo scavalcarsi l’un l’altro nel procurare sempre più allarme. L’emergenza è una grande arena di scontro in cui ognuno cerca di ridefinire i rapporti di forza a proprio vantaggio e dove ognuno può esibire la propria capacità di controllare, di “tener sotto”, gli altri. L’emergenza crea euforia poiché è un contenitore che ognuno può riempire con le proprie istanze, che possono andare dal business più squallido agli “ideali di solidarietà” più puri ed elevati. L’emergenza è una magnifica opportunità per gli affaristi di ogni risma, ma anche per gli educazionisti che vogliono redimere le masse e convertirle a valori di solidarietà. Si crea perciò un’ottima sinergia tra affarismo e moralismo.
Romano Prodi disse che l’emergenza Covid era un’occasione per rilanciare l’europeismo. L’emergenza santifica qualsiasi secondo fine. Vissuta come “occasione”, l’emergenza non è più quella dichiarata, diventa qualcos’altro. Agli hegeliani della domenica tutto ciò apparirà molto “dialettico”, mentre in effetti è solo fraudolento esigere disciplina dagli altri in nome di un superiore interesse comune, riservando però le mani libere a se stessi. In un libro, fatto poi opportunamente sparire, anche l’attuale ministro della Sanità dichiarò che l’emergenza Covid era una “occasione” per la sinistra. Poi si è visto che gli ideali di “sinistra” e gli affari delle multinazionali si facevano molto bene da sponda a vicenda.
Ringraziamo “Cassandre”.
Un po’ di sano realismo dovrebbe metterci in guardia quando ci viene attribuita troppa importanza, dato che, come è noto, del nostro parere non gliene frega niente a nessuno. Tutta questa attenzione dei media e dei sondaggisti circa l’opinione degli Italiani sull’invio di armi all’Ucraina, quindi sa molto di espediente per veicolare altri messaggi. Come ci è stato spiegato dal segretario della NATO Stoltenberg, la guerra sarà “lunga”. Lunga quanto? Probabilmente finché gli farà comodo farci credere che una guerra in corso ci sia. Se qualcuno obietta all’invio di armi, dicendo che così si allunga la guerra, a Stoltenberg gli va bene, perché è proprio alla guerra lunga che dobbiamo credere fideisticamente. Mentre risulta irrealistica la prospettiva di una prosecuzione della mitica “resistenza ucraina” (ammesso che ancora ci sia), si fa invece sempre più concreta l’eventualità di uno scontro nucleare con la Russia, dato che la UE e la NATO procedono in base ad un automatismo irresponsabile.
Poco attendibili appaiono anche i bollettini di guerra che ci vengono propinati a proposito delle perdite sul campo, a livelli da prima guerra mondiale. In realtà nella prima guerra mondiale si trattava di soldati di leva, a cui gli alti comandi non davano alcuna considerazione, dato che erano facilmente sostituibili. Altra cosa è quando bisogna mandare all’attacco soldati professionali, il cui addestramento rappresenta un costo pesante e perciò non sono agevolmente rimpiazzabili. Non è neppure facile indurre i soldati ad attaccare quando le condizioni siano sfavorevoli, e infatti durante la prima guerra mondiale si ricorreva massicciamente alla fucilazione non solo dei disertori ma anche degli “sbandati”, che spesso erano solo quelli che erano rimasti vivi dopo un attacco fallito. L’anno scorso in parlamento si è pensato anche di riabilitare le vittime di tante fucilazioni sommarie, perché, quando si tratta di crimini di più di cento anni fa, si può anche essere equanimi.
Il politicamente corretto non è poi così severo, consente persino di fare gli “antimilitaristi”, magari di sognare un mondo senza guerre, nel quale i soldi per le armi vengano utilizzati per distribuire miliardi di dosi di vaccino ai poveri del mondo, che, si sa, non aspettano altro. Non ci si è accorti infatti che anche la pandemia, le campagne vaccinali e i passaporti sanitari rientravano nella militarizzazione della società e dell’economia, usando allo scopo uno pseudonimo della guerra, cioè l’emergenza. Proclamando l’emergenza bellica, il governo Draghi ha ricondotto il concetto di emergenza alla sua matrice originaria.
La guerra in Ucraina “sarà lunga” perché così si crea l’emergenza infinita che farà digerire il razionamento energetico dando la colpa a Putin. Il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, ha dichiarato che il razionamento del gas è l’unico modo per “distruggere la domanda” di gas ed abbassare i prezzi. Tabarelli ha chiaramente candidato l’Italia a svolgere il ruolo di colonia deflazionistica in Europa, deindustrializzando il nostro Paese in modo da diminuire drasticamente la domanda ed il prezzo del gas e di tutte le altre materie prime. Ma vale la pena di distruggere il sistema industriale pur di bloccare l’inflazione? Sì, se si considera che l’inflazione favorirebbe i debitori e danneggerebbe i creditori, cioè le multinazionali finanziarie, ovvero la lobby più importante di tutte.
La dichiarazione e l’esplicita citazione delle parole di Mario Monti del 2011, non sono sfuggite ai commentatori più attenti: vi sono stati anche rilanci sui social che hanno messo in evidenza il senso deflazionistico di quelle parole. A differenza di dieci anni fa, oggi si è fatta strada la consapevolezza che la deflazione non è uno sfortunato effetto collaterale del “risanamento dei conti” ma un obbiettivo in sé.
La mitica “stagflazione” si rivela ancora una volta un ossimoro imposto dalla propaganda ufficiale, un alibi per forme coercitive di deindustrializzazione. Si cercherà anche stavolta di farci credere che a questo ruolo di colonia deflazionistica ci costringano gli altri Paesi. Questo abbaglio fu preso nel 2011, quando quasi tutti si bevvero la fiaba secondo cui l’imposizione del governo Monti e dell’austerità ci provenissero dalla Merkel. Così non era, dato che la famosa lettera della Banca Centrale Europea a firma di Trichet e Draghi, fu scritta in Italia, dall’allora direttore generale della Banca d’Italia ed attuale ministro dell’Economia, Daniele Franco. A testimoniarlo è Renato Brunetta, che, con l’ingresso nel governo Draghi, è stato risarcito del torto subito dieci anni prima, quando fu sloggiato in malo modo. Il nemico più pericoloso non ce l’abbiamo all’estero ma dentro casa.
Va sottolineato che prima di essere travolto, il governo del Buffone di Arcore non soltanto già perseguiva una linea di austerità e di crudeli tagli di bilancio, ma aveva addirittura chiesto la tutela ed il monitoraggio del Fondo Monetario Internazionale. La stessa cosa avrebbero fatto anche i governi di Bersani o Fini, se Napolitano avesse consentito lo svolgimento delle elezioni. Monti fu imposto non perché fosse necessario per attuare l’austerità, ma perché i nostri oligarchi dovevano “stupire” l’Europa e il mondo intero, dimostrando che il popolo italiano è talmente al guinzaglio da fargli digerire qualunque cosa, persino i colpi di Stato. Gli effetti speciali devono essere sempre più spettacolari per impressionare il pubblico mondiale: dopo i golpe, i lockdown ed il green pass, ora anche il razionamento energetico.
Nessuno oggi è in grado di costringerci a svolgere il ruolo di colonia deflazionistica, poiché la stessa debolezza finanziaria dell’Italia è in parte reale ed in parte narrata, dato che il Quantitative Easing e tutti gli altri programmi di acquisti di titoli da parte della BCE, non reggono solo il debito pubblico dell’Italia ma anche, e soprattutto, il debito privato di altri Paesi. La stessa Germania è vulnerabile, poiché si ritrova il bubbone Deutsche Bank pronto a scoppiare. Ancora una volta l’oligarchia nostrana disegna i suoi percorsi di grandeur internazionale dimostrando ai “partner” europei la sua capacità di esercitare uno spietato controllo sulla propria popolazione usandola come cavia e carne da macello. Non si tratta perciò di un colonialismo imposto dall’esterno, bensì della dimensione storica del potere nell’Italietta, cioè l’auto-colonialismo, la ricerca da parte dell’oligarchia nostrana di “vincoli esterni”, di sponde imperialistiche per rilanciare la propria potenza. In questo schema di potere, l’esibizione, anzi l’ostentazione, della propria brutalità contro la popolazione rappresenta un modo per accreditarsi presso i padroni stranieri, e per suscitare in loro timore e considerazione.
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