Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Mentre la comunicazione di massa del cosiddetto Occidente dava alla vicenda dei marinai britannici in Iran il minor rilievo possibile, è stata improvvisamente la televisione iraniana a rilanciare l'attenzione mandando in onda le pubbliche confessioni dei prigionieri. I nostri giornalisti si sono sprecati in aggettivi iperbolici per commentare le immagini. C'è stato chi ha usato il termine "raccapriccianti", il che è apparso un po' sproporzionato, specialmente se si considera che tale aggettivo non era stato adoperato neppure per le immagini di Abu Ghraib, per le quali l'aggettivo più ricorrente fu "disgustose". Persino il Presidente Ciampi in quella occasione espresse il suo personale "disgusto", senza mai adoperare la parola "indignazione".
In realtà ogni esibizione di prigionieri - anche se non soggetti a maltrattamenti -, ed il loro uso per la propaganda, costituisce una inaccettabile forma di umiliazione, e i media "occidentali" avrebbero dovuto ricordarsene anche quando riguardava i soldati irakeni, sia in questa guerra che in quella del 1991.
Ma l'aspetto più interessante è che i giornalisti abbiano dato per scontato che le confessioni dei prigionieri siano state estorte con la forza, quando risulta evidente dalla condizione dei prigionieri che non vi sono state coercizioni fisiche, mentre i tempi sono troppo brevi perché potessero attuarsi pressioni di carattere psicologico.
I prigionieri britannici non sono dei comuni cittadini, ma dei militari selezionati e addestrati, che quindi in una circostanza del genere avrebbero dovuto mantenere la lucidità per valutare gli effettivi rischi che correvano, considerando di non trovarsi prigionieri di guerriglieri irregolari, ma di un governo i cui atti sarebbero stati controllati da agenzie internazionali tutt'altro che ben disposte nei suoi confronti.
Durante la guerra di Corea, tra il 1950 ed il 1953, vi furono vari casi di prigionieri americani che collaborarono con la propaganda nord-coreana. Gli Stati Uniti risolsero quella imbarazzante situazione parlando di "lavaggio del cervello", una espressione che divenne abituale nella propaganda anticomunista. Il problema rimase però scottante per molti anni e ancora nel 1956 Hollywood se ne occupava con vari film, come ad esempio "The rack", con Paul Newman. Il film - che venne distribuito in Italia con il titolo "Il supplizio"- metteva in campo una serie di complesse cause familiari e psicologiche per scusare il comportamento del giovane ufficiale traditore, interpretato da Paul Newman, e lo faceva penare parecchio prima di accordargli il perdono paterno.
Nel 1991 invece la propaganda occidentale accolse subito come eroi i piloti prigionieri che si erano prestati alla propaganda irakena. Emilio Fede dedicò una puntata del suo telegiornale alle nozze del pilota italiano Cocciolone, che si era reso popolare con la sua pubblica confessione in perfetto inglese alla televisione irakena. Quando Cocciolone non fu decorato per i suoi bombardamenti sull'Iraq, Emilio Fede prese persino le sue parti. Lo stesso sta avvenendo adesso: è normale per i nostri media che un militare catturato collabori immediatamente con la propaganda nemica, invece di pronunciare disciplinatamente solo nome, grado e numero di matricola, tanto la cattiveria dei nemici dell'Occidente è in grado di spiegare e giustificare tutto.
Oggi quindi i militari occidentali che cadono prigionieri devono sbrigarsi a collaborare con il nemico, proprio perché ciò possa confermare il suo pericoloso fanatismo. Del resto, se i militari britannici avessero resistito alla tentazione di collaborare, avrebbero rischiato essi stessi di offrire un'immagine di fanatismo, e l'eccessivo sacrificio di sé sarebbe stato sospetto nell'epoca della criminalizzazione e del disprezzo verso i "kamikaze islamici".
Attualmente l'opinione pubblica non ha più bisogno di molti dettagli narrativi per essere ingannata, bastano poche parole magiche, come "fanatismo islamico". Chi poi esprima dubbi e sospetti sulle versioni ufficiali dei fatti, può essere liquidato a sua volta con qualche altra parola magica, come "complottista" o "cospirazionista".
In realtà, mentre il complottismo presuppone un'unica mente direttiva, oggi ci troviamo di fronte a tecniche di guerra psicologica che vengono utilizzate da centri diversi, per diversi interessi affaristico/criminali. Ad esempio, ha riscosso molto successo la denuncia del "fanatismo islamico" di casa nostra da parte della trasmissione di Michele Santoro, il quale si è guadagnato il plauso degli islamofobi professionisti come Magdi Allam e Giuliano Ferrara.
In realtà il povero Santoro voleva soltanto portare un po' di sostegno al governo, giustificando indirettamente la presenza dei nostri soldati in Afghanistan per combattere il terrorismo islamico. Santoro è stato invece vittima di un vero e proprio raggiro, facendosi tramite di un materiale propagandistico che aveva tutt'altre finalità, dato che si basava sulla evocazione del pericolo di un terrorismo islamico a carattere interno, che quindi non serve a giustificare missioni italiane all'estero, ma missioni della CIA in Italia.
È molto facile falsificare e manipolare del materiale televisivo: combinando autentiche riprese ambientali con primissimi piani di persone che parlano senza un preciso sfondo dietro di loro, è possibile dare l'impressione che certi discorsi davvero appartengano a determinati ambienti. Ma tutto questo a quale scopo?
Non certo soltanto per consentire alla CIA di effettuare i suoi voli per sequestrare ora questo ora quello fra i tanti mullah etichettabili come terroristi. Anche questa è solo una copertura. In realtà anche la CIA vuole fare il suo traffico di armi e stupefacenti senza dipendere dai capricci e dalle tangenti dei militari statunitensi, perciò ha bisogno delle proprie basi e della propria rete aerea in Europa.
5 aprile 2007
La vicenda dei marinai della Royal Navy fattisi catturare dagli Iraniani appare contraddittoria. È chiaro che la versione dei fatti fornita dal governo britannico non sta in piedi. Attualmente il Golfo Persico è affollato dalla flotta statunitense e da quella britannica, perciò la storia dei protervi iraniani andati a "sequestrare" i poveri marinai britannici appare impossibile. Solo inoltrandosi di parecchio nelle acque territoriali iraniane, i britannici potevano mettersi in condizione di farsi bloccare e catturare.
Il tutto si delinea quindi come una provocazione che serva a fornire il pretesto per un bombardamento "preventivo" delle presunte installazioni nucleari iraniane da parte degli Stati Uniti. Qualcosa di analogo era stato imbastito l'anno scorso dal governo israeliano con la assurda storiella dei soldati israeliani "rapiti" dagli Hezbollah.
D'altro canto tutta la vicenda dei marinai inglesi è tenuta su un profilo decisamente basso, dato che da tempo non occupa le prime pagine dei giornali, dando modo all'opinione pubblica di dimenticarsene. Se si voleva giustificare un attacco, i toni dell'indignazione rituale avrebbero dovuto essere molto più alti.
Le contraddizioni non finiscono qui. Oggi gli Stati Uniti possono occupare l'Iraq solo grazie alla connivenza dell'Iran, che fa sì che gli Sciiti iracheni o collaborino decisamente con gli occupanti o si tengano su una posizione di non aperta ostilità, come nel caso delle milizie di Al Sadr. Se gli Stati Uniti attaccassero l'Iran, i loro convogli di rifornimenti dal Sud diverrebbero un facile bersaglio delle milizie sciite che controllano il territorio.
In una situazione così complicata quale può essere il senso della provocazione organizzata dai Britannici?
L'intervento di Zbigniew Brzezinski - già consigliere per la sicurezza nazionale sotto la presidenza Carter -, la cui traduzione è stata pubblicata su "La Repubblica" del 26 marzo, sembrerebbe indicare che oggi negli Stati Uniti c'è una diffusa posizione apertamente contraria ad un allargamento del conflitto mediorientale, che renderebbe eccessiva l'esposizione militare statunitense. È possibile perciò che la provocazione anglo-americana abbia dovuto bloccarsi a causa delle resistenze interne agli stessi Stati Uniti, resistenze che sembrano riguardare soprattutto settori militari.
Il paradosso della situazione è che l'attuale velleitarismo dell'Iran è il prodotto delle scelte statunitensi, in particolare dell'invasione dell'Iraq, che ha conferito potere contrattuale al governo iraniano. Dall'invasione dell'Iraq, e dal conseguente aumento del prezzo delle materie prime, è derivato anche lo slancio del colonialismo commerciale della Russia sulle ex province dell'impero sovietico. Ciò aumenta il risentimento degli ex sudditi verso l'ex padrone russo e li getta ancora di più nelle braccia degli Stati Uniti e della loro politica contraddittoria.
La costante che viene fuori dalle vicende degli ultimi anni è che gli Stati Uniti non hanno una politica imperiale, ma si muovono in base ad esigenze a breve termine del loro colonialismo commerciale. Tutte le teorie di politica internazionale dei cosiddetti "Neocons" americani si riducono a formule propagandistiche che sono servite a giustificare di volta in volta delle operazioni militari/affaristiche, come il traffico di petrolio in Iraq ed il traffico di oppio in Afghanistan.
Il fenomeno Chavez in Venezuela è anch'esso un prodotto indiretto delle mosse di Bush, che hanno finito per fornire nuove carte da giocare e nuovi protettori ai produttori di materie prime nel cosiddetto Terzo Mondo.
Dove Bush continua a non avere eccessivi problemi è in Europa. Sebbene analizzato con meticolosità da alcuni settori della sinistra comunista, e auspicato da alcuni settori della destra, l'imperialismo europeo non ha mai decollato. L'Euro è rimasto una operazione di colonialismo interno alla stessa Europa che non ha particolarmente rilanciato l'economia dei Paesi forti come la Germania e la Francia, mentre ha definitivamente ridimensionato quella dei Paesi deboli come l'Italia.
La Germania ha contribuito a destabilizzare l'impero sovietico per crearsi una serie di Stati slavi satelliti, ma poi si è vista scavalcata dagli Stati Uniti, dall'allargamento della NATO e dagli accordi bilaterali imposti da Bush ai Paesi dell'Europa Orientale, agitati propagandisticamente come "nuova Europa" proprio in funzione anti-tedesca.
La cosiddetta Europa oppone al massimo una resistenza passiva alla pressione militare degli Stati Uniti, e ciò non in nome di una strategia alternativa, ma a causa delle remore delle proprie caste militari, che sono restie a collaborare militarmente con gli Stati Uniti di cui conoscono la strutturale inaffidabilità.
Il punto è che non solo non ci sono imperialismi alternativi a quello americano, ma non c'è neppure un imperialismo americano. Quello degli Stati Uniti non è definibile come imperialismo, ma come avventurismo affaristico/criminale.
L'emergere della caotica superpotenza americana nel corso del ‘900 è stata proprio l'effetto della generale impossibilità di un imperialismo, cioè di un dominio capace di darsi un ordine e delle prospettive aldilà dell'affarismo a breve scadenza.
29 marzo 2007
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